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«Diventai amico di Popper, anche se litigammo per Platone»
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1. «Diventai amico di Popper, anche se litigammo per Platone»
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da Il Corriere della Sera
Venerdì, 15 Marzo 2002

INTERVISTA INEDITA

«Diventai amico di Popper, anche se litigammo per Platone»


Poche settimane fa, un sabato mattina, siamo venuti a trovare il vecchio Gadamer nella sua casetta sulle colline di Ziegelhausen, sopra la Neckar, a dieci minuti di taxi da Heidelberg. Era appena passato il suo centoduesimo compleanno. Dall'ultimo incontro, due anni fa, era molto smagrito e si era incurvato, faceva qualche passo con sforzi enormi. Ma la memoria delle cose filosofiche dopo pochi minuti veniva fuori, se pur con un po' di fatica. Gadamer chiedeva solo tempo e pazienza a noi che l'ascoltavamo e preferiva rinunciare a quel suo sonante italiano dantesco di un tempo: solo tedesco. Sapevamo che parlare di Popper, ebreo, emigrato da Vienna in Nuova Zelanda durante il Terzo Reich, per Gadamer voleva dire tornare per l'ennesima volta sul tasto dolente di Heidegger e della sua compromissione con il nazismo, ma sapevamo anche che lui e Popper parlavano e si scrivevano. Ecco quel che ci ha detto. Vi siete incontrati, e dove, lei e Popper?
«Qui, a Heidelberg, una volta, ma anche a Londra. Eravamo già molto vecchi, ma i nostri dialoghi promettevano buoni sviluppi».
Ma il suo rapporto con Heidegger non rappresentava una difficoltà nei vostri rapporti?
«No, vede, il fatto è che io e Popper, e dico purtroppo, abbiamo avuto rapporti e scambi di lettere solo nell'ultima parte della nostra vita. Ma non parlavamo di Heidegger, in questi anni più recenti. C'era tra noi una controversia sulla filosofia platonica. Io non ho mai accettato la critica popperiana di Platone, al suo "utopismo" e "perfettismo". Ma certo so bene quanto pesava per Popper il problema della adesione al nazismo di Heidegger e del mio rapporto con lui. Ma io non ero mica Heidegger. E che cosa io pensi della sua scelta l'ho già detto molte volte».
Vuole ripeterlo in sintesi?
«La scelta di Heidegger è stata per me qualcosa di incomprensibile. Come poté fare una cosa simile? Bisogna considerare che era un uomo di origini modeste, che veniva da un piccolo villaggio di campagna e che per i casi della vita improvvisamente si trovò innalzato ai vertici del mondo accademico. E questo non gli ha fatto bene. Un giorno sua moglie mi raccontò che tornò a casa dicendo: "Ho accettato". E lei gli rispose: "Ma non puoi, Martin, sei pazzo". Quella donna aveva qualcosa di più, a suo favore, una educazione migliore. Lui era stato meno educato anche se, come ho saputo più tardi, dalle conversazioni col padre aveva imparato molta filosofia».
Ci parli dei suoi incontri con Popper. Ci sono tracce scritte?
«Ci sono delle lettere, ma non le ho raccolte, almeno non quelle ricevute da Popper, che erano molto brevi. All'epoca, negli anni Ottanta, ero stupito che ci fossimo trovati non poi tanto male, in fin dei conti».
Che cosa riguardavano le lettere e i vostri discorsi?
«Riguardavano Platone, il tardo Platone e la sua interpretazione. C'erano punti dove in modo molto evidente non eravamo del tutto d'accordo. Tuttavia avevo la netta impressione di incontrare un uomo molto serio e rigoroso. Questo non mi era così chiaro prima di averlo conosciuto; in effetti molti nell'ambiente heideggeriano lo trattavano con spregio. Purtroppo la sua improvvisa malattia e la sua morte non hanno permesso di proseguire una relazione duratura».
Qual era la differenza di interpretazione su Platone.
«Il senso ironico delle celebri tesi di Platone, i re filosofi o l'idea di togliere i bambini alle famiglie era per me chiaro e anche il grande effetto che quelle ironie potevano avere a Siracusa e ad Atene. In generale il fraintendimento di Platone non riguarda solo Popper ma tutti gli avversari del filosofo dei dialoghi. Non hanno capito che si trattava di una beffa».


Questa intervista dello scorso 16 febbraio compare in versione integrale sul settimanale on line di cultura «Caffè Europa» (www.caffeeuropa.it)


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Date: 15 Mar, 2002 on 07:30
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