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Riforma Gentile, tutto il resto è un'imitazione
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1. Riforma Gentile, tutto il resto è un'imitazione
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da Panorama
7/12/2001

SVOLTA SUI BANCHI - CHE COSA INSEGNA IL PASSATO AGLI STUDENTI
Riforma Gentile, tutto il resto è un'imitazione

Attuale, prestigiosa o superata: oggi, storici e intellettuali si dividono sulla scuola inventata dal filosofo del Ventennio. Ma su una cosa sono tutti d'accordo: era e resta un modello.

di PASQUALE CHESSA

FUORI DALL'AULA. Una delle manifestazioni studentesche di quest'anno: il mondo della scuola è in fermento.

E se tornassimo a Gentile? Gentile è Giovanni, il ministro del primo governo Mussolini, ma soprattutto il filosofo che nel 1923 realizzò la più radicale e duratura riforma della scuola italiana di ogni ordine e grado. Diamante del progetto il liceo classico con una gerarchia di materie che dava una posizione preminente all'insegnamento dell'italiano e del latino con la storia e la filosofia, oltre al greco, a fare da ancelle, mentre agli insegnamenti scientifici non rimaneva che il ruolo di «valletti». Quella di Gentile era una scuola per pochi in una società autoritaria, viziata da un profondo pregiudizio antiscientifico, refrattaria allo studio delle lingue straniere.

Eppure, nonostante si tratti di una riforma mancata, perché il fascismo con la politica dei piccoli ritocchi ne vanificò la forza propulsiva, il corso di studi progettato da Gentile ha lasciato un'immagine di studiosa virtù che nessuna riforma contemporanea è mai riuscita a rigenerare. «Si chiama Gentile ma in realtà è l'espressione più compiuta del pensiero idealistico del primo Novecento, come conferma il grande ruolo attribuito alla filosofia e alle discipline collegate tipo la storia. Non sbagliava, infatti, Benedetto Croce quando la chiamava, scrivendo a Gentile, la nostra riforma» spiega Francesco Perfetti, storico vicino al metodo di Renzo De Felice. E il direttore di Nuova storia contemporanea aggiunge: «La centralità della cultura umanistica corrisponde a un'idea dell'uomo e della vita come un continuum con la storia: è la globalità pedagogica e filosofica del progetto l'aspetto cruciale della riforma.

La fine dell'idealismo e della sua egemonia, dopo la caduta del fascismo, ha favorito la diffusione della sociologia come nuova scienza della modernità. I tentativi di riforma contemporanei, sia di destra che di sinistra, ci appaiono parziali, basati su una visione del mondo sociologica che sotto una patina di modernità nasconde tutte le sue inadeguatezze. Siccome non abbiamo il coraggio di progettare una scuola puramente tecnica innestiamo su un tronco idealistico nuovi scimmiottamenti sociologici».

Ma fino a che punto, di fronte al malessere del mondo della scuola, che attraversa governi e generazioni, il ritorno a Gentile può rappresentare qualcosa di più che una semplice provocazione storiografica? Giacomo Marramao, direttore della Fondazione Basso, filosofo di sinistra ma sul filo dell'eresia, dice: «La riforma Gentile è stata l'ultima cosa di prima grandezza che sia successa alla scuola italiana. Tanto è vero che l'Italia è riuscita a selezionare classi dirigenti di alta qualità culturale fino al ྀ, fino alla degenerazione dell'università di massa.

Gentile andrebbe riabilitato solo per aver inventato quel gioiello didattico che è stato il liceo classico. Perché il liceo non è servito per formare solo letterati, ma anche gli scienziati. Per non parlare dell'importanza data alle scuole normali superiori, penso soprattutto alla sua Normale Superiore di Pisa diventata un'istituzione culturale di rango internazionale. Ma secondo me l'invenzione più importante di Gentile, qualcosa che in Europa non c'era mai stata, è la politica culturale. Cioè la costruzione del consenso attraverso l'organizzazione pluralistica del sapere. L'Enciclopedia italiana, la Treccani, è il prototipo di quel modello di egemonia culturale.

E non è scandaloso dire che l'idea-prassi gentiliana, nel secondo dopoguerra, non è stata ereditata dalla destra ma dalla sinistra, anzi dalla sinistra di matrice comunista. È stata l'imitazione del progetto gentiliano di creare una grande organizzazione culturale che funzionasse come una struttura di accoglienza della parte alta della cultura italiana. Ebrei, marxisti, socialisti tutti hanno lavorato alla Treccani, anche sotto il fascismo. E dopo, la Normale di Pisa ha formato almeno due segretari del Pci-Pds-Ds: Alessandro Natta e Massimo D'Alema».

Sul prestigio postumo di Gentile deve aver pesato non solo la sua adesione politica al fascismo, fino alla Repubblica di Salò, ma anche la sua morte violenta per mano dei partigiani, in una strada di Firenze nel 1944 (secondo Renzo De Felice quell'esecuzione a cui non erano estranei gli inglesi servì poi da modello per l'esecuzione di Benito Mussolini).

Dice Angelo D'Orsi, storico della cultura e delle idee politiche (Intellettuali nel Novecento italiano è il suo ultimo libro per Einaudi), un marxiano critico schierato all'estrema sinistra: «È stata una riforma di classe che portava in sé un'idea aristocratica della cultura. Ma non fu una riforma fascista. Anzi, la fascistizzazione della scuola cominciò proprio con la politica dei "ritocchi", dopo le dimissioni di Giovanni Gentile. Ma se paragoniamo quella riforma, la profondità del dibattito culturale da cui era nata con i progetti di riforma che io chiamerei senza distinzioni "Berlinguer-Moratti", allora anche io sono pronto a chiamarmi "gentiliano"».

«Pensare di risolvere il malessere della scuola di oggi con una ricetta pensata per altri tempi mi sembra un'idea antistorica»: Sergio Romano ha scritto una biografia di successo di Giovanni Gentile. Ma non pensa che la sua riforma possa tornare a nuova vita. «Quella riforma è storicamente datata, filosoficamente sorpassata, culturalmente inattuale. Gentile si proponeva di formare una classe dirigente omogenea fondata sugli studi umanistici per un Paese profondamente contadino, ancora lontano dalle esigenze di una moderna società industriale.

La riforma di Gentile non è stata moderna nemmeno quando nacque. Perché, sebbene Mussolini avesse detto che era la più fascista delle riforme, in realtà il fascismo la visse e la osteggiò come l'eredità di un passato liberale. Il fascismo voleva una scuola ideologica, autoritaria piuttosto che autorevole, per formare il suo "uomo nuovo". La riforma di Gentile, però, aveva qualcosa che non era tipico solo di quella riforma ma di ogni riforma seria. Nella scuola di Gentile si bocciava».


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Date: 08 Dec, 2001 on 11:15
Riforma Gentile, tutto il resto è un'imitazione
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