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Muoiono tra le fiamme diciannove disabili
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1. Muoiono tra le fiamme diciannove disabili
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da Il Corriere della Sera
Lunedì, 17 Dicembre 2001

Muoiono tra le fiamme diciannove disabili

Salerno, rogo in un prefabbricato del dopo terremoto. Forse un cortocircuito. Si indaga per strage colposa


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
SAN GREGORIO MAGNO (Salerno) - Erano uomini, donne, alcuni molto anziani, altri ancora piuttosto giovani. Schizofrenici o psicotici, venivano dai manicomi di Nocera e Mater Domini, e da quando li avevano chiusi vivevano tutti insieme in un grande prefabbricato con le stanze a due letti, la sala-svago e la cucina. Ora quel prefabbricato non esiste più, dalla notte tra sabato e ieri è un ammasso di roba nera e irriconoscibile. E pure loro, quasi tutti gli uomini e le donne, gli anziani e i giovani, non esistono più. Sono soltanto corpi anneriti.
Erano ventotto, ne sono morti diciannove, asfissiati e poi carbonizzati nell’incendio di quella che era la loro casa. Forse è stato un cortocircuito, oppure una stufa che chissà per quale motivo ha lanciato una fiamma verso un lenzuolo, una coperta o qualcosa del genere. Poi è bastato qualche attimo e hanno preso fuoco le brande e le sedie e gli armadietti e i tramezzi in materiale pressato. Tutto.
La strada che collega San Gregorio Magno a Buccino è una statale aggrappata sulle montagne dell’entroterra salernitano, quasi al limite con la Basilicata, che attraversa i paesi devastati dal terremoto del 1980. Oggi è piena di neve, ma anche se lo scenario non fosse così bianco, l’impressione sarebbe la stessa: questo è un posto sperso, un tratto d’asfalto da evitare quando fa freddo perché si ghiaccia e c’è il rischio di non poter andare né avanti né indietro.
Il centro che ospitava i disabili psichici sta proprio a metà tra Buccino e San Gregorio. Sino all’altro giorno qui la vita scorreva nel pieno rispetto dei dettati della legge Basaglia. Uscite in gruppo ogni mattina per andare a fare la spesa o per passare qualche minuto al bar in piazza, poi attorno a dare una mano in cucina, e nelle occasioni speciali gita al mare o nei paesi vicini. A Natale, poi, tutti insieme a preparare il presepe e l’albero e a organizzare il pranzo della festa.
Quest’anno lo avevano fissato per domani, e qualcuno degli ospiti c’era rimasto male perché non avrebbe potuto partecipare: in tre oggi avrebbero dovuto fare le valigie e andare via, destinati a essere ospitati in famiglie o in altri centri. Del resto questo posto, in termini tecnici, era un Sir, una struttura intermedia riabilitativa. Ora però non conta più niente, i nomi di quei tre pazienti - Vincenza Caponegro, di 34 anni, Giovanni Faucera, di 68, e Elvira Cramigniti, di 61 - figurano nell’elenco dei diciannove morti. Come Enrico Rufolo, 55 anni, psicotico e cieco dalla nascita, una sorella morta in un incidente stradale e un fratello pure lui affetto da turbe gravissime.
Il cugino di Rufolo, Raimondo Coppola, ora racconta di aver parlato tante volte con i responsabili della struttura e di essersi lamentato perché «tre infermieri erano pochi, malati così sono sempre a rischio di crisi, e se la crisi l’hanno in due contemporaneamente, di chi devono occuparsi gli infermieri?». Ma che potesse succedere quello che è successo l’altra notte non se l’era immaginato mai nemmeno lui, che pure in quel centro ci andava ogni settimana, si tratteneva sempre almeno un’ora e conosceva tutti e sapeva come scorreva la vita lì dentro. E a parte l’assistenza, che lui giudicava insufficiente, per il resto era contento di tutto.
Ora invece ci sarà da capire come ci è arrivata la morte, nel prefabbricato che fu un dono della Francia all’indomani del terremoto del 1980. Sono state avviate due inchieste, una della procura di Salerno per strage colposa e l’altra, amministrativa, disposta dalla Regione Campania. Né l’una, né l’altra, però, potranno prendere una qualsiasi piega sin quando i periti non spiegheranno che cosa è stato a causare il rogo. Un rogo che i vigili del fuoco, avvertiti con grande ritardo e con troppe difficoltà dagli infermieri in servizio nel centro e da automobilisti di passaggio, hanno spento quando ormai chi stava dentro era morto da un pezzo. E alla fine, per dare un nome a ognuno di quei diciannove cadaveri, i carabinieri e i dirigenti della Asl hanno dovuto basarsi sui posti assegnati a ogni degente, visto che altro modo per riconoscere i corpi non c’era.

Fulvio Bufi


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Date: 17 Dec, 2001 on 10:24
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