A CASA E FUORI: LE DONNE LAVORANO PIÙ DEGLI UOMINI
SETTE SETTIMANE E MEZZO

5,7 ore di lavoro in più ogni settimana fanno 296 ore l'anno, pari a otto settimane di 35 ore, o sette settimane e mezzo di 40 ore. Comunque la si metta, le donne impegnate sui due fronti del lavoro remunerato e del lavoro familiare lavorano oltre un mese l'anno in più degli uomini, dei loro compagni. I dati presentati in questi giorni dalla Banca d'Italia segnalano che nulla è cambiato rispetto a quanto rilevato dall'Istat nel 1989 nella prima indagine nazionale sull'uso del tempo (che dovrebbe essere ripetuta quest'anno). Anzi, sembra che le cose siano peggiorate: allora si era calcolato che le donne lavorassero - tra casa e fuori - un mese scarso in più degli uomini. Ora siamo arrivati a quasi due mesi: sottratti al riposo, al tempo libero, alla formazione continua, alle amicizie. Vista in questa prospettiva, la strada della uguaglianza si presenta per lo meno problematica: la partecipazione al mercato del lavoro fa aumentare, anziché diminuire, il divario tra le condizioni di vita di uomini e donne. È chiaro anche perché: per quanto le donne abbiano aumentato la loro partecipazione al mercato del lavoro, quindi diminuito la loro dipendenza economica, la dipendenza dei mariti, dei figli, degli anziani non autosufficienti dal loro lavoro familiare rimane intatta (e nel caso delle persone non autosufficienti persino aumenta). In particolare, non c'è proporzione tra i mutamenti intervenuti nella partecipazione delle donne al lavoro remunerato e quelli - scarsissimi - nella partecipazione degli uomini al lavoro familiare. È proprio su questo terreno, nelle ore dedicate a questo lavoro, che sta la maggiore differenza tra uomini e donne. Si dirà che la soluzione sta nell'aumento delle possibilità di lavoro part-time per le donne, perché possano meglio conciliare lavoro familiare e lavoro remunerato, senza esserne schiacciate. Se questo significa un allargamento delle libertà di scelta va ovviamente benissimo. Ma non ignoriamo che già ora i redditi da lavoro delle donne sono in media più bassi del 25-30%, a parità di orario di lavoro e di qualifiche. Riducendo l'orario come soluzione alla gravosità del doppio carico di lavoro ridurrebbero in modo sostanzioso il proprio reddito, quindi l´autonomia economica. Senza parlare del fatto che in molti casi il loro reddito intero è ciò che fa la differenza tra benessere e povertà per le loro famiglie. Non è quindi solo sulla durata, e l'organizzazione, dell'orario di lavoro remunerato delle donne che si deve intervenire, ma anche su quello del lavoro familiare: in primo luogo incoraggiando un riequilibrio tra uomini e donne in questo campo almeno pari a quanto è avvenuto nel lavoro remunerato e nella divisione delle responsabilità per il sostentamento della famiglia. In secondo luogo alleggerendo le famiglie, le donne, di parte dei carichi di lavoro di cura: servizi per l'infanzia, servizi domiciliari per le persone non autosufficienti. In terzo luogo favorendo una offerta di servizi alle famiglie che spostino fuori di esse parte del lavoro domestico. Ciò significa anche considerare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro come una risorsa di sviluppo e di creazione di domanda di lavoro, non come un male necessario di cui le donne devono pagare il costo.

Chiara Saraceno