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Su ogni banco un compagno di banco
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1. Su ogni banco un compagno di banco
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da Avvenire
Giovedi 25 Ottobre 2001

sala macchine
Su ogni banco un compagno di banco

Giuseppe O. Longo

La ministra Moratti ha deciso di donare un computer a ciascun insegnante: bene. Bene soprattutto per i costruttori, gli importatori e i venditori: immagino già la lotta ai ferri corti per accaparrarsi il lucroso appalto.
La decisione della Moratti riecheggia lo slogan di Clinton: «Un computer su ogni banco di scuola». Gli americani, si sa, sono più ricchi e possono largheggiare.
Ma a questo slogan io ne contrappongo un altro, di sapore reazionario: «Su ogni banco un compagno di banco.» Intendiamoci: non sono contrario all'uso dell'informatica, anzi. Ma qualche cautela è necessaria.
L'insegnamento, cioè la pratica conversativa, cognitiva e affettiva che accomuna insegnanti e scolari nel lungo viaggio dell'istruzione (viaggio che non termina mai), è un processo comunicativo dinamico in cui emerge tutta la variegata complessità degli esseri umani.
Introdurre in questa pratica strumenti semplificanti, che privilegiano l'efficienza, la logica e la velocità, rischia di portare a uno squilibrio, difficile da recuperare, tra la componente razionale e la componente emotiva del discente.
Nell'insegnamento sono importanti i messaggi scambiati, ma anche le coloriture affettive, che gli insegnanti, come i bambini, sanno infondere e cogliere perché posseggono un bagaglio innato di capacità comunicative che dopo la nascita viene esercitato e affinato nelle interazioni con gli altri.
Queste capacità condivise consentono interazioni quasi sempre soddisfacenti, almeno all'interno della stessa area culturale, purché sia stato aperto il canale della simpatia e dell'attenzione.
Aprire questo canale è il compito più delicato: questa è la dote a proposito della quale un tempo si parlava di «vocazione» all'insegnamento.
Siamo fatti dello stesso materiale genetico e viviamo tutti nello stesso mondo, quindi comunicare, nonostante le limitazioni del linguaggio verbale (e degli altri linguaggi), non è poi così difficile. La chiave sta nel rapporto interpersonale, precomunicativo ed emotivo, tra le parti.
L'interazione comunicativa (l'insegnamento) dovrebbe essere una danza dove tutti guidano e allo stesso tempo sono guidati. Occorre, insomma, sfruttare la flessibilità degli umani.
Un'interazione precoce e preponderante con il computer rischia di non sviluppare nell'allievo quelle raffinate abilità che consentono una comunicazione accettabile. Come potrebbero esercitarsi i ragazzi in quelle interazioni fondamentali e delicate che vanno sotto i nomi di «gioco», «umorismo», «simulazione», «dissimulazione» e così via, se dedicassero tutto o quasi il loro tempo a un interlocutore incapace di spostarsi da un livello comunicativo a un altro, da un contesto a un metacontesto?
Insomma, dal momento che il tempo è una risorsa limitata: che cosa conviene fare, dedicare più tempo al computer o più tempo al teatro?
Nessuno ha la risposta, ma forse la soluzione dei problemi della scuola non sta nel computer. Talora si ha l'impressione che le nuove tecnologie vengano adottate, in parte, per reagire all'avvilimento, per ossequiare una moda, per ottenere finanziamenti, per non essere considerati retrogradi.
Forse il ricorso alla novità per la novità nasconde una mancanza di creatività didattica e di calore umano. L'asettica precisione della macchina serve forse a mascherare l'incertezza e la debolezza degli insegnanti in una situazione nuova e difficile.

Giuseppe O. Longo


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Date: 26 Oct, 2001 on 06:33
Su ogni banco un compagno di banco
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