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Tutte le leggi del mondo per salvare la Terra
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1. Tutte le leggi del mondo per salvare la Terra
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da Il Corriere della Sera
Giovedì, 21 Febbraio 2002

ECOLOGIA Un magistrato ha raccolto in migliaia di pagine l’imponente sforzo umano teso a impedire l’autoannientamento della vita

«Tutte le leggi del mondo per salvare la Terra»

Dai codici di Hammurabi alla Dichiarazione di Rio: una bibbia sulla lotta all’inquinamento


«Irrimissibilmente». Il Gran Consiglio della Serenissima del 24 dicembre 1568 non volle lasciare proprio il minimo dubbio su quale dovesse essere la sorte di chi rompeva un argine «in qual si voglia luogo della Signoria Nostra» facendo sì che «havessero poi a succeder dell’inondatione à grave danno de particolari». La pena era la morte. Unica punizione possibile per un delitto considerato grave quanto un omicidio. Anzi, peggio di un omicidio. Tanto che i governatori sparsi per le terre di San Marco erano diffidati dal farsi impietosire, quali che fossero le lacrimevoli ragioni dei colpevoli, poiché quella era la sentenza: «pena capital, della quale non gli possa esser fatta Gratia, né Remission alcuna per qual si voglia via, modo, forma, overo ingegno, che dir, ò imaginar, si possa». Chi oggi invoca la «certezza della pena» sarebbe rimasto soddisfatto: lì c’era. Irrimissibilmente.
A riportare il testo integrale della legge veneziana nella sua opera monumentale intitolata Storia, scienza e diritto comunitario dell’Ambiente (edizioni Cedam, euro 82,63), Antonino Abrami deve essersi sentito ribollire il sangue. Sono anni che, prima come pretore nella valle vicentina del Chiampo protagonista di una storica inchiesta sui disastri causati dalle concerie, poi come consigliere di Corte d’Appello a Venezia, invoca una maggiore severità contro chi inquina. E anni che, a partire proprio dalla «sua» battaglia contro i padroni della concia (che pure dopo l’inchiesta si sono dotati di un depuratore d’avanguardia) ha visto finire praticamente tutte le iniziative giudiziarie in processi interminabili e cavillosi chiusi da una prescrizione generale.
Abrami è un romano piccoletto e incontenibile d’origine calabro-veneta. E’ stato vicedirettore delle «Nuove» di Torino negli anni di piombo, ricercatore al Cnr, presidente della sezione penale della Pretura di Venezia (anche in processi noti come quelli contro Raul Gardini e Vittorio Sgarbi), è promotore del comitato per la costituzione d’un tribunale Onu per i reati ecologici, insegna Diritto comunitario dell’Ambiente a Urbino e porta la medaglia d’esser stato tra i primi magistrati italiani a perseguire i nemici della salute pubblica: «Quando partimmo non ne parlava nessuno. Eravamo quattro gatti: io, Gianfranco Amendola... Una stagione di rare vittorie, tante sconfitte».
Ha lavorato cinque anni per mettere insieme la sua opera: «tutte le notti, tutti i weekend, tutte le ferie». Ne è venuto fuori un volume di 1.146 pagine con un cd allegato di altre 15 mila. E se è vero che un non islamico sorride alla tesi musulmana che nel Corano ci sia «tutto ciò che un uomo deve sapere», è dura negare che nel suo ciclopico lavoro, inversamente proporzionale alla stazza fisica, Nino Abrami abbia condensato tutto (o quasi tutto) quello che è stato prodotto nel mondo in difesa della salute dell’uomo e dell’ambiente.
Dai primi codici medievali sull’uso del sottosuolo e delle miniere ai rapporti della conferenza sulle «Città sostenibili» di Lisbona, dall’«Appello di Hannover» al trattato di Nizza, dalle leggi regionali alla «Dichiarazione di Rio». Più quintali di documenti (in versione elettronica) sulla «risorsa acqua e l’ecosistema lacustre» o «la risorsa spazio e l’ecosistema extra-atmosferico». Una massa d’informazioni enorme. Accumulata solo grazie a una serie di preziose collaborazioni, ad Internet (dove sono stati recuperati in parte i testi) e alla cocciutaggine di Abrami.
Una cocciutaggine onnivora. Dove accanto agli interi corpi legislativi della Ue e di tutti gli stati europei, preziosi per avvocati e no global, giudici e Casarini, c’è spazio per una ricostruzione della storia dei problemi ambientali e del concetto di salute pubblica. Dove puoi scoprire che i primi guasti ecologici di responsabilità tutta umana furono quelli causati dagli scarti della lavorazione della selce e dal disboscamento intensivo che a Cipro, per fare un esempio, portò a una «destabilizzazione dei terreni collinari». Che a partire dal quarto millennio a.C. l’uomo cominciò a patire i danni dovuti all’ingestione di piombo, usato nelle diverse leghe con cui venivano costruiti gli attrezzi da cucina. Un problema gravissimo, che secondo alcuni studiosi (i quali hanno a lungo studiato le condotte d’acqua e i vari recipienti utilizzati) avrebbe pesato sulle stesse sorti di Roma insieme coi disastri provocati dagli scarichi organici di una città godereccia dalla quale Lucio Anneo Seneca sarebbe fuggito lamentando «la nauseabonda atmosfera causata dai miasmi provenienti dalle "fumiganti cucine"».
Oggi certe cose le sappiamo, allora meno. Basti pensare, come spiega il docente di oncologia Giuseppe Cartei, che sono stati «trovati vasi di argilla cotta datati oltre 4000 anni fa che contenevano nell’impasto fibre di amianto, per renderli più resistenti al fuoco», che «l’amianto veniva utilizzato dai Greci negli stoppini delle lampade dei templi per consentire una più lunga durata» e che «i Cinesi sono stati forse i primi a tessere fibre di amianto in panni anti-fuoco giacché notizie su questi manufatti sono riportate da Plinio il Vecchio, da Marco Polo e da vari autori nel Medio Evo». Marco Polo, in particolare, ricorda che certi popoli asiatici «esponevano al fuoco dei tessuti sporchi, che uscivano puliti e indenni».
Sapete chi fu il primo a sancire il diritto alla salute? Hammurabi, che nel suo celeberrimo codice inciso su una stele di diorite fissa sanzioni «per i pregiudizi alla salute causati dall’errore di medici durante gli interventi operatori e per i danni causati da negligenza negli scambi commerciali». Il primo a stabilire i criteri con cui doveva operare una miniera? Re Wenzel di Boemia col «Diritto minerario di Iglau». Il più duro nel punire i piromani? Il duca Friederick IV del Tirolo, che il 26 giugno 1427, a Vipiteno, fissò per chi appiccava un incendio «come per l’omicidio, la rapina, la violenza carnale, il furto grave, il tradimento e la falsificazione di monete o l’eresia, la pena di morte oppure la mutilazione del corpo».
Quanto alla nostra Penisola, gli esempi più interessanti di legislazione ambientalista sono quelli delle «Regole» delle Dolomiti ampezzane e soprattutto della Serenissima. Fragile ed esposta, Venezia era attentissima, rispetto a tutti gli altri stati di allora, alla propria salvaguardia. Basti leggere le durissime deliberazioni contro le fonderie di piombo, contro gli scarichi di rifiuti agricoli nelle acque che finivano in laguna e soprattutto, nel settembre del 1291, contro le vetrerie che rendevano l’aria irrespirabile e furono costrette a spostarsi a Murano e adottare misure che contenessero l’inquinamento. Prova provata che già allora era diffusa, nella magica città sospesa tra la terra e l’acqua, quella consapevolezza che si ritrova al di là degli oceani in un monito degli indiani Cree del Quebec che Nino Abrami ha fatto suo: «Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, quando l’ultimo fiume sarà avvelenato, quando l’ultimo pesce sarà catturato, allora vi accorgerete che i soldi non si possono mangiare».

Gian Antonio Stella


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Date: 21 Feb, 2002 on 07:38
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