da La Stampa
Sabato, 5 Gennaio 2002 A gennaio si vota per le commissioni universitarie
Aboliamo i concorsi
di Federico Vercellone
Pochi sanno che a fine gennaio si tornerà a votare. Si tratta invero di votazioni particolari che coinvolgono non il corpo politico ma quello accademico, e che sono rivolte alla nomina delle nuovi commissioni per reclutare i professori universitari di prima e di seconda fascia nonchè i ricercatori.
Si metterà in moto una macchina decisamente complessa, che indicherà quali commissari dovranno valutare le pubblicazioni, più in generale i titoli e le capacità didattiche dei singoli candidati. È un iter anche dispendioso, che dovrebbe tuttavia garantire l'autonomia dell'università, il suo carattere per definizione libero da istanze estranee che turbino la serenità e l'indipendenza della ricerca scientifica e della didattica.
La cura dell'istituzione è affidata infatti in questo modo a quelle stesse mani che ne promuovono l'andamento. È fin troppo noto che le cose non vanno così bene, che il meccanismo dei concorsi è inutilmente contorto e si presta fin troppo spesso a manipolazioni del tutto estranee alla valutazione delle capacità del candidato.
La nuova normativa dei concorsi, introdotta con il ministro Ortensio Zecchino, ha inteso modificare quella precedente fornendo un maggior peso alle singole Facoltà che nominano autonomamente un loro membro interno che le rappresenta in commissione, e forniscono un profilo dello studioso che coincide con le necessità dell'istituzione.
È evidente che molto spesso il profilo dello studioso coincide in realtà con quello degli studi e delle attività scientifiche del candidato interno della Facoltà medesima, gli interessi della quale (e del quale) vengono tutelati dal membro interno.
Quest'ultimo ha poi buon giuoco a proteggere il candidato che gli è stato «affidato», in quanto la commissione può fornire due idoneità al titolo in concorso che possono poi essere utilizzate in tutte le sedi universitarie del paese (fino all'anno passato erano addirittura tre); questo significa che il candidato «locale» viene garantito in cambio della certezza che altri studiosi, ritenuti degni dalla maggioranza degli altri membri della commissione, possano risultare a loro volta idonei.
In breve si tratta, neppure troppo celatamente, di un gioco di scambi, del quale possono beneficare, intendiamoci - e questo spesso accade - persone degnissime.
Ora, c'è tuttavia da chiedersi: ma era necessaria tanta fatica per assumere qualcuno che il «datore di lavoro» intendeva già sin dall'inizio avere come proprio collaboratore e funzionario della propria azienda?
Non credo che si tratti di denunciare qualcosa che è di fatto sotto gli occhi di tutti (quantomeno di tutti gli interessati), per sentirsi magari dire che a tutti piacerebbe un mondo migliore, ma che la vita è così. Bene che così sia.
Ma allora siamo realisti davvero: eliminiamo i concorsi e passiamo all'assunzione secca dei docenti sotto la responsabilità delle singole sedi universitarie, con una decisione che sia eventualmente confortata dal parere favorevole di una commissione scientifica nazionale. E se la moralità consistesse talora semplicemente nel semplificare le cose? Perchè non pensarci su?
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