SEMPRE PIÙ STRANIERI STUDIANO LA NOSTRA LINGUA

ITALIANO BOOM

CARLO V usava lo spagnolo per parlare con Dio, il tedesco per rivolgersi ai suoi cavalli, il francese per discorrere con i gentiluomini e l'italiano per conversare con le signore. A livello imperiale, l'italiano era quindi una lingua piuttosto usata. E se ci meravigliamo perché oggi risulta tra quelle maggiormente studiate al mondo il motivo è sempre lo stesso: la nostra cronica sottovalutazione del peso culturale ed economico dell'Italia. Come emerge dalla ricerca Italiano 2000 affidata dal Ministero degli Esteri all´Università La Sapienza di Roma e presentata l´altro giorno alla Farnesina, gli studenti stranieri che scelgono di imparare la nostra lingua sono cresciuti del 38,2% nel quinquennio 1995-2000, passando da poco più di 33 mila a 45.699. Tanto per cominciare l'italiano è indispensabile, o quasi, in un buon numero di professioni: la musica classica, il teatro d'opera parlano italiano, così come lo parlano il mondo dell'arte antica e quello dell'antiquariato. A livello internazionale l'italiano è linguaggio corrente in molti sport, in particolare nel calcio e nell'automobilismo. E non si dimentichi che la gerarchia cattolica ne ha fatto il suo idioma di elezione: ben difficilmente Wojtyla sarebbe diventato Papa se non avesse potuto vantare un'ottima conoscenza dell'italiano, come del resto le migliaia di preti che ogni anno studiano nei collegi romani, spesso facilitati dall'aver appreso il latino. Passiamo all'economia: in Romania, paese dalla lingua neolatina e quindi affine all'italiano, qualche migliaio di piccole e medie imprese italiane, i cui titolari raramente conoscono lingue straniere, dà lavoro a circa mezzo milione di persone. Ma l'Italia è anche il primo paese esportatore in Libano e in Siria, in Grecia e in buona parte dei Balcani, il secondo in Russia, Turchia, Egitto. Per slavi, greci e arabi, l'italiano non presenta particolari difficoltà fonetiche e in quest'area l'inglese non è molto diffuso; l'uso della nostra lingua è quindi naturale, ormai facilitato dall'andirivieni di immigrati, più o meno temporanei e regolari, che ne diffondono l'accettabilità nei paesi d'origine. In tutto il Mediterraneo, insomma, l'italiano è utile per fare affari, per parlare con i turisti italiani (ai primissimi posti nelle presenze in Egitto, Turchia e Grecia) e anche per seguire i programmi televisivi italiani, una fonte di penetrazione culturale dei cui effetti culturali all'estero - spesso nefasti - solo raramente ci rendiamo conto. E non si trascurino i moltissimi americani che vanno a scuola di italiano per ritrovare le proprie radici e gli europei che lo studiano perché hanno nostalgia di una vacanza in Italia o perché si preparano a un soggiorno nel paese o semplicemente perché è una lingua bella e musicale. Dai ragazzini di Istanbul, che vendono chincaglierie ai turisti, ai professori di Harvard che consultano vecchi testi, dai piloti di Formula 1 ai preti che vogliono diventar vescovi: l'italiano è un patrimonio da non sciupare. Sarebbe un vero peccato se, per una malintesa devolution scolastica, in qualche regione d'Italia qualcuno pensasse di sostituirlo con una, pur interessante e preziosa, lingua locale. Magari, si fa per dire, con il lombardo.

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Mario Deaglio