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La storia? Facciamola con i se
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1. La storia? Facciamola con i se
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da La Stampa
Mercoledì, 24 Ottobre 2001

Dai libri al cinema, i giochi dell'«Ucronia»esorcizzano
il peso necessitante del passato

La storia? Facciamola con i se

di Maurizio Assalto

Se John non fosse passato col giallo, quella mattina, e avesse tardato soltanto di un paio di minuti; se Mohammed non avesse dimenticato un pacco, e non fosse dovuto risalire al 103° piano; se Yitzhak non avesse ceduto alle insistenze della fidanzata, che voleva cominciare la visita di Manhattan con una panoramica dal punto più alto... Ipotesi per una Spoon River 2001.

E se Hitler avesse vinto la guerra? Se Napoleone non fosse andato incontro al suicidio militare in Russia? Se nell'estate del 1529 le piogge non avessero intralciato Solimano lanciato alla conquista di Vienna? Scenari per una storia alternativa. Perché possiamo benissimo comprendere che la prima serie di «se» continui a martellare la mente di chi l' 11 settembre ha perso un parente, un amico, mentre la seconda serie appare più che altro un gioco, magari divertente ma ozioso, sempre a rischio di essere trafitto dalla saettante ovvietà «la storia non si fa con i se»?

È vero che la tragedia americana è (ancora) soltanto cronaca: è il tempo trascorso, con le conseguenze che si ramificano, a consolidare il senso di una realtà che senza quel determinato evento non sarebbe così, a imprimere il sigillo dell'ineluttabile a ciò che prima di accadere era soltanto una eventualità. Ma come avviene questo avvitamento logico, questa metamorfosi modale per cui il possibile diventa necessario? Perché questa schizofrenia rispetto allo stesso evento, a seconda che sia visto dalla parte del prima oppure da quella del dopo? Viviamo in un mondo di contingenze, ma siamo ossessionati dal fantasma della necessità.

A restituire vitalità al possibile, ai tanti possibili del passato che non cessano di essere tali soltanto perché non si sono realizzati, possono contribuire giochi oziosi come quelli proposti da un libro curato da Robert Cowley e pubblicato ora da Rizzoli con il provocatorio titolo La storia fatta con i se, o da un suo classico antecedente degli anni 30, Se la storia fosse andata diversamente, curato da John Collings Squire e tradotto nel ‘99 dal Corbaccio, con due stimolanti interventi di Sergio Romano e Gianfranco de Turris. La storia virtuale, o controfattuale, o allostoria, è un genere consolidato, battezzato a metà 魸 dal filosofo neocriticista francese Charles Renouvier con il neologismo ucronia («nessun tempo», sul modello di utopia, «nessun luogo»).

In Italia è stato teorizzato all’inizio del ‘900 dal casualista anticrociano Adriano Tilgher, e frequentato fra l'altro Guido Morselli, nel romanzo Contro-passato prossimo. Ma è soprattutto negli Stati Uniti che si è affermato in questi ultimi anni. Nel libro di Cowley, direttore della prestigiosa rivista MHQ - The Quarterly Journal of Military History, alcuni fra i più autorevoli storici e scrittori militari anglosassoni, da John Keegan a Stephen Ambrose, prospettano gli snodi di un passato trimillenario in cui il mondo avrebbe potuto prendere un'altra direzione, e ne ipotizzano le conseguenze. Una fiamma ossidrica puntata sulla cassa di zinco dello storicismo di derivazione hegeliana, che tutto pone sotto il segno della necessità-razionalità. Che la storia non si faccia con i se è un luogo comune tanto poco rilevante quanto spesso ripetuto (non dagli storici, in verità, visto che con i giochi ucronici hanno fornicato alcuni dei più grandi, come Edward Gibbon o George Trevelyan, nonché politici-scrittori pragmatici come Benjamin Disraeli e Winston Churchill).

La storia non si fa con i se, ma i se aiutano a comprenderla meglio, evidenziando la dinamica dei nessi causali, costringendo a ragionare sui fatti anziché memorizzarli passivamente: un esercizio per l'intelligenza, come il gioco degli scacchi con le sue analisi degli sviluppi possibili. Pensiamo a Borges, a un'idea di universo come trama di «infinite serie di tempo» che «comprende tutte le possibilità». La passeggiata in questo «giardino dei sentieri che si biforcano» può cominciare dal 701 a.C.: che cosa sarebbe successo se un'epidemia non avesse fermato l'assedio del re assiro Sennacherib a Gerusalemme? Una cosa da niente: il regno di Giuda probabilmente avrebbe seguito la sorte di quello di Israele, caduto 21 anni prima, le cui dieci tribù, disperdendosi, avevano smarrito la loro identità; l'ebraismo si sarebbe spento, le due grandi religioni che ne sono derivate, il cristianesimo e l'Islam, non avrebbero visto la luce; la questione mediorientale, la guerra santa, e quindi anche la tragedia delle Twin Towers non ci sarebbero state.

Obiezione (storicistica) possibile: se anche in «quel» certo giorno le cose fossero andate altrimenti, ciò non impedisce che nel medio periodo la storia si sarebbe incanalata nell'alveo segnato, perché le forze in campo, la logica stessa dei fatti spingono in una determinata direzione. Se pure il naso di Cleopatra fosse stato più lungo... Il che è vero fino a un certo punto. Per esempio: se anche, nell'autunno del 1777, il capitano inglese Patrick Ferguson non si fosse fatto scrupolo di sparare alle spalle di un nemico disarmato, uccidendo così George Washington uscito in ricognizione presso Brandywine, si può immaginare che la rivoluzione americana sarebbe ugualmente proseguita; ma se, nell'agosto di un anno prima, una provvidenziale nebbia non avesse consentito alle truppe dello stesso Washington di mettersi in salvo, dopo la rotta di Long Island, chi può sostenere che l'esito finale sarebbe stato lo stesso? E se il 6 giugno 1944 non ci fosse stata una tregua nel maltempo che imperversava sulla Manica, e la tempesta avesse fatto fallire lo sbarco in Normardia? Difficilmente la guerra sarebbe stata vinta da Hitler, ma chi sa dire quanto sarebbe ancora durata? E quali conseguenze questo avrebbe prodotto sul mondo in cui viviamo oggi?

Il tempo - ha spiegato Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica, fra i padri della scienza del caos e della complessità - è «un sistema dinamico instabile, risultato di una somma di incertezze», e «la minima variazione, in un luogo qualsiasi del pianeta, causa enormi conseguenze». È il cosiddetto «effetto farfalla» (una farfalla che muove le ali a Pechino, attraverso una serie di connessioni, può scatenare un uragano in America): un determinismo plurimo, infinitamente combinato e fondamentalmente imprevedibile, che svuota di senso il determinismo storicistico. Quando l'esito di una vicenda è incerto, o addirittura pare segnato nel senso opposto, può essere decisivo un caso fortuito (le condizioni atmosferiche, un'epidemia, una morte improvvisa, come nel 1242 quella di Ogoday, figlio di Gengis Khan, che costrinse i capi mongoli a abbandonare l'Europa a pezzi e tornare sui loro passi per eleggere il nuovo khan) o la presenza di una personalità d'eccezione (Temistocle a Salamina nel 480 a.C., geniale nella strategia vincente contro la soverchiante flotta persiana, ma non meno decisivo nell'imporla alle rissose póleis greche). In questi casi basta un niente (come è un niente il clinamen di Lucrezio che origina i mondi) per cambiare il corso delle cose, per modificare un futuro che è diventato il nostro presente. È quanto vediamo spesso nei film di fantascienza, per esempio nella serie di Ritorno al futuro.

In questo senso si rivela la lezione più feconda dell’ucronia - al di là della sopravvalutazione volontaristica degli individui contro la forza impersonale della storia, che l’ha resa attraente agli occhi della destra spiritualista alla Julius Evola. Smascherando l'inganno del determinismo, riportandoci nel cuore palpitante del possibile, nella scaturigine stessa delle divergenti alternative, il controfattualismo esorcizza il sortilegio necessitante del passato e il fatalismo che ne è il correlato. E ci responsabilizza nelle scelte, inducendo alla cautela. La storia non si fa con i se, ma con i se (forse) si fa il futuro.


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Date: 24 Oct, 2001 on 09:25
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