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SCUOLA, ORIGINE DI UN DISSESTO
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1. SCUOLA, ORIGINE DI UN DISSESTO
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da Il Corriere della Sera
Domenica, 9 Dicembre 2001

Studenti demotivati, docenti-massa, mezzi scarsi
SCUOLA, ORIGINE DI UN DISSESTO

di ALBERTO RONCHEY


Queste agitazioni degli studenti, con le occupazioni di licei e atenei che si replicano tutti gli anni, sono dovute solo a riti ormai convenzionali? Per qualche aspetto la pulsione agitatoria è un riflesso condizionato collettivo, un atto di presenza generazionale. Anzi nel caso degli adolescenti più spensierati, secondo l’ipercritico sguardo di Arbasino, queste liturgie autunnali hanno successo come San Valentino e la notte di Halloween. Ma è anche manifesto che l’istruzione pubblica versa in un cronico malessere, o è gravemente malata negli studi medi e superiori. Fra le cause oggettive di simili condizioni, risultano evidenti le insufficienze dei bilanci ministeriali e delle selezioni sia tra gli studenti sia tra i docenti.
Al di là d’ogni giudizio sulle contestazioni attuali, si deve risalire all’origine del dissesto, che fu dovuto all’ambizione ingenua o millantatoria di elargire l’istruzione superiore per tutti o quasi dopo la «scuola dell’obbligo» senza commisurare mezzi e fini. Cioè, senza risorse materiali e tecniche proporzionate all’impresa, infrastrutture aggiornate, retribuzioni del corpo insegnante adeguate a sostenere insieme la sua qualità e la sua espansione.
Da decenni, ecco dunque i «docenti massa» nelle scuole medie superiori come precari esasperati oltreché spesso impreparati. Ecco la dequalificazione scolastica, o persino l’ingovernabilità delle aule alla mercé di alienati e disadattati. E ancora, ecco la riduzione degli atenei a recinti per il parcheggio di semintellettuali non orientati a mestieri utili per l’economia e per se stessi, con la prospettiva d’una prolungata disoccupazione o sottoccupazione.
Eppure l’articolo 34 della Costituzione ha prescritto norme responsabili e realistiche: «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». E invece, come s’è visto, il preteso diritto agli studi superiori per tutti è stato un crudele inganno. Infatti, ormai da tempo, fra le masse universitarie solo un terzo riesce a laurearsi.
Ora il disegno di riforma Moratti annuncia l’investimento di 19 mila miliardi nel prossimo quinquennio, insieme con la rivalutazione della scuola professionale. Se l’impegno è sufficiente, vale anche a riconoscere gli errori legislativi e amministrativi del passato. Ma in ogni caso niente vale a giustificare qualsiasi autocommiserazione generazionale fuori misura, sia pure dinanzi alle incerte prospettive dell’economia nei giorni nostri. Dopo tutto, vasti ceti sociali allevano in un relativo benessere i loro figli, contestatori ma insieme consumatori vezzeggiati del prospero teen-market .
Fra le altre rivendicazioni, gli studenti chiedono «un tavolo interministeriale per la scelta dei libri di testo». Bene, ma per cominciare sarebbe istruttivo qualche ragguaglio sulla storia nazionale dell’ultimo mezzo secolo. I ventenni del dopoguerra si trovarono fra le distruzioni d’un quinto della «ricchezza nazionale» mentre i consumi erano caduti al 40 per cento di quelli prebellici già poveri, eppure un’autocommiserazione di massa non c’era e chiunque con qualsiasi titolo di studio accettava qualsiasi lavoro anche manuale. Non l’insegnano i professori a scuola? Forse dovrebbero, se non altro perché ogni promemoria è sempre utile.


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Date: 09 Dec, 2001 on 11:17
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