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da Avvenire
martedì, 27 novembre 2001

CHE FARE DI OMERO E VIRGILIO?
Che cosa succede da noi: la riforma “bloccata”, le esortazioni di Ciampi e Moratti

di Fabrizio Polacco

Ora che la guerra in Afghanistan e il riacutizzarsi dell’atavico conflitto mediorientale ci ricordano che per capire davvero il presente bisogna saperne ripercorrere i presupposti plurimillenari, è giunto il momento di prendere alla lettera le raccomandazioni del Presidente Ciampi e del Ministro Moratti in merito al ruolo fondamentale della cultura classica e umanistica nell’educazione dei giovani. La condizione marginale raggiunta in Francia dal greco e dal latino a causa della loro riduzione a materie opzionali, bene ci illumina su quanto sarebbe potuto accadere anche qui se una riforma scolastica sbagliata non fosse stata fermata per tempo. Fortunatamente sembra che le modifiche ventilate dal nuovo governo possano sventare il pericolo più grave per i nostri licei: un biennio iniziale unificato con materie comuni uguali per tutti, che avrebbe di fatto ridotto a tre anni gli studi superiori (i quali, proprio in quanto “superiori”, debbono essere anche differenziati). Così come tramontata pare ormai la demagogica denominazione di “licei” estesa a tutte le scuole, comprese quelle di tipo tecnico-professionale. E la nuova proposta di trasformare il quinquennio superiore in un quadriennio potrebbe semmai utilmente riguardare proprio alcuni di questi ultimi indirizzi, escludendo perciò quelli più tipicamente pre-universitari: già oggi, infatti, le matricole arrivano in facoltà con una preparazione scolastica non sempre adeguata.
L’altro errore da evitare è quello di destinare, come in Francia, la cultura classica solo ai futuri letterati ed antichisti. In un paese che ospita il Colosseo e la Valle dei Templi, il Laterano e Sant’Apollinare, sembra incredibile che i precedenti responsabili della riforma abbiano pensato di cavarsela semplicemente mantenendo una “riserva indiana” dal nome di liceo classico-umanistico per pochi specialisti, lasciando magari tutti gli altri a smanettare sui computer e a rispondere a quiz che sono l’apoteosi del più sterile nozionismo. Al contrario, poiché la parola “liceo” indica il luogo di un sapere teorico almeno temporaneamente disinteressato (ma adatto più di altri, come indicano le statistiche, a condurre fino alla laurea), propongo che in tutti gli indirizzi liceali si studino almeno una delle due lingue classiche, la filosofia e la letteratura greco-romana, su testi originali o in traduzione a seconda della lingua prescelta.
Greco e latino, è vero, mortificano le giovani menti se li si riduce a mera grammatica: perciò lo studio linguistico andrebbe sempre inserito nel più ampio panorama storico-culturale del mondo classico. Quindi occorrerà anzitutto modificare gli assurdi programmi di storia imposti nel ’96, consentendo a chi legge Platone o Tacito di capire almeno di che cosa costoro stessero parlando.
Elementi di civiltà classica e medievale dovrebbero però comunque far parte del bagaglio culturale di tutti gli studenti, anche non liceali. E allora nel biennio superiore di ogni indirizzo si leggano in italiano, ad esempio, passi di Omero e di Seneca, di Luciano e di Virgilio; si facciano conoscere ed apprezzare i rilievi traianei e quelli del Partenone, i mosaici bizantini e i campanili romanici. Si tratta di una questione non solo scolastica ma, oserei dire, umana: di un diritto inalienabile per tutti noi che siamo figli della stessa splendida, variegata “civiltà mediterranea”.
E poi, per serietà, una raccomandazione: non insegniamo una storia diversa ai nostri alunni a seconda che le loro scuole si trovino a nord o a sud del Po…


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Date: 28 Nov, 2001 on 01:51
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