MANUELA CARTOSIO - MILANO

"La logica e l'impianto del buono scuola non cambiano, restano quelli già sperimentati nel primo anno di applicazione". L'interpretazione autentica del "governatore" lombardo Roberto Formigoni toglie qualsiasi alibi alla Cgil regionale. Che, due giorni fa, aveva giustificato la sua firma al "Patto per lo sviluppo" formigoniano - giudicato in precedenza "irricevibile" - con le modifiche "strappate" all'ultimissimo minuto su alcuni punti. In particolare, sul buono scuola.
Incassata la firma della ex nemica Cgil, la più pesante tra la settantina di sigle che hanno sottoscritto il Patto, Formigoni mette in chiaro un'ovvietà: il suo buono scuola resta intatto, non sarà cancellata la franchigia delle 400 mila lire, dunque continuerà a percepirlo solo chi frequenta le scuole private. Unica variazione, diventerà "più pesante" per le famiglie con reddito più modesto. Per queste ultime il buono potrà coprire fino al 50% delle spese sostenute (il doppio dell'attuale 25% uguale per tutte le fasce di reddito, purché la "libera" scelta cada su una scuola privata). Potrebbe apparire una gentile concessione ai meno abbienti, invece è un ulteriore tassello della strategia di Formigoni che con il buono vuole spostare una fetta consistente d'utenza dalla scuola pubblica a quella privata.
Proprio perché scontata, la "precisazione" di Formigoni rende ancor più imbarazzante e inspiegabile la firma della Cgil lombarda, avallata dai vertici nazionali, ma criticata dalla componente di sinistra Lavoro società e dalle Camere del lavoro di Brescia e Milano. Criticata anche dalle opposizioni di sinistra al Pirellone. La logica del "parternariato" -neologismo coniato da Formigoni -che informa il Patto riduce ulteriormente il ruolo già esiguo lasciato al consiglio regionale da una riforma elettorale e costituzionale che ha enfatizzato la figura del "governatore".
"E' una disgrazia che non ci meritavamo", commenta amaro Gianni Confalonieri, capogruppo regionale del Prc, "vorrei chiedere a Cofferati se sarebbe disposto a firmare una cosa simile se gliela proponesse Berlusconi a livello nazionale". Formigoni ha aggiunto o tolto qualche aggettivo al testo, in cambio ha incassato la firma della Cgil sulla "ciccia". E la ciccia sono tre cose. L'avallo politico a quanto ha fatto finora una giunta campione di liberismo e privatizzazioni, la condivisione di quanto farà prossimamente e, quel che è peggio, l'accettazione del parternariato, "una superconcertazione regolata dall'alto che azzera preventivamente qualsiasi opposizione e conflitto".
E' proprio così. Formigoni, infatti, non si è limitato a raccogliere un consenso al privato sociale e alla moltiplicazione dei buoni che erodono il sistema pubblico e il welfare universale. Ha messo in piedi un baraccone - gli Stati generali - di cui lui è padrone assoluto. Un direttorio di parti sociali, associazioni, enti, convocato due volte all'anno per "concertare" le decisioni già prese dal gran capo. Per di più, hanno titolo a partecipare agli Stati generali solo i soggetti che hanno firmato il Patto. Non è esagerato, dunque, il giudizio di Nicola Nicolosi, esponente di Lavoro società, segretario della Cgil lombarda: "La logica del parternariato qualifica gli Stati generali come un consiglio delle corporazioni. E' una forzatura politica che non trova alcuna giustificazione tecnico-giuridica e svuota la democrazia rappresentiva". Aver sottoscritto un simile Patto con i venti di devolution che tirano è un'ulteriore aggravante.