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1. Extra-secchioni
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da La Stampa
Sabato, 16 Marzo 2002

I figli degli immigrati vivono meglio la scuola
Extra-secchioni

di Fabrizio Rondolino

L’Italia dei giornali e dei comizi di Bossi è popolata di extracomunitari tendenzialmente cattivi, alcuni anche molto cattivi; di prostitute lascive e di sfruttatori feroci; di sfaccendati che perdono il loro tempo per le strade e nelle stazioni anziché lavorare e guadagnarsi la vita; oppure di morti annegati nell'indifferenza di chi cambia canale e pensa: «Se la sono cercata».

L'Italia della piccola e media impresa, l'Italia dei servizi, l'Italia insomma che lavora e che lavora sodo, è frequentata invece da molti lavoratori con la pelle scura, o gialla, o ambrata, a volte sfruttati illegalmente, altre invece regolarizzati, e il cui unico difetto, da tutti riconosciuto, è che sono troppo pochi: le nostre aziende hanno infatti bisogno di più manodopera extracomunitaria.

Poi c'è l'Italia dei nostri figli: e in ogni classe, ormai, non manca il maghrebino, o il senegalese, o il cinese, o l'ucraino. Più piccoli sono i nostri figli, e più numerosi sono i compagni di classe e di giochi il cui passaporto non è europeo. In questa schizofrenia che porta il piccolo industriale del Nord-Est, la cui figlia gioca ogni giorno con un'amica africana e la cui moglie s'ingegna a cucinare piatti «etnici», a invocare più manodopera di colore e, contemporaneamente, leggi più dure contro gli immigrati «che portano solo delinquenza», c'è la specificità, l'ipocrisia, e anche e soprattutto la pericolosità del razzismo italiano.

Non si cura di certo una tale schizofrenia con i buoni propositi o con gli elogi astratti e ideologici della «società multietnica»; né certo si può pensare di risolvere il problema semplicemente chiudendo le frontiere: le frontiere non sono mai davvero esistite.
Forse la scuola può aiutarci, forse la scuola può aiutare l'Italia a venire a patti con la propria realtà.

Una ricerca della Fondazione Agnelli («Appartenenza etnica, processi di socializzazione e modelli formativi»), condotta su un migliaio di ragazzi italiani e non che frequentano la terza media, a Torino e in altre città del Nord, dimostra per esempio che gli extracomunitari, più dei nostri figli, vivono la scuola come un luogo di socializzazione, vi costruiscono relazioni, e dunque grazie alla scuola (e all'impegno degli insegnanti) riescono, almeno parzialmente, a integrarsi nella società.

Non solo: il loro rendimento scolastico - a parità di reddito con i compagni italiani - è tendenzialmente migliore: il che è un ulteriore segnale di integrazione e, più in generale, di benessere. Non mancano, naturalmente, le difficoltà, né la scuola è estranea a fenomeni di razzismo. E tuttavia sembra proprio venire «dal basso», come un tempo si sarebbe detto, la spinta più forte, perché più naturale e spontanea, alla coabitazione e alla coesistenza. L'Italia è già multietnica, ora tocca agli italiani.


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Date: 16 Mar, 2002 on 08:10
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