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FRANCOFORTE UN CONFRONTO SUL MERCATO
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da La Repubblica
Lunedì, 15 ottobre 2001

libri in fiera
FRANCOFORTE UN CONFRONTO SUL MERCATO

ANTONIO GNOLI

Sono considerati due big dell'editoria italiana. Meglio ancora due vecchie volpi che si muovono con agilità e scaltrezza in questa enorme struttura della Buchmesse francofortese che non è un pollaio ma un grande mercato della parola. Niente qui è più importante della parola che accompagna «i comprati e i venduti», parole per descrivere libri, autori, per acquisire o alienare diritti, per promuovere o rilanciare offerte. Parole per convincere o bluffare, per difendersi o attaccare. Parole per concludere affari. L'impressione è che di affari qui se ne concludano un po' meno rispetto agli altri anni. Le due vecchie volpi Mario Andreose, direttore editoriale della Bompiani, e Gian Arturo Ferrari, direttore generale della divisione libri della Mondadori mi guardano tra il beffardo e il perplesso.
Ma come, noi siamo qui a difendere la posizione, ad acchiappare titoli stranieri da piazzare tra le mani dei nostri lettori, a vendere le nostre migliori cose agli editori stranieri e dobbiamo anche piangerci addosso, confessare le nostre endemiche debolezze?, sembra che vogliano dirci. In realtà sono anche due volpi educate, pazienti, ma soprattutto tenaci nell'esprimerti il loro punto di vista sull'editoria italiana che in fin dei conti, fanno intendere, non è poi così da strapazzare.
Partirei da questo dato offerto da una recente ricerca sull'editoria italiana che non è molto incoraggiante. Nell'ultimo biennio i dati di lettura hanno subito una inversione di tendenza: si legge meno degli anni precedenti. L'Italia rappresenta una anomalia rispetto al resto del mondo. Chi vuole cominciare?
FERRARI: «Io non parlerei di anomalia. Per quanto riguarda il settore di cui mi occupo non vedo grandi motivi di depressione».
ANDREOSE: «E' come nella vita, ogni tanto si avanza, qualche volta si marcia sul posto».
Altre volte si va indietro. I dati più recenti vanno in questa direzione.
FERRARI: «Se ci limitiamo al dato nudo e crudo la discussione non si apre nemmeno. Credo che l'editoria italiana goda di discreta salute. E cerco di spiegarmi. Nel nostro mondo c'è stata una forte ristrutturazione iniziata una trentina di anni fa, che ha coinvolto ogni suo reparto. Il risultato è di avere oggi un settore del tutto simile a quello degli altri paesi importanti: Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia».
Però siamo dietro a questi paesi, non avanti o a fianco.
ANDREOSE: «Siamo a una incollatura. Concordo con Ferrari quando dice che il mercato italiano non è depresso, però a volte ho l'impressione che ci gasiamo un po' troppo. Siamo molto veloci nel prendere le decisioni, ci affacciamo al mercato internazionale con una famelicità che è sconosciuta agli altri paesi. E questo non è proprio un bene. A cominciare dai prezzi che inesorabilmente finiscono col salire».
FERRARI: «Ma sai, le aste si sono sempre fatte e se in passato ci sono stati libri comprati o venduti a prezzi clamorosi, da qualche anno non accade o accade molto meno. Ma volevo anch'io dire qualcosa su questa classifica dell'editoria internazionale. Ora a parte il mercato di lingua anglosassone, Francia e Germania sono grosso modo al nostro livello. In Italia abbiamo tre grandi gruppi editoriali, nell'ordine: Mondadori, Rizzoli, Longanesi e poi una serie di case editrici di medio calibro ma con una grande tradizione, tipo, per intenderci, Feltrinelli, più una vasta area di piccoli editori. Non vedo in questo nessuna anomalia rispetto agli altri paesi».
ANDREOSE: «Ferrari parlava di ristrutturazione dell'editoria italiana. E' indubbio che questo negli ultimi anni sia avvenuto. Ma è successo nel frattempo qualcosa di più clamoroso: c'è stata una ristrutturazione internazionale che ha portato alcuni editori europei a investire nell'editoria americana. La quale è ormai prevalentemente nelle mani dei primi. Qualcosa vorrà pur dire».
Ma a vostro parere come si riflette su di noi il fatto che tre o quattro grandi gruppi, siano essi tedeschi o inglesi, dominano il mercato internazionale?
FERRARI: «Non si riflette, per il semplice motivo che l'economia libraria da noi è italiana. Non so se sia un bene, ma sta di fatto che noi non facciamo parte delle conglomerate internazionali. Non siamo in mano a editori stranieri».
ANDREOSE: «Forse siamo poco appetibili».
FERRARI: «No, anche perché, escludendo il Giappone, siamo il quinto mercato al mondo. Veniamo dopo Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia. Se potessero ci comprerebbero volentieri».
E perché non lo fanno?
FERRARI: «Perché non c'è nessuno che vende. C'è stato un momento in cui le case editrici appartenevano a delle famiglie. Avevano dei fondatori, pensate ai Valentino Bompiani, ai Giulio Einaudi, ai Livio Garzanti. Erano loro gli antichi proprietari, sono loro che hanno venduto. In quel momento è nata la ristrutturazione, le consegne ai grandi gruppi nazionali e questi gruppi non hanno interesse a cedere le loro azioni a investitori internazionali».
Un gruppo multinazionale può tuttavia agire su economie di scala, risparmiando così sui costi.
ANDREOSE: «Fino a un certo punto. Risparmieremmo qualcosa solo sulla carta».
FERRARI: «E' un piccolo vantaggio ma non decisivo, credo. La verità è che il prodotto libro difficilmente entra in un ragionamento economico di quel tipo. Qualsiasi altro oggetto lo produci dove ti costa meno e lo vendi dove presumi di ricavarci di più. Il libro è diverso, lo vendi soprattutto nel paese dove lo fai».
Questo ci riporta alla realtà italiana. Ho l'impressione che abbiate un atteggiamento un po' troppo ottimistico.
FERRARI: «In termini di impresa editoriale, grosso modo, la "profittabilità" delle imprese italiane non è inferiore a quella degli altri paesi che abbiamo citato».
ANDREOSE: «E' anche la ragione per cui il business editoriale è finito in mani europee. I profitti ci sono, ma non sono elevati come in altri settori industriali. E' uno dei motivi che ha fatto allontanare gli investitori americani».
FERRARI: «Non dobbiamo immaginare l'editoria come un eldorado economico. E' un'impresa che dà le sue sobrie soddisfazioni e produce i suoi rischi».
Il rischio vero è che la gente vi legga sempre meno.
FERRARI: «Questa storia dei lettori che non leggono deve essere un po' ridimensionata. L'Italia ha un mercato di lettori forti che è molto più cospicuo di quello degli altri paesi. Purtroppo non disponiamo dello stesso massmarket che hanno gli altri. Faccio un esempio. Esce il nuovo Ken Follett: nel giro di poco tempo noi ne vendiamo 300 mila copie rilegate. Quello stesso libro, rilegato, non vende le stesse copie in Gran Bretagna. Però lì dopo sei mesi si fa l'edizione tascabile che venderà milioni di copie. Da noi questo è impensabile».
ANDREOSE: «Da noi le dimensioni del mercato sono grosso modo 70 per cento al libro rilegato e 30 per cento al paperback. Nei paesi anglosassoni la proporzione è esattamente in equilibrio: 50 e 50. E questo perché negli Stati Uniti o in Gran Bretagna la distribuzione del paperback si realizza nei grandi spazi che non sono più, o solo, le tradizionali librerie».
E questa, immagino, è una delle ragioni perché da noi è molto più difficile produrre best seller.
FERRARI: «La questione del best seller discende direttamente dal modo in cui è fatto il mercato. In Italia sono i lettori forti a leggere i libri e non c'è come negli altri paesi un'ampia fascia di gente che occasionalmente si avvicina al libro o fedelmente insegue o richiede alcuni generi popolari. Purtroppo da noi la cultura continua a rimanere un fatto elitario. La scuola continua a trasmettere questo sapere elitario, il paese si comporta, pensa, agisce, parla sapendo che da un lato c'è la cultura elitaria e dall'altro c'è la televisione».
ANDREOSE: «Cultura elitaria significa anche che hai di fronte un consumatore molto omogeneo che fa determinate cose: legge un libro, va al teatro o al cinema, segue i concerti».
Già ma alla fine i libri che vanno in classifica sono spesso di argomento desolante: trionfa il comico televisivo, i buoni sentimenti, la banalizzazione della vita.
FERRARI: «I giudizi di merito non li può dare l'editore. Il nostro compito è trovare libri che piacciano al più alto numero di lettori. Il banalizzante c'è sempre stato. Trent'anni fa non finiva in classifica la Critica della ragion pura. Quindi non capisco il lamento. Se un libro non ti piace non lo leggi».
ANDREOSE: «Quello che semmai fa riflettere è che scorrendo le liste dei best seller europee e americane trovi una buona quantità di nomi ricorrenti. I lettori sono omogenei anche in questo».
Però nelle liste dei best seller internazionali è difficilissimo trovare il nome di autori italiani.
ANDREOSE: «Eco, Baricco e Tamaro entrano. Baudolino appena uscito in Germania ha già venduto 300 mila copie».
FERRARI: «La nostra presenza nelle liste internazionali di best seller non è inferiore a quella di autori francesi e tedeschi. Grosso modo il peso è lo stesso. E' un fatto che si può capire anche dal volume di affari che facciamo qui a Francoforte».
Come vi è sembrata la Buchmesse quest'anno?
FERRARI: «Non è un posto di bilanci. Una volta la fiera era considerata il mercato dei diritti mondiali. E' diventata un'occasione di incontro con i colleghi di altri paesi».
ANDREOSE: «Un'occasione di confronto e di confidenze, di sussurri e chiacchiere».


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Date: 15 Oct, 2001 on 07:38
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