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da Avvenire
Venerdi 01 Marzo 2002

Gite scolastiche

Fatte a caso non servono

Giuseppe Savagnone

Si sono appena spenti, nelle nostre scuole, i fuochi fatui del "grande gioco" delle occupazioni pre-natalizie, e già comincia un altro rito di massa - questa volta legale, legalissimo - che vede ogni anno impegnate circa il settantacinque per cento delle classi in una girandola di visite guidate, gite e viaggi d'istruzione. Un fenomeno che può esser valutato dal punto di vista economico sicuramente vantaggioso per agenzie di viaggi, alberghi, ditte di trasporti - siamo davanti a un giro d'affari che supera il miliardo di euro - ma che pone una serie di problemi di altra natura, su cui varrebbe la pena fermarsi a riflettere.

Uno è quello della sicurezza. Le cronache di questi giorni riportano anche per l'anno in corso la notizia di tragici episodi, verificatisi nel corso di gite scolastiche, che vedono coinvolti giovanissimi studenti e i loro insegnanti. Su questi ultimi grava, in simili situazioni, la non comune responsabilità di dover esercitare la vigilanza, a cui sono tenuti nei confronti dei minori loro affidati, in condizioni che la rendono al tempo stesso particolarmente necessaria ed estremamente ardua. Chi ha familiarità con queste situazioni sa bene quanto sia problematico tenere a bada degli adolescenti euforici per la "libera uscita" e che si avventurano in ambienti sconosciuti sia a se stessi che agli accompagnatori. Ed è chiaro che questi pericoli si moltiplicano col moltiplicarsi delle occasioni.

Un secondo problema riguarda l'aspetto sociale. Dicevamo che i viaggi d'istruzione costituiscono un buon affare per gli operatori turistici. Lo sono assai meno per le famiglie. Soprattutto là dove essi coinvolgono ogni anno gli studenti di tutte le classi, i costi possono diventare molto pesanti e costringere gli alunni meno abbienti a rinunziare, magari inventando, per nascondere la verità ai loro compagni, le scuse più svariate. Tanto più se una stessa famiglia mantiene agli studi figli di età diversa, che dovrebbero partire in contemporanea. Rischiano di crearsi, così, penose disuguaglianze, all'interno di una stessa classe. Anche qui, evidentemente, si tratta di inconvenienti che aumentano in proporzione delle occasioni. In una scuola ove si partisse una sola volta, al termine del ciclo di studi, sarebbe più facile fronteggiare, con l'aiuto della cassa scolastica, simili difficoltà.

Ma il problema più significativo che questi viaggi pongono è, senza dubbio, quello educativo. Tutti sanno che il loro spessore culturale è, abitualmente, assai ridotto, fino a diventare, in una buona percentuale di casi, inesistente. Essi possono costituire, certamente, un incentivo per socializzare. Ma tale socializzazione dovrebbe attuarsi intorno a un obiettivo consono alla natura della scuola. E così, purtroppo, non è. L'attenzione sembra in molti casi più orientata all'esplorazione delle discoteche locali, che non ai monumenti e ai musei. Non è raro, anzi, che la visita guidata o il viaggio d'istruzione si trasformino in un'occasione di eccessi e abusi di vario genere, dall'assunzione incontrollata di droghe, agli atti di vandalismo nei confronti delle strutture alberghiere, ai furti. Più che a imparare cose nuove, non pochi studenti appaiono impegnati, durante il giorno, a recuperare il sonno perduto la notte predente, nella prospettiva delle nuove imprese che li attendono in quella successiva.

E del resto, le premesse di queste derive "annunciate" sono nella sostanziale impreparazione con cui questi viaggi vengono affrontati dagli alunni e dagli stessi professori. Nessun aggancio con i programmi effettivamente svolti, nessuno studio mirato che li preceda, nessuna verifica dei risultati ottenuti. Come è ovvio, visto che, nella stragrande maggioranza dei casi, queste escursioni non si trovano inserite in una organica programmazione culturale ed educativa, ma costituiscono una pura e semplice evasione.

Non è l'unico caso. Qualcosa del genere rischia di accadere per un gran numero delle attività para-scolastiche a cui la scuola ha aperto le porte in questi ultimi anni e che sembrano destinate a moltiplicarsi in modo esponenziale. Il problema di fondo è il dualismo, abbastanza evidente, fra la dimensione culturale e quella vitale. Una istruzione sempre più volta a fornire quasi esclusivamente degli strumenti, e perciò sempre meno capace di coinvolgere gli interessi e i problemi esistenziali dei ragazzi, diventa inevitabilmente arida ed esige degli sfoghi sul piano ludico, che si pongono in parallelo, senza mai incontrarlo, col lavoro scolastico vero e proprio. Una cultura senza vita produce, come suo ovvio contraltare, un vita senza cultura.

Il problema non si può risolvere dall'esterno. Nella scuola dell'autonomia non si può più pensare che sia il ministero a risolvere i problemi a colpi di circolari. A meno che non ci siano veri e propri atti di violenza che bloccano o stravolgono l'attività degli istituti - com'è nel caso delle occupazioni, per cui siamo ancora in attesa di un chiaro intervento dello Stato. Non sarà una regolamentazione estrinseca a risolvere il dualismo di cui abbiamo parlato e, in particolare, le incongruenze dell'attuale prassi dei viaggi d'istruzione. Gli interventi dall'alto possono porre dei paletti, ma - in positivo - solo la presa di coscienza e un accresciuto senso di responsabilità dei dirigenti scolastici, degli insegnanti e dei genitori - e che da loro si estenda anche ai ragazzi - potrà modificare la situazione. Non si tratta di dire dei "no", ma di far crescere il grande "sì" a una scuola capace di interpretare la cultura come incessante scoperta del senso e del valore della vita reale. E questo nessuna legge - neppure la riforma - , solo la scuola dal suo interno potrà realizzarlo.

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DISCUSSIONI Cresce la polemica sui viaggi scolastici: parlano esperti, docenti e genitori

Cosa resta delle gite

Gli incidenti e gli episodi di indisciplina fanno ripensare il modello? Gli insegnanti: dobbiamo solo prepararci
Oliverio Ferraris: corsi per gli accompagnatori Scaparro: basta coi tour de force
Chiara Zappa


Si salta sul pullman (o sul treno, o addirittura sull'aereo) e l'avventura comincia: qualche giorno di libertà insieme ai compagni di classe e un paio di professori, tra il cameratismo, l'euforia di poter conoscere pezzetti di mondo - magari distanti pochi chilometri, oppure lontani, oltre i confini nazionali - e la voglia di accrescere le proprie esperienze e il proprio bagaglio culturale.
Ma le visite d'istruzione, quelle gite scolastiche che trascinano dietro a sé tutto un bagaglio di folklore e qualche volta di stereotipi, non sono esenti da controindicazioni, anche molto gravi, come ci ha ricordato ancora una volta la cronaca di questi giorni. L'incidente capitato mercoledì, nei pressi di Verona, a un pullman carico di bambini (bilancio 29 feriti) e il caso drammatico della ragazzina morta in provincia di Firenze per essersi allontanata pochi attimi dagli insegnanti, rimanendo schiacciata da un masso staccatosi da una parete su cui si arrampicava per gioco, riporta in primo piano l'argomento: la coscienza di alcuni rischi che è quasi impossibile eliminare del tutto dovrebbe far ripensare all'opportunità di organizzare queste trasferte scolastiche? E, facendo un passo oltre: le classiche "gite" di classe mantengono la loro funzione culturale oggi che la mobilità, anche per gli adolescenti, è più semplice che in passato?
Per la psicologa Anna Oliverio Ferraris la visita d'istruzione resta un'opportunità importante: «Un'esperienza al di fuori della famiglia insieme ai propri coetanei può essere senza dubbio positiva dal punto di vista della crescita psicologica di un bambino o di un adolescente, anche perché può offrire delle occasioni di dialogo e di confidenza con degli adulti fuori dal contesto quotidiano». È essenziale, però, che gli insegnanti (e i genitori, se sono tra gli accompagnatori) siano ben preparati a interagire con i ragazzi: «Non escluderei la possibilità di corsi di formazione rivolti a professori destinati ad accompagnare gli studenti in gita. È importante che in queste occasioni i ragazzi possano vedere gli adulti con un occhio diverso, nel loro lato più umano, in quanto persone capaci di stare in compagnia e anche di divertirsi. Ma attenzione, l'adulto deve sempre restare un adulto».
Disponibilità, insomma, non significa superficialità: ne è convinta anche Gabriella Novati, che insegna inglese presso un Liceo scientifico di Legnano e che di visite di istruzione ne ha viste tante. «In alcuni casi sono state esperienze ottime, ma il buon esito dipende sempre da alcune condizioni». Cioè? «Per accettare di accompagnare una classe in gita devo avere con gli studenti un rapporto consolidato, basato sulla fiducia reciproca: questo previene episodi spiacevoli di ribellione, ripicche, teppismo... Inoltre le visite devono essere inquadrate in un percorso didattico ben definito e organizzato, bisogna prepararle in classe, coinvolgendo e motivando i ragazzi: allora i risultati si vedono e il viaggio accresce davvero la cultura di chi vi partecipa».
Non solo. Una gita può anche essere «una preziosa cartina di tornasole ad uso del docente». Lo sostiene Roberto Picone, professore al Liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, secondo cui «durante le giornate trascorse fuori dall'ambiente scolastico è possibile capire se si è fatto un buon lavoro con i propri allievi». Dal punto di vista puramente culturale, visto che una classe motivata e preparata saprà sfruttare tutte le opportunità di conoscenza, ma anche nel senso dell'opera educativa compiuta: «Fuori dall'aula l'unico deterrente per i ragazzi a sfuggire al controllo del professore è costituito dal senso di lealtà che essi sentono nei suoi confronti. Il che dipende dal rapporto che si è riusciti a instaurare con la classe: se a scuola la disciplina è puramente imposta, è naturale che gli studenti vedranno nella gita solo l'occasione buona per sfogarsi, per fare quello che è loro vietato in classe e anche in famiglia».
Insomma dipende tutto dagli adulti? «Naturalmente no - risponde lo psicologo Fulvio Scaparro - ma è naturale che essi, proprio in quanto adulti, abbiano un grado di responsabilità maggiore non solo nel garantire la sicurezza, ma anche nel fare in modo che queste uscite possano rappresentare per i giovani delle vere opportunità di crescita». Opportunità per tutti, sottolinea Scaparro: «È impensabile che uno studente debba rinunciare alla gita per motivi economici: credo che le scuole debbano creare un fondo ad hoc, per garantire a ciascuno le stesse chances di formazione». E se è vero che gli insegnanti devono educare a un certo tipo di visita, diversa dal puro turismo chiassoso e disattento, tuttavia bisogna guardarsi dalla tentazione del tour de force: «Strutturare la gita in una serie di tappe tra musei e cattedrali, senza lasciare alcuno spazio per passeggiare e respirare il clima e la cultura di una città è controproducente, non solo perché si trasmette ai ragazzi una concezione quasi "consumistica" del viaggio, ma anche per il rischio di nausearli al punto che non avranno più alcuna voglia di entrare in un museo in vita loro».
Musei o passeggiate nei mercatini, l'essenziale comunque è l'approccio riservato ad ogni momento dell'uscita, perché «tutte le esperienze possono essere recuperate in senso didattico». È l'idea del preside del Liceo classico Beccaria di Milano, Antonio Marro, che ricorda un episodio capitato l'anno scorso durante una visita a Praga: «Una sera i ragazzi, vinte le iniziali timidezze che li trattenevano dal "lasciarsi andare" in presenza del preside, mi invitarono ad accompagnarli in una grande discoteca della città. Accettai e per la prima volta in vita mia misi piede in un posto simile: quattro piani di piste e ragazzi che si dimenavano nel frastuono più totale. Resistetti un quarto d'ora, dopodiché diedi appuntamento ai miei studenti all'uscita del locale e me ne andai a passeggiare sulle rive del fiume con due colleghi. Ma questa bizzarra esperienza fu un'ottima occasione, la mattina seguente, per discutere con i ragazzi sul loro modo di divertirsi e sulle mode giovanili, in un confronto libero che in altre circostanze non sarebbe stato possibile». Non tutte le gite vengono per nuocere.


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Date: 01 Mar, 2002 on 18:24
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