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A SCUOLA MENO COMPUTER
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1. A SCUOLA MENO COMPUTER
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da La Repubblica
Sabato, 24 Novembre 2001

Secondo Clifford Stoll , uno dei pionieri di Internet, l'educazione è una cosa assai diversa dall'alfabetizzazione informatica

UN SAGGIO "ERETICO"
A SCUOLA MENO COMPUTER

Già oggi, grazie all'elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti. Pigiano sui tasti e si fidano della macchina

UMBERTO GALIMBERTI


Non ce l'ho con la tecnologia, i computer non mi spaventano, ma mi spaventa quel programma che prevede un computer per ogni studente, condiviso sia dalla destra che dalla sinistra, con una coincidenza di vedute, questa volta davvero bipartisan, come se bastasse introdurre nuove tecnologie per risolvere i problemi drammatici che oggi affliggono la nostra scuola.
Questa preoccupazione è condivisa da Clifford Stoll, uno dei pionieri di Internet che dal 1975 ha aiutato la rete a diventare un fenomeno planetario da quell'oscuro progetto di ricerca che era. Oggi dopo venticinque anni di completa dedizione al progetto, Stoll è diventato uno dei commentatori più critici, l'"avvocato del diavolo" come lo chiama Bill Gates. La sua tesi, esposta in Confessioni di un eretico hightech. Perché i computer nelle scuole non servono (Garzanti, pagg. 184, lire 29.000), è che l'educazione è una cosa assai diversa e molto più seria dell'alfabetizzazione informatica e che la scuola, e quindi il futuro della società, sono troppo importanti per essere affidati ai fanatici delle neotecnologie, ai fabbricanti di computer e di software e agli esperti di marketing.
Quando si vede il mondo dell'istruzione lanciarsi entusiasticamente nell'onda di piena della tecnologia, quando i ministri che si succedono alla Pubblica istruzione, i presidi che vogliono promuoversi manager, i professori che vogliono essere in pari con i tempi si danno da fare per riempire di cavi le nostre scuole, con l'appoggio dei genitori che, senza esitazione, mettono mano alla carta di credito per acquistare macchine elettroniche per i figli, già immaginati come piccoli geni dell'informatica, il minimo che si possa chiedere è un momento di riflessione e l'assunzione di un atteggiamento critico che sappia dare una qualche risposta a domande difficilmente eludibili.
Viene infatti da chiedersi: che problemi vengono risolti introducendo Internet in ogni scuola? Che problemi possono crearsi dedicando sempre più il tempo dello studio a strumenti elettronici? E ancora: che cosa si perde quando si adotta una nuova tecnologia? Che cosa viene emarginato? Quali aspetti preziosi della realtà rischiano di essere completamente trascurati?
L'accesso illimitato all'informazione non va a scapito del buonsenso e della saggezza necessaria per interpretarla? Mancando di senso critico, a cui l'informatizzazione non prepara, gli studenti non rischiano di confondere la forma con il contenuto, la massa dei dati disponibili con i pensieri di qualità? Davvero 50 minuti di lezione di un buon insegnante possono venire liofilizzati in quindici minuti multimediali?
A partire da queste domande Clifford Stoll traccia una linea di demarcazione assai netta. Compito della scuola non è quello di fornire dati e sempre più dati, né tanto meno quello di fornire risposte senza l'indicazione dei processi attraverso cui a quelle risposte si giunge. Compito della scuola è fornire metodi di ricerca e capacità di giudizio a partire dai quali i dati e le risposte sono facilmente ottenibili.
Un esempio: al costo di una ventina di computer si può attrezzare un magnifico laboratorio di fisica. Fra dieci anni, quando quei computer saranno da tempo nella spazzatura, i diapason potranno ancora insegnare la risonanza, un voltometro dimostrerà perfettamente la legge di Ohm e gli studenti potranno ancora utilizzare le attrezzature per capire il movimento angolare. In questo modo avranno imparato un metodo di ricerca e non solo (e io direi anche inutilmente) i semplici risultati del sapere già acquisito che il computer può fornire in grande abbondanza, senza però impegnare la testa dello studente nella ricerca del “modo” con cui vi si perviene.
Un altro esempio: è molto più facile mostrare simulazioni al computer della crescita delle piante, di rane sezionate e di ecosistemi affollati. Nessuna confusione. Nessun animalista offeso. Ma gli effetti della sostituzione della biologia da laboratorio con la biologia virtuale sono di svuotare di significato la scienza e di eliminare il senso di esplorazione e scoperta che porta infine alla comprensione.
Ma i fisici, i chimici e i biologi professionisti non usano i computer? Certo che sì, ma non hanno acquisito le loro competenze professionali grazie a un qualche software, né nelle loro scuole si è mai insegnato attraverso simulazioni. Le simulazioni al computer sono potenti strumenti quando usate all'interno della ricerca scientifica, per trovare risposte a specifiche domande. Ma non forniscono comprensione, non possono mostrare che cosa significa fare scienza, non sono in grado di ispirare quella curiosità che è così essenziale per diventare scienziati. Essi insegnano scienza simulata.
Già oggi, grazie all'elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione di problemi diventa la pressione di tasti. Non è necessario capire come formulare quantità astratte, si va direttamente dai numeri alle risposte. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Di fronte a un problema matematico gli studenti ovviamente scelgono l'elettronica piuttosto che l'esperienza. Lo strumento, in un primo tempo adottato per rafforzare la comprensione della matematica, è diventato la stampella che causa l'analfabetismo numerico.
A questo punto non può sorprendere che gli studenti svezzati dalla calcolatrice non sappiano fare a mente né una moltiplicazione né una divisione. Nel loro sistema cognitivo l'aritmetica è pressoché assente. Risolvono i problemi matematici con una calcolatrice. Pigiano sui tasti, guardano i risultati e accettano ciò che la macchina dice loro.
Un tempo i bambini dovevano imparare i fondamenti dell'aritmetica in seconda elementare. Erano i tempi in cui i numeri servivano per cambiare una banconota, saper valutare le offerte promozionali, far quadrare i conti di casa, capire gli andamenti della spesa. Ora queste cose non sono scomparse. Anzi, nella nostra vita abbiamo oggi molti più numeri di quanti non ne avessimo cinquant'anni fa. Abbiamo a che fare con le imposte più varie, con pedaggi autostradali, mutui ipotecari e lotterie di ogni sorta. Il nostro mondo richiede più e non meno matematica, ma il far di conto è scomparso dalla nostra mente, perché l'abbiamo affidato alla macchina digitale. Siamo più menomati e più bisognosi di protesi tecnologiche. In una parola siamo meno autosufficienti.
Lo stesso è per la scrittura a mano: calligrafia e grammatica non vengono considerate degne di insegnamento, vengono messe da parte a favore del word processing. Risultato, pochissimi studenti universitari sanno scrivere in modo chiaro, con periodi che stiano in piedi e quindi in grado di rendere la consequenzialità dell'argomentazione, posto che questa ci sia.
Ma gli inconvenienti più gravi dell'informatizzazione generalizzata della scuola sono la marginalizzazione della realtà "fisica" a favore di quella "virtuale" e la riduzione drastica dei processi di socializzazione, con tutte le conseguenze etiche e psicologiche che la cosa comporta, per effetto dell'isolamento indotto dal rapporto del singolo individuo con il suo computer.
Per quanto concerne il primo inconveniente non c'è dubbio che la percezione della "realtà", la capacità di muoversi in essa con abilità e destrezza, la consapevolezza delle difficoltà che essa pone rispetto alle facilitazioni del virtuale sono le prime vittime dell'inondazione dei computer. E questo soprattutto a scuola dove i ragazzi che la frequentano sono proprio in quell'età dove è assolutamente necessario acquisire la differenza che corre tra la realtà e il sogno, l'immaginazione, il desiderio. Non facilitando questo passaggio, che già Freud indicava: dal principio del piacere al principio di realtà, significa ritardare l'adolescenza fino all'età della maturità e trovarsi disadattati quando questa arriva senza che nulla si sia fatto per impratichirsi.
Come scrive opportunamente Raffaele Simone nella sua Postfazione al libro di Stoll: “Possiamo non accorgerci che la diffusione della conoscenza mediata dall'informatica è la più formidabile barriera che si sia mai presentata nella storia verso il contatto con la realtà? Con un software opportuno posso visitare Roma senza averci mai messo piede, navigare sotto l'oceano senza bagnarmi e perfino fingere un gioco violento senza neppure graffiarmi. E' reale questo? O è adatto piuttosto a una situazione di emergenza e di penuria? A me pare che le tecnologie cognitive informatizzate siano una drastica forma di derealizzazione, una via per sostituire il "non vero" al "vero", il "non reale" (= il virtuale) al "reale", per simulare delle cose che non si possono o non si vogliono fare. Il nostro fare si ridurrà solo a una seduta in cui si smanetta su una tastiera e si occhieggia un monitor? Penso a questa eventualità con orrore, ma la vedo minacciosamente in marcia verso di noi”.
Ai processi di derealizzazione che l'uso incontrollato del computer in età scolare alimenta si aggiungono i processi di desocializzazione. Infatti solo una persona alla volta può interagire con un computer. Il che comporta meno relazione con gli amici, meno condivisione della propria vita con altri, declino del coinvolgimento sociale, perché è vero che con Internet posso farmi amici in America e in Australia, ma che grado di profondità hanno queste amicizie? Come mi addestrano a incontrare gli altri faccia a faccia avendo qualcosa di interessante da dire? Quanto tempo sottraggono alla nostra vita reale e ai rapporti che potremmo avere con chi ci circonda?
Con quali danni sostituiremo la comunità reale del vicino di casa, del compagno di scuola, dell'amico del bar con la comunità virtuale delle voci senza volto con cui pensiamo di comunicare via email o con i messaggi telegrafici e inespressivi Sms? Che ne è a questo punto della nostra competenza sociale, e quali le conseguenze in termini di solitudine, di depressione, di timidezza, per essere ormai divenuti incapaci di quel faccia a faccia dove, oltre a sentire quel che dice l'altro, si percepiscono i suoi moti emozionali, la qualità del suo sentimento, e in generale tutto quel linguaggio che non passa attraverso la parola, ma attraverso il corpo, e che è indispensabile per la formazione di un'identità che, al pari della forza del carattere, della fiducia, della determinazione, della perseveranza non si scaricano da un sito web.
Ma se la realtà scompare dietro il computer, se la socializzazione finisce con l'impoverirsi, pensiamo davvero di formare uomini capaci di gestire la complessità che caratterizza le società occidentali, informatizzando la scuola e inondandola di computer che determinano una progressiva facilitazione e un graduale aumento della semplicità delle strutture interpretative con cui affrontare la realtà?
Sarà per questo che i giovani di oggi sanno dire solo sì e no, oppure sono con Bush o con Bin Laden, sono “favorevoli” o “contrari”, senza zone intermedie, senza perplessità, senza scorgere, al di là delle risposte dicotomiche a cui il codice binario del computer allena, scenari più complessi, paesaggi più articolati che, per essere attraversati e compresi, richiedono vie più intrecciate di quelle offerte dalle autostrade della rete che sembrano costruite apposta perché gli utenti vedano solo ciò che altri hanno deciso che vedano. E questo non in ordine ai contenuti che vengono offerti in gran quantità, ma in ordine alla capacità di discernere, quindi di giudicare e di decidere a cui una scuola, inondata di computer, difficilmente sa allenare.
Che sia questo il nuovo modo con cui si promuove la gestione delle masse, dando a ciascuno l'illusione della libertà e creando di fatto individui già singolarmente massificati, perché a tutti, sia pure in modo individuato, è stato fornito lo stesso mondo da consumare, già interpretato e già codificato nel suo significato, senza che l'individuo possa disporre di un giudizio personale, perché la scuola informatizzata non gli ha dato gli strumenti per essere in grado di formarsene uno?
Queste domande non attendono una risposta, che solo un computer con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe dare, queste domande vogliono attutire quell'entusiasmo senza riserve che accompagna l'informatizzazione delle nostre scuole e aprire uno spazio di riflessione che non sia ridotto alle tre “I” (Impresa, Internet, Inglese), perché per pensare, per ragionare, ma anche solo per parlare occorrono tutte le lettere dell'alfabeto.


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Mail: redazione@edscuola.com
Date: 28 Nov, 2001 on 14:20
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