«Lauree fuori tempo massimo, faremo ordine»

Il ministero: troppe differenze tra le varie università. «Un tetto anche ai costi per gli studenti»

L’autonomia degli atenei, introdotta dalla riforma universitaria, sta creando una situazione di disparità nel trattamento degli studenti. Il ministero ha deciso d’intervenire per «omogeneizzare» regole e criteri di valutazione, poiché oggi «sono troppo grandi gli sbilanciamenti fra i singoli atenei»

ROMA - Gli esami universitari non scadono più dopo 8 anni. O, almeno, non dovrebbe più succedere dopo la riforma che ha rivoluzionato le nostre università. Nella pratica, però, non è così ovunque. Perché - come ha anticipato il Corriere - alcuni atenei questo limite lo hanno mantenuto, altri lo hanno addirittura ridotto. Ma è il ministero dell’Università il primo a non essere convinto di questa differenza di trattamento che si è venuta a creare. «Penso che uno studente potrebbe anche protestare davanti a un simile diritto negato, dovremo affrontare la questione», dice Antonello Masia che al ministero è il direttore generale proprio del dipartimento dell’autonomia universitaria. E’ lui che insieme al ministro Letizia Moratti si occupa direttamente della riforma universitaria. «E’ una riforma complessa ed è ancora in una fase sperimentale, la stiamo monitorando», ammette Masia. E non nasconde che i problemi sono tanti: «Quello della scadenza degli esami è sicuramente un problema importante. Il punto è che la norma non è chiarissima: non parla di una deroga o di una modifica al Regio decreto del 1938 che stabiliva il limite degli otto anni. Dice, semplicemente, che adesso si possono riconoscere esami già sostenuti purchè non siano obsoleti. Poi rinvia tutto ai regolamenti didattici degli atenei». E da qui il problema principe della riforma: come si giudica l’attualità di un esame?
Adesso ogni ateneo fa come crede: valuta gli esami fatti in passato e decide quanti crediti attribuire. Servono 180 crediti per arrivare a una laurea. Così ora può succedere che ricalcolando i vecchi esami in un ateneo si arrivi alla laurea e in un altro no, perché in un ateneo si è dato 10 crediti a un esame e nell’altro 2. «E anche qui bisognerà intervenire, trovare una formula per omogeneizzare i criteri di valutazione. Sono troppo grandi adesso gli sbilanciamenti tra gli atenei». L’idea di Antonello Masia è di attivare tutte le conferenze dei presidi di facoltà. Spiega: «I 40 presidi di Medicina o i 38 di Giurisprudenza, ad esempio, si mettono attorno a un tavolo e fissano i tetti per le valutazioni. Minimi e massimi, valutando ogni singolo esame».
Ma a scottare tra le pieghe della riforma universitaria c’è anche un problema economico. Il primo timore del ministero, in realtà, è il business privato che sta già fiorendo. Ma anche nelle università c’è il rischio di un business . Da quando non c’è più il limite della scadenza degli otto anni per gli esami, una direttiva il ministero l’ha data, ma è soltanto indicativa, visto che invita a far pagare contributi forfettari e non già tutte le tasse arretrate per ogni singolo anno perduto. Il risultato è che i contributi variano molto da università a università.
Un problema che il ministero non ha ancora affrontato: «La verità è che non ci sono ancora arrivate lamentele. Forse perché siamo appena agli inizi. Ma se uno studente dovesse ritenere di trovarsi a una richiesta di contributi forfettari troppo esosi potrebbe rivolgersi al garante dell’ateneo o al consiglio nazionale degli studenti. Se dovesse succedere valuteremo l’ipotesi di fissare limiti anche qui».

Alessandra Arachi