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WIESEL Io ricordo ma non per odiare
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1. WIESEL Io ricordo ma non per odiare
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da Il Corriere della Sera
Giovedì, 17 Gennaio 2002

WIESEL Io ricordo ma non per odiare
Intervista al Nobel per la Pace che paragona l’11 settembre ad Auschwitz e Hiroshima Il 27 gennaio, Giornata della memoria, andrà in scena il suo testo più famoso: «La notte»

«Non si può concepire il Lager con Dio, né senza Dio»

In Il male e l’esilio lei ha detto: «Auschwitz è la fine, Hiroshima l’inizio... ma rischiamo di avere altre Hiroshima». Dove, in questo percorso di tragedia, dovremmo collocare l’11 settembre 2001? «Probabilmente l’11 settembre va collocato nel mezzo; e se non stiamo attenti, se dimentichiamo troppo presto, allora un’altra Hiroshima è possibile, non un altro Auschwitz, ma un’altra Hiroshima sì. Forse c’era così tanto odio in quegli anni, in quei tempi, in quegli eventi che si ha ancora un fall-out . Così come parliamo di precipitazione radioattiva possiamo parlare di precipitazione di odio. E cinquant’anni dopo siamo testimoni di questa precipitazione e questo fall-out , queste ceneri d’odio ancora brucianti, sono sparse da fanatici che credono di avere Dio dalla loro parte. E credono che Dio sia diventato un loro complice, un complice di assassinio e assassino. Come possono coinvolgere Dio in un assassinio?
«Ma l’11 settembre è una data importate perché migliaia di persone sono state uccise soltanto perché si trovavano là. Ebrei, cristiani, musulmani, giovani, vecchi, ricchi e poveri, uomini e donne. Erano là e per questo sono morti. E io credo che tutto il mondo civile debba mobilitarsi con tutti gli sforzi possibili e tutte le energie per combattere il terrorismo. Il terrorismo ora è il nemico. Il nemico dell’umanità».
Nel romanzo L’oblio lei parla del morbo di Alzheimer. La paura della perdita della memoria attraversa gran parte delle sue opere. Questa terribile malattia sembra una metafora dei nostri tempi in cui troppo spesso odio e violenza vincono. Come può l’uomo, dopo l’Evento, continuare a ripetere gli errori e le atrocità del passato?
«Che ne è dell’umanità che non impara dal passato? Vorrei saperlo. La questione è che la natura umana non può essere cambiata così rapidamente. Probabilmente non nell’arco di una sola generazione, e nemmeno in un secolo. Perciò siamo sedotti dal male, siamo tentati da ciò che è impuro. E quando quella tentazione prende il potere allora siamo in pericolo. La minaccia per questa generazione, questo secolo, i giovani di oggi, i bambini, è il fanatismo, l’odio, l’odio razziale, l’odio religioso, l’odio etnico, l’odio culturale. E l’odio è come un cancro, quando c’è è difficile fermarlo perché contagia da cellula a cellula, da arto ad arto, da persona a persona fino alla morte. Sì, oggi abbiamo dei nemici che credono che il loro essere uomini consista nel potere di uccidere. Devono essere fermati, una volta ancora».
In L’ebreo errante lei ha scritto: «Ad Auschwitz è morto non solo l’uomo, ma anche l’idea dell’uomo». Dopo essere passato attraverso «il male assoluto» , ha ancora fiducia nell’uomo? Nel Bene?
«Non si può concepire Auschwitz con Dio, né senza Dio. E quindi ci troviamo davanti a un dilemma. Che fare allora? Continuiamo a farci questa domanda e rispondiamo che non si può concepire Auschwitz avendo fiducia nell’uomo e neppure senza. Dov’era l’umanità in quegli anni? È troppo facile dire che tutto è Dio. E gli uomini? Auschwitz non è sceso dal cielo. È stato concepito dall’uomo, edificato dall’uomo, reso efficiente dall’uomo. È stato frutto dell’uomo. Spesso di uomini intelligenti; alcuni anche colti, e ben educati. Allora perché educare? Io sono un educatore. Perché credere nella cultura? Io sono uno scrittore.
«Non ho una vera risposta. Tutti quello che posso dire è: qual è l’alternativa? Andare contro l’umanità? Non posso farlo, tradirei me stesso. Allora lavoriamo, e cerchiamo di dare un significato alle cose che ancora non ne hanno. Ma facciamolo sempre per l’umanità, non contro».
In questi anni l’Europa ha conosciuto gli orrori della Bosnia e del Kosovo. Che cosa dovremmo insegnare ai nostri figli affinché la fine dei genocidi diventi realtà e non solo un sogno?
«Ho visitato i Balcani, sono stato là, sono stato a Sarajevo, sono stato in Bosnia durante i massacri. Ricordo che giravo chiedendo alle persone: «Perché fate questo? Perché tutto questo odio?». E là, davanti al mio sconcerto, alla mia paura, al mio disincanto, hanno evocato il potere della memoria. E dicevano: "Che significa? Ma mio nonno è stato ucciso, o umiliato, da suo zio, dal suo prozio, come posso dimenticarlo?". E a causa di fatti successi duecento anni prima, combattevano uno contro l’altro, ammazzandosi reciprocamente.
Io credo che la memoria sia un rimedio contro l’odio, ma loro usano la memoria per spargere odio. È un problema di cultura. Penso che adesso la situazione sia migliorata perché alcuni dei politici che hanno commesso i massacri si trovano ora a L’Aia, affronteranno la corte e verranno puniti, spero come meritano.
«Le cose si sono calmate. Significa che non succederà più? Siamo ottimisti. Speriamo per tutti i bambini che la smettano con questa assurda pratica con la quale si sono divertiti per generazioni: uccidere. Che c’è di grande nell’uccidere? Non c’è gloria in quel gesto. Non si rendono conto che non esiste gloria nell’uccidere? Gran cosa essere in grado di uccidere uomini, donne e bambini, civili senza difesa! Che c’è di grande in tutto questo?
«Spero capiranno».


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Date: 17 Jan, 2002 on 18:04
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