Lo scandalo all'Università di Urbino
False tesi, cattivi prof

di Giuseppe Sergi

È vero, come dice Marco Belpoliti, che la compravendita delle tesi di laurea è un «male antico». È ormai antico anche il discorso: infatti nella nuova laurea triennale la prova finale è una modesta relazioncina. Ma la vicenda delle tesi comprate deve indurci a distinguere e a riflettere. Negli ultimi decenni del Novecento c'era una convenzione: le facoltà più dure negli esami (ingegneria, medicina) si concludevano con tesi di scarse ambizioni eseguibili in tempi brevi (le tesi «di ricerca» erano chieste solo da chi puntava alla carriera universitaria); le facoltà umanistiche, al contrario, erano più «umane» nei percorsi ma avevano, alla fine, una tesi di laurea della durata media di un anno, con la pretesa di assomigliare a un libro. I due mondi si ignoravano.

Una volta fui investito a male parole da un padre (medico) era convinto in buona fede che io fossi un pazzo isolato nel pretendere da suo figlio (laureando in lettere) sei mesi di ricerca: per lui aver «finito gli esami» corrispondeva a essere praticamente laureati. Forse è giusto che le facoltà umanistiche abbandonino, con la riforma, queste velleità. Ma che durante la tesi i professori non siano tutti uguali lo sanno bene anche al CEPU.

Una tesi di Lettere è lunga non meno di 200 e anche più di 300 pagine, è composta mediamente di una dozzina di capitoli, per eseguirla occorrono almeno dieci mesi. Calcoliamo due o tre incontri preparatori, uno per ognuno dei capitoli, uno di discussione finale: risulta un minimo di 15 incontri fra professore e laureando. Ma è normale un incontro ogni due settimane, e quindi sull'arco di dieci mesi sono 20 incontri. Tutto ciò quando non ci sono rifacimenti plurimi (caso frequente). Ebbene, se ogni volta si discute un numero ridotto di pagine, si entra nel merito, si valutano le ristesure, dopo tre appuntamenti si capisce benissimo se il laureando usufruisce di un aiuto esterno (figuriamoci se porta materiale non suo!).

Insomma una tesi può essere appaltata ad altri solo se si danno tre condizioni: 1) il tema è troppo ampio e generico (invece deve essere iperspecialistico, perché è giusto che un ventitreenne dica la sua sulla storia di un piccolo villaggio, non sull'insieme della rivoluzione industriale); 2) la tesi viene consegnata in blocco, già fatta, e non discussa in progressione; 3) il professore è poco serio. In oltre 200 tesi seguite, mi è capitato solo quattro volte di accorgermi di pesanti aiuti esterni. Senza accuse esplicite mi sono limitato a «torturare» il laureando nelle discussioni parziali.

Due sono spariti, uno si è messo a scrivere in prima persona e ce l'ha fatta, uno mi è parso ricorresse a un appoggio sino alla fine, ma ormai controllava la materia meglio del suo aiutante. Eppure io avevo imparato dai miei predecessori a seguire le tesi, e molti miei colleghi continuano a comportarsi così. Non farlo è colpevole, non giustifica l'inganno ma lo agevola. La riforma migliore l'aveva suggerita, anni fa, un libro di Raffaele Simone: costringere i professori a non essere assenteisti. La riforma attuale aumenta il numero di ore di lezione, ma nulla garantisce circa un'assidua disponibilità al dialogo: e, senza la tesi, sparisce anche uno degli spazi deputati al dialogo di qualità.