Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


Edscuola Board
Edscuola Board Discussion Forum.
Index / Educazione&Scuola© - Archivio Rassegne / Educazione&Scuola© - Rassegna Stampa (Archivio 2)
author message
Addio a Carmelo Bene, «genio ribelle» del palcoscenico
Post a new topic Reply to this Topic Printable Version of this Topic
edscuola
Administrator
in Educazione&Scuola

View this member's profile
posts: 13944
since: 23 May, 2001
1. Addio a Carmelo Bene, «genio ribelle» del palcoscenico
Reply to this topic with quote Modify your message
da Il Corriere della Sera
Domenica, 17 Marzo 2002

L’attore-autore scomparso dopo una lunga malattia. Innovatore amato e odiato da critici e pubblico

Addio a Carmelo Bene, «genio ribelle» del palcoscenico


ROMA - E’ morto ieri sera a Roma, dopo una lunga malattia, Carmelo Bene ( nella foto ), attore e autore teatrale, ma anche cinematografico, tra i più innovativi della scena italiana e internazionale. Nato in provincia di Lecce, avrebbe compiuto 65 anni in settembre. Aveva esordito nel 1959. Il suo percorso artistico ha radicalmente diviso pubblico e critici tra ammiratori entusiasti e irriducibili avversari del suo stile interpretativo.

Mattatore in palcoscenico manipolatore della realtà


Carmelo Bene è morto ieri nella sua casa di Roma, aveva 64 anni. Da tempo gravemente malato, venerdì era entrato in coma. I funerali, forse in forma privata, potrebbero svolgersi a Roma o in Puglia dove Bene era nato e la famiglia risiede. Tra i più aggressivi e discussi registi italiani della seconda metà del 900, ha sempre diretto se stesso, attore onnivoro della scena, il suo universo. Al centro di questo, si è fatto il vuoto come un Prometeo che non dona il fuoco ma se lo tiene, l’ex studente (incompiuti gli studi universitari) di Campi Salentina in scena già a 22 anni, autorizzato da Camus a rappresentare a suo modo il «Caligola»; l’ostinato solitario della torre di Otranto (di cui rifiutò la cittadinanza); il titano morente, bianco e pur minaccioso come gli eroi di un fregio greco, o di quella Magna Grecia che gli diede i natali, nel ’37. Opera sterminata, la sua (come ha mostrato la recente «Beneide» di Torino, materiale audio e video in gran parte inedito): accanto ai 5 film, di cui il primo Nostra Signora dei Turchi ha il premio speciale della Giuria a Venezia nel ’68, tanti e unici (pur negli auto-remake) gli spettacoli di teatro: da «Pinocchio» a «Otello» a «Hamlet Suite», «Don Chisciotte», «La cena delle beffe», «Lorenzaccio». A leggerne i titoli pare di sentirne sotto pelle voce e gesti, la «foné» incarnata.
Carmelo Bene ha nutrito di sé anche la cronaca. Da Sono apparso alla Madonna , titolo di un’affascinante autobiografia dell’83, al «Dio non esiste» con corollario del «Papa non conta nulla» in diretta Raidue 15 anni dopo, corrono, sulla via della parola scritta o della parola parlata, sulla carta o in video, gli strali «teologici» di Carmelo Bene. Prima, durante e dopo, a venir colpito, schiaffeggiato è il resto dell’universo: dal teatro alla politica; dai funzionari ad alcune delle numerose, bellissime partner di scena o di vita, da Lydia Mancinelli a Raffaella Baracchi. «Colleziono insulti sin da ragazzo, non ho fatto che subire insulti innominabili, offese», disse, e non per vittimismo, ma per chiarire la «nobile funzione del critico, un individuo losco, occhialuto, che siede al buio, odia quello che fa». Definì il suo «un nome da preghiera», seguito da altri quattro («per fortuna mio padre fermò mia madre»), ma fu sempre contro, contro tutti. Dopo i «Capricci» del ’69 al Festival di Cannes, il primo bersaglio è il teatro («mezzo di corruzione», «bazar di servi»), l’avanguardia, gli Stabili, il pubblico («un bacio, uno sputo, un calcio nel culo: trovo che siano tutti atti d’amore») sempre più su, verso l’autore: «Per fare Shakespeare bisogna esserlo. IO SONO Shakespeare», «io sono il più grande Amleto del mondo». Negli anni ’80 e ’90 si scaglia contro l’umanità dal salotto di «Mixercultura» di Minoli o dalla poltrona della Biennale di Portoghesi, rotolata dietro allo scandalo dei disegni del «Bafometto» di Klossowski del cui furto Bene fu clamorosamente accusato. E’ contro la comunicazione, contro la parola e per la voce «che è parola disfatta», come pensava Artaud. Nel ’96 attraverso il «Laureato» di Chiambretti, dall’università di Lecce si scaglia contro la scuola «palestra dell’ozio», poi contro Fo «immeritevole del Nobel», quindi - dopo la difesa del film di Ciprì e Maresco «Totò che visse due volte» - sfregia la stampa «bugiarda». A lui «già un classico perché vivo nell'eternità, sono eternamente vivo», hanno reso omaggio tra i primi Maurizio Costanzo: «genio è sempre una parola difficile da usare, ma certo lui non era solo un attore»; Vittorio Sgarbi: «era simpatico nel suo essere antipatico»; Walter Veltroni: «sempre animato da un fortissimo spirito critico, riconosciuto universalmente»; Enrico Ghezzi: «per uno come lui che si proclamava non nato, non riesco a non dire che non sia neppure morto».

Claudia Provvedini

«Scrissi qualcosa di sgraziato e Carmelo mi sfidò a duello»


Nella leggenda di Carmelo Bene c’è la sua spudoratezza, la sua sfrontatezza. Ma non era un tratto del carattere. Era un elemento della poetica. Con lui non c’erano vie di mezzo e astensioni possibili: o lo si subiva o lo si osannava. Non a caso, celeberrimi sono i suoi match e i suoi rapporti artistici. Ennio Flaiano lo amò moltissimo. Molto lo amò Alberto Arbasino. Tra i critici, divenne il suo esegeta e trovò la propria caratura, confrontandosi con lui, Maurizio Grande. Ricordo infine Gilles Deleuze. Gli scritti del filosofo francese sono la consacrazione del significato non solo italiano dell’opera di Carmelo. D’altra parte, la storia comincia in ben diverso modo. In una cantina romana, Carmelo Bene fece pipì addosso a uno spettatore eccellente, il critico Paolo Milano. Era un segno di distacco, di disinvoltura, di rottura con la tradizione, anche nei comportamenti sociali e cerimoniali. Qualche anno dopo mi sfidò a duello. Avevo scritto qualcosa di sgraziato a proposito del suo ritorno sulle scene, che aveva abbandonato per il cinema. Era il 1974. Ma il duello di Carmelo con la critica continuò fino agli anni Ottanta. Prima degli spettacoli faceva annunci terrificanti. In una trasmissione televisiva aggredì Guido Davico Bonino e Giovanni Raboni in un modo tutt’altro che teatrale. Era serissimo, non cercava una pubblicità per se stesso, si comportava in modo conseguente. Ma il problema è proprio questo: conseguente a che cosa? O, detto in altri termini, che cosa ha rappresentato Carmelo Bene nella storia del teatro italiano? Vorrei dirlo in modo succinto e schematico. Primo: la rottura con la tradizione, cui ho già accennato; con ogni tipo di tradizione e di convenzione interpretativa.
Secondo: il rovesciamento dell’idea di rappresentazione. Ciò che importa non è la rappresentazione di un testo, la sua messa in scena, ma la presenza dell’attore in quel luogo, in quel momento. La presenza contro la rappresentazione.
Terzo: ribaltando il primato del testo, considerato idealistico, a favore dell’attore, vi è nel teatro un nuovo primato, di tipo per così dire materialistico, o esistenziale. Ciò che importa è, in uno spettacolo, quanto avviene lì, sulla scena, dunque l’interpretazione, l’atto critico. L’atto critico non è più un atto critico, ma un atto creativo.
Quarto: da tutto questo scaturisce la centralità nuova del corpo; ovvero, nel caso di Carmelo, della voce, che lui chiamava foné. La foné è tutto: è il senso, il nuovo senso di cui lo spettatore è nuovo e ultimo interprete, o infinito interprete: vi sarà sempre un altro spettatore, vi sarà sempre un’altra interpretazione. Che implica un quinto punto: il senso di un testo, di uno spettacolo, non sarà mai più come prima; mai più vi sarà, del senso, una pienezza. L’interpretazione non fu mai da Carmelo Bene rivolta, come in tanta avanguardia, allo svelamento degli orrori (morali) che si celano dietro le apparenze (estetiche) della realtà testuale. La sua idea fu che dietro ciò che appare non vi è nulla. Dunque alla pienezza del senso del teatro classico, in Carmelo Bene succede lo svuotamento del senso del teatro che sempre ci sarà contemporaneo.
Ho ricordato il rapporto di Carmelo Bene con i critici. Vi fu un rapporto conflittuale, inutile dirlo, inutile ricordarlo, anche con i colleghi. Egli non lesinava critiche, osservazioni maliziose, sfottò. Memorabile lo scontro con Vittorio Gassman, che si svolse fisicamente all’Argentina di Roma. Pure, quello scontro non fu un match tra due mattatori. Gassman ovviamente un mattatore lo era, lo fu fino in fondo. Carmelo Bene fu il contrario di un mattatore. In scena poteva essere solo, solissimo, ma noi spettatori che cosa ne percepivamo? Non già il dominio (della scena); non già la prepotenza; non già la volontà di controllo. Noi, di quella sua presenza, percepivamo la debolezza, la lotta con lo spazio o con il testo, la solitudine. Carmelo Bene che nella vita non fu mai solo, che temeva la solitudine in modo straordinario, come mi apparve quando lo incontrai, in una vigilia di Natale, fu l’artista più desolato e solo che abbia avuto il nostro teatro.

«Sono apparso alla Madonna»
E l’istrione si trasformò in mito


Impossibile far entrare la figura e la storia di Carmelo Bene nello spazio d’una definizione corrente. Basta, per accertarsene, aprire un manuale, un’enciclopedia: «attore e regista» per la Garzantina Universale, eccolo trasformarsi in «regista, attore e scrittore» per quella dello Spettacolo, in «autore, regista, attore teatrale» per il Dizionario bio-bibliografico Einaudi, in «attore, regista, autore drammatico e narratore» per il Dizionario dello Spettacolo Baldini & Castoldi; e si potrebbe continuare. Lui, magari, avrebbe preferito un semplice «attore», parola-immagine dalla quale ci aveva abituati ad aspettarci di tutto; ma non ci giurerei, ricordando l’ingenua o provocatoria soddisfazione che ostentò durante un’intervista televisiva a proposito della pubblicazione della sua opera omnia letteraria in una collana di classici contemporanei. Quanto a me, se proprio dovessi decidere, credo che opterei per «autore»: autore di tutto, a cominciare dal suo personaggio, dal suo carisma, dalla sua leggenda, dalla sua infinita capacità di emozionare, sconcertare, circonvenire il pubblico; autore o inventore, persino, dell’inverosimile linguaggio di certi suoi esegeti, dei quali ho sempre immaginato (forse con un po’ d’ottimismo) che fosse il primo, dentro di sé, a sghignazzare. Ma perché scegliere? nella morfologia d’un mito vivente - status che Carmelo Bene s’era certamente e con pieno merito conquistato - c’è posto per tutto, e i miti viventi non hanno bisogno d’altro che di scomparire dalla scena per evolvere in miti tout court, in miti per sempre.
Teniamocelo caro: in una comunità non più religiosa e non ancora laica come la nostra, i miti sono un genere (stavo per dire un bene) non meno indispensabile che raro. Per una prudente manutenzione, in futuro, del mito Bene credo comunque che converrà non basarsi troppo sul suo lascito scritto (di cui, a mio avviso, si salverà di sicuro non tanto un libro, quanto il suo irresistibile titolo: Sono apparso alla Madonna ) e puntare invece sui suoi film (penso che Nostra Signora dei Turchi sia uno dei pochissimi capolavori del cinema italiano post-neorealista), su ciò che è stato messo in video dei suoi spettacoli, sulle registrazioni della sua voce (Bene è stato, per alcuni poeti, molto più d’un lettore) e soprattutto sulla nostra memoria di spettatori e di ascoltatori, sperando di riuscire a trasmetterne almeno qualche brano, qualche frammento, qualche cellula a chi, per sua sfortuna, non c’era.


Protagonista

LE ORIGINI
Carmelo Bene nasce a Campi Salentina in provincia di Lecce il primo settembre 1937. Viene cacciato dall’Accademia di Arte drammatica per indisciplina.

L’ESORDIO
Nel 1959 debutta come protagonista in «Caligola» di Camus. Viene battezzato l’enfant terrible della cultura italiana. Nel ’60 a Bologna allestisce il suo primo spettacolo-concerto dedicato a Majakovskij.

CLASSICI RIVISTI
Nei primi anni ’60 fonda il Teatro Laboratorio presentando la sua versione di classici come «Amleto», «Faust», «Don Chisciotte». È il 1966 quando scopre Antonin Artaud e il suo «Teatro della crudeltà». Nello stesso periodo comincia il sodalizio artistico-sentimentale con l’attrice Lydia Mancinelli.

IL CINEMA
Nel 1967 approda al cinema interpretando Creonte nell’Edipo Re di Pasolini. Nel ’68 firma la regia di «Nostra Signora dei Turchi» che vince il Premio speciale della Giuria al Festival di Venezia

IL GRANDE SALTO
Fra il ’68 e il ’74 esce dalle cantine e raggiunge i grandi teatri con «Don Chisciotte», «La cena della beffe» con Proietti, e «S.A.D.E.». I secondi anni Settanta sono dedicati alla rivisitazione dei classici shakespeariani.

INTEMPERANZE
Negli anni Ottanta, Bene è quasi considerato un guru, e le sue intemperanze caratteriali cominciano a far saltare gli spettacoli. I 4 by-pass preoccupano i fan, mentre lui litiga spesso con i critici e con la moglie (l’ex Miss Italia Raffaella Baracchi).

LA SPARIZIONE
A fine anni ’90 è sul palco con recital su Campana, Leopardi, Dante. Muore a Roma il 16 marzo. Il 17 aprile verrà ripubblicata l’opera omnia del ’95, nei classici Bompiani.


http://www.edscuola.it
http://www.edscuola.com
Mail: redazione@edscuola.com
Date: 17 Mar, 2002 on 10:43
Addio a Carmelo Bene, «genio ribelle» del palcoscenico
Post a new topic Reply to this Topic Printable Version of this Topic
All times are GMT +2. < Prev. Page | P.1 | Next Page >
Go to:
 

Powered by UltraBoard 2000 Personal Edition,
Copyright © UltraScripts.com, Inc. 1999-2000.

Archivio
Archivio Forum
Archivio Rassegne