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FISH: Comunicato 18 gennaio 2006
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1. FISH: Comunicato 18 gennaio 2006
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Tra i saldi di fine stagione, ieri il Senato ha dato il via libero definitivo alla legge sulla discriminazione delle persone con disabilità cosiddetta orizzontale perché riguarda tutti gli ambiti della vita dei cittadini. Il provvedimento prende vita da un orientamento giuridico e politico che in Italia ha trovato sin qui solo declinazioni generali nella Costituzione all’art.3 oppure nella sottoscrizione del Trattato dell’Unione Europea all’art.13. Infatti le prescrizioni sancite dalle Regole Standard dell’Onu nel 1993, sono rimaste lettera morta sia nell’assetto giuridico del Paese che nelle politiche attive: con questo provvedimento fortemente voluto dal movimento italiano ed europeo delle persone con disabilità e dello loro famiglie durante l’Anno Europeo (2003), si pone una pietra miliare per riconoscere che i diritti fondamentali delle persone con disabilità sono costantemente violati.

Il tardivo raccolto rischia di passare inosservato se commisurato al taglio al Fondo per le Politiche sociali o comunque a tutti gli impegni assunti, peraltro non mantenuti, dal Ministro Maroni nel 2003, diretti a garantire il soddisfacimento dei bisogni vitali delle persone con disabilità e dei loro familiari, e pertanto il senso del rispetto della loro dignità. L’amarezza nei confronti delle politiche del Governo che ha dato vita alla mobilitazione del 15 novembre 2005, non può offuscare l’importanza del nuovo provvedimento, infatti, votato a larghissima maggioranza. La svolta è di portata straordinaria: le persone con disabilità non sono più solo una categoria sociale per la quale prevedere forme di protezione, bensì persone discriminate dalla società, dall’economia, e dalla politica.

E’ possibile punire, con relativo risarcimento dei danni, chiunque metta in atto un comportamento discriminatorio per le persone con disabilità: l’azienda dei trasporti che non consente ad una persona su sedia a ruote di usufruire liberamente del mezzo pubblico, l’impresa alberghiera che non accoglie, o addirittura, allontana dal proprio esercizio la persona con disabilità più grave perché la sua immagine deturpa l’ambiente, oppure l’istituzione deputata all’assistenza che ricorre solo ad assicurare forme di servizio che la persona non può o non vuole utilizzare per una mera questione organizzativa. A ciò va aggiunta l’inversione dell’onere della prova, che in termini del diritto romano, si identifica con la prova presuntiva, che seppur priva delle caratteristiche dell’habeas corpus consente alla magistratura giudicante di risarcire il danno e di procedere alla rimozione delle conseguenze della discriminazione.

Da questo elenco purtroppo si salva l’impresa che discrimina il lavoratore con disabilità per la quale rimangono in vita le disposizioni del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, che consegna alle imprese un potere improprio rispetto alla direttiva europea 78/00 della quale dovrebbe essere ratifica nazionale. Tra gli aspetti che lasciano perplesso il mondo delle associazioni delle persone con disabilità, vi è la definizione dei soggetti legittimati ad agire, ovvero coloro che potranno costituirsi davanti al giudice oltre la singola persona: le associazioni e gli enti verranno individuati dal Ministro per le pari opportunità e da quello Ministro del lavoro e delle politiche sociali “sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell’organizzazione”. L’ampia discrezionalità è sicuramente pericolosa e senza reale discernimento tra organizzazioni di promozione dei diritti, service provider o quant’altro.

Durante il percorso dibattimentale, la Fish ed il Cnd si sono fatti carico di promuovere proposte di emendamenti su questi e su altri temi che non sono state accolte: il testo approvato è quello presentato dal Governo, denotando scarsa discussione attorno a questioni così di profilo così elevato. Tra gli altri, la Fish ed il Cnd hanno evidenziato come l’effetto della norma in questa forma nasconda altre insidie: una volta diffuso l’utilizzo si otterrebbe l’intasamento dei tribunali ordinari, già notoriamente stracarichi di lavoro, per i ricorsi delle centinaia di migliaia di cittadini. Questi istanze rischiano di perdersi nella rete delle prescrizioni per le lungaggini di cui sarebbero oggetto. A tal fine la Fish ed il Cnd si sono fatti promotori di un emendamento in cui si istituiva l’ombudsman, un giurì, organismo collegiale pubblico, atto a risolvere gratuitamente le controversie tra i soggetti abilitati ad agire e l’entità che discrimina la persona con disabilità. In caso di decisione sfavorevole, i soggetti manterrebbero il diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

La Fish ed il Cnd auspicano che, ormai nella prossima legislatura, le forze politiche che si apprestano alla contesa elettorale possano porre rimedio a queste carenze che potrebbero rendere inefficace la grande innovazione presentata da questa norma, oltre a riproporre gli interventi sui diritti sociali ed economici a partire dalla rivalutazione delle pensioni, la vergognosa somma di 234€ mensili.


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Date: 19 Jan, 2006 on 12:27
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Se questa è libertà...

Una reclusione forzata per trent'anni in un bagno di sei metri quadri cui ha posto fine la polizia. Ciò che più sconvolge è l'assoluta ignoranza, da parte dei servizi territoriali, di una situazione tanto drammatica. Né si può pensare che in futuro andrà meglio, visti i continui tagli ai servizi sociali...

Dai telegiornali di ieri alle prime pagine dei quotidiani di oggi la notizia che più sconcerta, perduta tra le varie ed eventuali dell’affaire Bankopoli, riguarda la drammatica situazione di segregazione ed emarginazione emersa a seguito di un intervento degli agenti della mobile di Pescara.

Una donna di 52 anni, con grave disabilità intellettiva, è stata “liberata” dopo una reclusione forzata durata trent'anni, rinchiusa com’era all’interno di un bagno di sei metri quadri. Una condizione di degrado cui la madre l’ha fatta languire - almeno stando a quanto riportato dagli organi di informazione - per un sentimento di vergogna.

Ancor più che l’ignoranza del genitore, descritto pure come «aggressivo», il quale sembra avere accolto i poliziotti «con urla e improperi», desta preoccupazione un'ignoranza ben più grave cui viene dato poco risalto: la non conoscenza palesata dai servizi territoriali delle problematiche di questa donna e dell’evidente disagio in cui versava la sua famiglia.

Giuseppina aveva alle spalle un’esperienza di istituzionalizzazione e riceveva da due anni una pensione di invalidità che ritirava mensilmente, accompagnata dalla madre. Nemmeno quindi in quest'ultimo arco di tempo, che avrebbe dovuto segnare la sua uscita da una presunta "invisibilità", gli operatori sono stati in grado di farsi carico delle esigenze della donna e di garantire la tutela della sua salute e dei suoi diritti.

La mancanza di Livelli Essenziali di Assistenza e i continui tagli messi in atto in questi anni dal Governo verso i finanziamenti destinati ai servizi sociali sono una delle cause del ritardo o dell’inesistenza di questo tipo di azioni.
Come più volte ribadito negli ultimi mesi dalla FISH, queste politiche sciagurate hanno indebolito fortemente la capacità degli Enti Locali di garantire interventi fondamentali ad evitare situazioni di tale emarginazione. E lo stato delle cose non può che andare ad aggravarsi.

La “libertà” riconquistata da Giuseppina, infine, ha un sapore amaro. “Liberata” da uomini in divisa per essere traghettata verso forme di segregazione silenziose come il “suo” bagno, ma meno capaci di destare scandalo sulle prime pagine dei giornali. Se questa è Libertà…


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