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Avalle, il romanzo è un gioco di segni
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1. Avalle, il romanzo è un gioco di segni
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da La Stampa
Venerdì, 11 Gennaio 2002

MORTO IL PADRE DELLO STRUTTURALISMO ITALIANO
Avalle, il romanzo è un gioco di segni

IERI notte, dopo lunga sofferenza, è morto D'Arco Silvio Avalle. È stato un grande maestro. La sua scomparsa ci tocca da vicino, sul piano di un affetto personale, e anche perché nel ricordarlo ripercorriamo pezzi di storia dell'Università di Torino e della cultura italiana degli anni ླྀ-70, «quando eravamo strutturalisti». Ricordo che andavo spesso a trovarlo, in collina, nel suo eremo: «Vedi - diceva a me perplesso - questo quadro che ho alle spalle» (era dietro alla scrivania), «è soltanto "struttura". Bisogna studiare questa superficie. Quello che c'è dietro, se qualcosa c'è, conta meno». E poi giù a spiegarmi con la sua solita passione che soltanto se analizzata come prodotto materiale dotato di proprietà osservabili l'opera può ambire all'oggettività della descrizione scientifica. Avalle, nato a Cremona nel 1920, è stato un importatissimo filologo romanzo e ha al suo attivo edizioni critiche fondamentali. Dopo l'insegnamento torinese s'è trasferito a Firenze, sulla cattedra di Gianfranco Contini, là è tornato a dedicarsi totalmente alla sua disciplina. Per l'Accademia della Crusca ha messo in cantiere le poderose Concordanze della poesia del Duecento. Ma negli anni torinesi è stato soprattutto un critico letterario (quando uscì la prima redazione degli Orecchini di Montale, nel ཽ, non si parlava d'altro) e un semiologo di punta. Col suo radicalismo e contagioso entusiasmo guidava trascinanti avventure metodologiche, in anni di forte impegno, per i quali ci punge ora anche la spina della nostalgia, se li commisuriamo con questi ultimi di ristagno, con scenari poco mossi, perché ci sono meno movimenti di pensiero. Ricordo che Avalle ci fece leggere per primo i nuovi, per noi, testi dei formalisti russi. Fondò e diresse con Segre, Isella e Maria Corti la prestigiosa rivista Strumenti critici, che contribuì a svecchiare e a rivitalizzare la nostra cultura, in tempi in cui tra formalisti, avanguardisti, contenutisti, marxisti e le retroguardie della critica idealistica ferveva un dibattito intellettuale sempre ad alta tensione e d'alto profilo. Ricordo ancora i Seminari di Avalle. Li capitanava, con fascino irresistibile, esortando e perorando in favore di una critica non impressionistica, ma finalmente concreta, verificabile su dati prevalentemente di natura filologica e linguistica. Insisteva sul fatto che era molto meno interessante per l'analisi di un testo l'andare a cercare ciò che vi si riflette (la psicologia, l'ambiente sociale, le idee). Le circostanze esterne in cui un testo è prodotto gli sembravano meno decisive per l'interpretazione. Furono principi che trasmise ai suoi allievi, educandoli a liberarsi da uno storicismo che sembrava troppo incombente (idealista o marxista che fosse), lo storicismo al quale interessava di meno guardare a «strutture» e «funzioni» di un testo, ma risolvere piuttosto ogni attività artistica nelle ragioni della Storia, nelle sue direzioni, nelle sue motivazioni, subordinandole il valore dell'oggetto letterario, con la conseguente perdita di autonomia, mentre il problema fondamentale ad Avalle pareva allora quello di impostare ricerche condotte su ciò che tiene uniti gli elementi che compongono l'opera, dando a ciascuno un posto significativo in rapporto con il complesso, allo scopo di rispondere alla domanda su «che cosa è un testo», quali «i caratteri che definiscono la letteratura come letteratura», senza doverla sempre spiegare e riferire a un ordine esterno di categorie o misurarla con mezzi e strumenti che le competono sì, ma soltanto in parte. Anteponeva alla lettura impressionistica, assaporatrice di aromi, una lettura coraggiosamente concreta, rigorosa, basata su fatti materialmente accertabili. Al che cosa è detto mostrava di preferire il come è detto. Contribuiva così, insieme a tanti altri compagni di strada, alla costruzione di quel ponte che la cultura degli anni Sessanta-Settanta gettò tra critica filologia e linguistica. Il che distinse subito la cultura nostra di quegli anni dalla coeva francese, dove formalismi e strutturalismi vari operavano come spinte a imprese sistematiche che mettevano sottosopra i fondamenti, fondavano una nuova «grammatica» di lettura, mentre da noi prevalse una modalità testuale, operativa. Avalle era affascinato dalle scienze esatte, dalle matematiche. Spesso cercava quasi di razionalizzare l'impossibile, il non razionalizzabile e lo sfuggente. Non certo per ingenuità, ma nel tentativo di incasellare la seduzione e l'inafferrabile del mondo affidandosi alla virtù cardinale della ragione, per non lasciarci sopraffare da ciò che sfugge al sistematico, al «tout se tient» che aveva ereditato dal suo Saussure.

Gian Luigi Beccaria


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Date: 11 Jan, 2002 on 08:17
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