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QUEL «7» PER I BULLI
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1. QUEL «7» PER I BULLI
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 6 Marzo 2002

QUEL «7» PER I BULLI
di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI


Torna il 7 in condotta che fa media. Sarà approvato dal Consiglio dei ministri domani con lo schema di riforma della scuola. Basta un’altra insufficienza negli scrutini e si viene bocciati. Non paga l’ipocrisia di regole educative senza sanzioni. La mancanza di una strategia adulta nel giudizio sul comportamento negli studi scontenta i ragazzi e crea disordine. Ci sono scuole, anche a Milano, dalle quali i professori scappano. Chiedono il trasferimento, stanchi del bullismo tra i banchi. Non c’è nulla di birichino in quel 40 per cento di bimbetti delle elementari e in quel 25 per cento delle medie coinvolti, quasi sempre come vittime ma spesso anche come colpevoli, nella prepotenza in aula.
Ridurre la questione a operazione di disciplina è pretesa arcaica. E lascia perplessi l’annunciata logica di riforma della giustizia minorile. Essa inasprisce le pene e parrebbe privilegiare una linea globale di punizione su quella tradizionale della rieducazione.
Siamo comunque in tema di diritto penale e non di pedagogia, quindi sul terreno della patologia e non su quello della fisiologia sociale. Si tratta piuttosto di convincere generazioni a maturarsi con senso di responsabilità, dentro margini maggiori, e non minori, di libertà ben gestita. Non sono ragazzi da sbattere dietro la lavagna. Sono utenti che hanno diritto a una istruzione pubblica capace di insegnare loro in modo convincente come stare con gli altri.
Arrivano in classe con il cellulare ed è troppo sbrigativo sequestrarglielo. Bisogna piuttosto che la scuola riesca a essere così moderna da mettere anche questo aggeggio fra gli strumenti della conoscenza e non della scopiazzatura sottobanco. Si scambiano di contrabbando via sms brani di compiti e chiacchiere varie. Hanno talvolta genitori pronti a perdonare loro tutti e a prendere le loro improbabili difese, anche nei casi più sfacciati.
La parte realisticamente più apprezzabile della riforma Moratti, voto in condotta e bocciature biennali, prende di petto il tema della convivenza scolastica. Non si mette l’elmetto alla pedagogia. Aumentano gli spazi dell’autonomia individuale, ma diventano carichi di responsabilità.
Imparare a vivere le ore dello studio in un equilibrio dei comportamenti è idea tipicamente anglosassone. In quel sistema la valutazione del gestire, del parlare e perfino del vestire è parte di un globale giudizio sull’apprendimento. Secondo la riforma, la scuola italiana metterà a disposizione degli studenti 1.125 ore l’anno, delle quali 825 saranno obbligatorie. Ciascun ragazzo, secondo lo stato della sua preparazione, sceglierà dentro il pacchetto delle lezioni. Potrà anche entrare alle 11 e uscire alle 13, senza dare burocratiche giustificazioni. Ma risponderà anche con il voto in condotta della libera gestione del suo tempo. Nella nuova scuola si amplia il rapporto degli studenti con il territorio, gli «stage» e i tirocinii mescoleranno il tempo in classe e il tempo nel mondo delle imprese e delle professioni. Questa uscita dal limbo pedagogico non può avvenire nel vuoto, il bullismo davanti alla cattedra non può essere trasferito in fabbrica o in laboratorio con i ragazzi. L’assenza di una normativa condivisa apparirebbe stravagante.
La scelta è di metodo. Senza metodo non si acquisisce conoscenza e non c’è conoscenza che non preveda un minimo etico comune, nel relazionarsi con gli altri, docenti, compagni e famiglie. Un pacato rigore nelle regole è percepito come giusto dal senso comune della gente. Il successo o il fallimento della riforma dipendono dalla capacità di rendere condivisa dai giovani una scelta di serietà che, con lo statuto delle studentesse e degli studenti, salvi tutti gli spazi di indipendenza, ma renda più professionale e sereno il percorso scolastico.


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Date: 06 Mar, 2002 on 08:08
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