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Subject  :  Lincei, quattro secoli alla scoperta dell’Uomo nuovo
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  14 Aug, 2003 on 08:07
da Il Corriere della Sera
14 agosto 2003

ANNIVERSARI Il 17 agosto 1603 il nobile Federico Cesi fondava una delle più illustri istituzioni scientifiche italiane. Aderì anche Galileo Galilei

Lincei, quattro secoli alla scoperta dell’Uomo nuovo

Non è stata una storia facile quella dell’Accademia nazionale dei Lincei, che il 17 agosto festeggerà i quattro secoli dalla nascita. Una storia «ricca di trofei e di lunghi silenzi imposti», come la definisce il matematico Edoardo Vicentini, che sino a ieri ha retto le sorti della più illustre istituzione culturale italiana affidandone ora le cure al giurista Giovanni Conso. Bisogna avere grandi idee per riunire nel 1603, quando ancora nell’aria di Roma aleggia l’acre odore del rogo di Giordano Bruno, un gruppetto di illuminati votati alla conoscenza vera della natura e con l’arduo sogno (tuttora irrealizzato) di favorire la collaborazione tra scienziati e letterati perché «uno imparasse dall’altro». Ma non solo. Il diciottenne Federico Cesi, marchese di Monticelli e pronipote di due cardinali, stringendo il patto con Giovanni Ecchio, studente olandese a Perugia, il fabrianese Francesco Stellati, cultore di scienze naturali, e il conte Anastasio de Filiis, parente dello stesso Cesi, immagina la creazione in tutto il mondo di istituti analoghi i cui soci avrebbero dovuto collaborare insieme, scambiandosi i risultati delle ricerche. Una follia per l’epoca, ma per questo seducente al punto da attirare nel 1611 anche Galileo Galilei, che con il «Sidereus Nuncius» e le sue prime scoperte ha appena dissacrato l’eredità aristotelica.
Quando Cesi muore improvvisamente, a 45 anni, l’Accademia affronta il suo primo «silenzio imposto». Il più illustre accademico è già sulla soglia della condanna da parte della Chiesa e lo spettro dell’eresia soffoca ogni illusione.
Altri illuminati tentano nel Settecento di farla risorgere e nei primi anni dell’Ottocento l’impresa sembra riuscire, se Papa Gregorio XVI non intervenisse. Al gesto vuol riparare, a suo modo, il successore Pio IX accettando la riapertura, però come Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei.
«Ma della vera rinascita è protagonista dopo l’Unità d’Italia solo Quintino Sella, ex ministro delle Finanze e illustre cristallografo - ricorda Edoardo Visentini - che la guida sino alla morte, riconquistando l’autonomia e ampliando il campo d’azione alle scienze morali, storiche e filologiche».
La storia riserva tuttavia altri sgradevoli silenzi, questa volta imposti da mura lontane dal Vaticano. Il prestigio della Reale accademia (secondo l’aggiornamento), è ormai solido. L’autorevolezza e la possibilità di influenza tangibili. Si alzano, quindi, le ire di Mussolini quando i Lincei criticano i provvedimenti governativi riguardanti la cultura. Per trovare un contraltare il duce taglia corto e crea nel 1926 l’Accademia d’Italia, chiedendo a tutti il giuramento di fedeltà. «Solo otto Lincei voteranno contro, gli altri abbasseranno la testa», ricorda amaramente il professor Visentini.
Il capo del governo pretende inoltre il diritto alla scelta dei nuovi soci e la nomina della presidenza. Risultato: nel 1939 l’Accademia dei Lincei viene fusa con l’Accademia d’Italia alloggiata nel palazzo di fronte, in via della Lungara.
Tornerà a rivivere nel 1944 con Umberto di Savoia, mentre l’Accademia d’Italia, soppressa per decreto, come una fenice cerca un’improbabile salvezza nella Repubblica di Salò sotto l’ala di Giovanni Gentile, sino a quando verrà ucciso. Il resto è cronaca dei nostri anni senza più «silenzi imposti» ma solo sforzi per avvicinarla alle antiche aspirazioni. Dopo quattro secoli quale può essere il ruolo dell’Accademia dei Lincei? «Occorre, sempre più, - risponde il presidente Giovanni Conso - approfondire e antivedere: in un’epoca dominata dalla frettolosità, dall’approssimazione e dall’appagamento immediato, la «lince» assurge a simbolo significativo e prezioso. Tanto più ora che i fondi per la ricerca scarseggiano e il sostegno pubblico alla cultura è in fase calante. Surrogare non si può, ma stimolare e aiutare sì».

Giovanni Caprara


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