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Maria Corti i BUONI e i CATTIVI
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1. Maria Corti i BUONI e i CATTIVI
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da La Stampa
Lunedì, 29 Ottobre 2001

LA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO, GLI SCRITTORI E I CRITICI D´OGGI: LE PAGELLE DI UNA PROTAGONISTA
Maria Corti i BUONI e i CATTIVI

MILANO CHISSÀ se Maria Corti ha qualcosa da dire sull'attuale momento letterario e sui tentativi che i critici fanno per orientarsi. I critici danno giudizi diversissimi, tanto che nei lettori predomina qualche sconcerto. Maria Corti è da mezzo secolo una protagonista del rinnovamento nei nostri studi, ha pubblicato libri importanti come Il viaggio testuale e I principi della comunicazione letteraria, e ora ecco da Feltrinelli Nuovi metodi e fantasmi, che è un classico, vi scorrono decenni di dibattiti e di scoperte: ha un numero doppio di pagine rispetto alla prima edizione del ཱྀ, contenendo molti nuovi saggi. Grande critico, la Corti, che però preferisce definirsi scrittrice (un suo romanzo, L'ora di tutti, Bompiani, è alla 15ª edizione). Di sé racconta poco o nulla. Dice soltanto che sua madre Celestina era discendente di Carlo Goldoni e che un suo bisnonno è stato capo delle guardie svizzere.
Dunque, la situazione letteraria. Negli ultimi tempi sono apparse storie e mappe del secolo scorso secondo criteri che fanno discutere. L'«Atlante del Novecento» di Sanguineti, ad esempio. «Ma io non prendo sul serio Sanguineti. Questo suo Atlante è una stupidaggine. Non c'è una donna! E non c'è Volponi, figuriamoci. Sanguineti ama fare queste cose avanguardistiche e balorde di cui la gente poi parla». Chi sono gli scrittori che lei, signora Corti, apprezza di più nel Novecento? «Calvino, Gadda, Manganelli fra i narratori, e Montale, Ungaretti, Zanzotto fra i poeti». Basta così? «Tabucchi, ma a un livello meno alto. E Arbasino, che forse è un po' prolisso ma ha una lingua simpaticissima. Fra i più giovani mi piace Ammaniti. Anche Nove è buon scrittore, come Scarpa. E metto tre poeti: Magrelli, Testa, Alda Merini, che lanciai io per prima». Sanguineti esclude Eco e include Moravia. E' d'accordo? «Moravia per me è stato sempre un minore e Eco è prevalentemente un grande, grandissimo saggista. Il nome della rosa però è notevole, come anche Il pendolo di Foucault». Il critico Giulio Ferroni, nei volumi di aggiornamento della «Storia della letteratura italiana» di Cecchi e Sapegno (Garzanti), ammette un certo disagio. Fra l'altro giudica Baricco artificioso e narcisista. E lei? «Ferroni è un buon critico, ma non grandissimo. No, per me Baricco è scrittore intelligente, anche lirico, con un suo stile». Signora Corti, qual è il suo metodo critico? «Sono allieva di un filosofo, Antonio Banfi, e di un linguista, Benvenuto Terracini. Ho utilizzato lo strutturalismo, la semiotica... Non ho un metodo unico. Contini diceva che i metodi son tutti buoni, purché si usino quando servono». Come vede in conclusione la scena letteraria? «Il mondo di oggi è così scarso di cultura vera che non si ha più tanta voglia di esserci. Viviamo in una specie di piccolo Medioevo, c'è degrado. La letteratura interessa meno della tecnologia. Ma il panorama non è sterile, bisogna cercare: la letteratura che conosciamo non è tutta, chissà quanti scrittori ci sfuggono, quanti fantasmi devono ancora trovare una voce, un corpo». Bisogna cercare: è l'invito, lo scopo del suo libro «Nuovi metodi e fantasmi». «Moltissimi scrittori sono scomparsi, scompaiono, dimenticati, e noi non facciamo nulla. E' angoscioso. Ci vogliono ricerche, metodi che ritrovino questi fantasmi, questi scrittori che ci sono e non appaiono. Il filologo è come un detective. Un lavoro affascinante. Sembra di essere dei creatori. Un giorno lessi un poemetto dei primi del Cinquecento che veniva attribuito a un frate veneziano, Francesco Colonna. No, dico io, questo poeta non è veneto ma emiliano. Ma chi è? Prendendo sul serio alcune indicazioni del poemetto, il Delfilo, mi metto a caccia dell'autore misterioso e comincio a setacciare la val Trebbia nel Piacentino in cerca di un castello con tre torri rotonde e una quadrata, e alla fine lo trovo: è il castello di Momeliano. Dagli archivi spunta poi il proprietario d'allora e quindi il nome dell'autore, Marco Antonio Ceresa, che nessuno conosceva. Era solo un nome, ma anni dopo mi telefona uno storico per dirmi di un suo studio su questo poeta piacentino, che dunque ha attraversato la solitudine di molti secoli ed è giunto a noi. La sua identità ha preso luce». Lei ha dato vita al Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei, a Pavia, e un suo libro s'intitola proprio «Ombre dal fondo». Sempre queste parole suggestive: ombre, fantasmi, e fondo come paesaggio indistinto, lontano, ma anche come luogo dove si raccolgono testi... «Ci sono 39 casseforti grandi costate cinque milioni l'una, tranne quella di Quasimodo costata dieci milioni perché molto grande. Nell'acquisto dei manoscritti mi hanno aiutata le banche, la Provincia di Pavia, la Regione, ma mai lo Stato. Odio lo Stato italiano! Una volta scrissi un articolo furioso su Repubblica contro quest'assenza e il giorno dopo al telefono una voce mi dice: "Pvonto? Pavlo con Mavia Covti?". Oddio, penso, è Agnelli. "Sono Carlo Caracciolo, ho letto la sua denuncia". Mi ha aiutata. Nel ྀ, quando nacque il Fondo, vedevo che i lasciti di Carlo Levi andavano a Harvard, quelli dei futuristi a Yale, quelli di Volponi alla Johns Hopkins: "Ma che facciamo? - mi dissi -. Perdiamo tutto?". E così ho salvato gran parte del materiale artistico italiano». Fra gli autori che le hanno donato i propri manoscritti, chi ricorda con più affetto? «Ero molto amica di Montale. Nel Fondo ci sono 800 manoscritti suoi. Quando decise di operarsi alla prostata aveva una paura santissima. Mi telefonò la Gina, la governante: "Venga venga, il signor Montale la vuol vedere". Andai. C'era un'atmosfera testamentaria, cupa. Montale tirò giù una grande busta di raso e ne estrasse tutte le redazioni degli Ossi di seppia. Lo ricorderò sempre... Al Fondo adesso vado una volta la settimana. Ho 86 anni. Una volta ci andavo più spesso, e la sera, in quel silenzio, sul grande tavolo bianco della sala Manganelli, scrivevo. Cose mie finalmente. Quelle ombre mi proteggevano, mi stimolavano. Le ombre maestre di qualità, che si muovono nel Fondo».

Claudio Altarocca


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Date: 29 Oct, 2001 on 09:17
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