Secondo lo scienziato inglese Miller, la teoria darwiniana della selezione naturale non basta a spiegare la sopravvivenza della nostra specie. E chiama in causa la scelta sessuale

EVOLUZIONE Intelligenti per poter sedurre

di EDOARDO BONCINELLI

Non esiste elemento del nostro patrimonio genetico che non contribuisca, direttamente o indirettamente, alla nostra intelligenza. In questa ottica, valutare l'intelligenza di una persona equivarrebbe a soppesare lo stato di salute del complesso dei suoi geni. Un uomo o una donna che sono attratti dall'intelligenza del proprio partner lo farebbero perché, inconsapevolmente, sono attratti dalla sua prestanza genetica. L'intelligenza in tutte le sue forme e articolazioni si sarebbe quindi sviluppata nella nostra specie sotto la spinta delle nostre scelte sessuali e come effetto della corrispondente selezione sessuale. Questa è la tesi sviluppata dallo psicologo evoluzionista inglese Geoffrey Miller nel libro Uomini, donne e code di pavone in uscita da Einaudi e chiaramente espressa nel titolo inglese «The mating mind». L'ingegno e l'intelligenza non sono in verità le uniche doti che ne riassumono molte altre e che possono quindi funzionare da indicatori del possesso di buoni geni. Ne esistono altre che si prestano a divenire l'oggetto di un'oculata, anche se inconsapevole, scelta sessuale. La vera protagonista del libro è proprio la scelta sessuale e il ruolo da questa giocato negli ultimi due milioni di anni nel modellare e rimodellare alcune caratteristiche fondamentali della nostra specie, dalle più concrete come la forma e le dimensioni del seno e del pene, alle più astratte e impalpabili come la creatività, il romanticismo, la lealtà, l'umorismo, la moralità oppure la propensione per la conversazione brillante, l'arte, la danza, lo sport. L'autore propone di rivalutare il ruolo della selezione sessuale rispetto alla più scontata selezione naturale, anche se è consapevole del fatto che tale distinzione non è oggi molto popolare fra i biologi di professione. La sua tesi è che solo analizzando in dettaglio l'opera della selezione sessuale è possibile rendere conto della comparsa di molte caratteristiche squisitamente umane. Per comprendere questi fenomeni, afferma, non basta considerare ciò che è necessario per la sopravvivenza di un dato individuo, ma occorre analizzare la sua capacità di attrarre validi partner, portatori di buoni geni nonché, aggiungo io, capaci di tirare su la propria prole almeno fino all'età riproduttiva.
Ne risulta un libro di piacevole lettura, sapientemente argomentato e ideale per stimolare la riflessione su moltissimi aspetti della natura umana che, per esserci familiari fin dalla nascita, ci appaiono scontati, se non necessari, mentre non hanno che poche decine o centinaia di millenni di vita. Si tratta ovviamente di ipotesi ardite, di speculazioni, di ricostruzioni più o meno verosimili di eventi del lontano passato, quando gli esseri umani erano piuttosto diversi da come si presentano oggi. Alcune di queste ipotetiche ricostruzioni sono un po' fragili e non reggeranno, probabilmente, al vaglio del tempo, ma l'intento è buono e l'impianto argomentativo valido e promettente. E soprattutto è difficile immaginare qualcosa di più diverso dalle solite rimasticazioni di luoghi comuni, magari politicamente corretti ma arbitrari e intellettualmente sciatti.

Il libro: Geoffrey F. Miller, «Uomini, donne e code di pavone», Einaudi, pp. 520, euro 21,50. In libreria da domani