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Subject  :  Katharine Hepburn, la diva che sfidò Hollywood
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  30 Jun, 2003 on 08:04
da Il Corriere della Sera
30 giugno 2003

ADDIO ALL’ATTRICE
Katharine Hepburn, la diva che sfidò Hollywood

di TULLIO KEZICH

Quattro Oscar vinti e dodici nomination nell’arco di quasi cinquant’anni: è un record che nessun altro divo ha mai registrato. Ma Katharine Hepburn vanta un primato ancora più singolare: nelle quattro occasioni che ebbe di ritirare la statuetta - per Gloria del mattino (1933), Indovina chi viene a cena (1967), Il leone d’inverno (1968) e Sul lago dorato (1981) - non si presentò mai.
Ogni volta preferì accampare scuse varie, in realtà indirizzando un chiaro messaggio alla tribù: hollywooditi, voi non mi avrete.
Da giovane in California l’avevano accolta subito come un’estranea, addirittura una snob: figlia di un’ottima famiglia del Connecticut, diplomata, attrice di Broadway. E poi niente calze né trucco né profumi o gioielli: sempre in pantaloni e scarpe da ginnastica, una patologica idiosincrasia per interviste e autografi, vita privata a prova di reporter. I giornali si vendicarono quando nel ’60 impersonò in un musical Coco Chanel: «Considerato come veste, è proprio un’ironia scrisse Newsweek » . Eppure il segreto di Pulcinella della sua relazione con Spencer Tracy, protrattosi per 9 film in 27 anni, fu rispettato da tutti. Tirata su con sistemi puritani da un padre medico sociale e una madre protofemminista, Kate restò fedele a ferree regole di comportamento: presto a cena, subito a letto e sveglia alle quattro e mezza: niente fumo, niente alcol; bagni nell’acqua fredda in ogni stagione; golf, tennis e nuoto ovunque possibile. Non andava al ristorante per l’inopportunità in pubblico di mettere i piedi più in alto della testa, una pratica igienica irrinunciabile al momento della digestione. In casa né radio né giradischi né t elevisione o altri aggeggi definiti rumorosi. Si divertiva a dipingere paesaggi, a leggere e talvolta a scrivere: con garbo e umorismo, come dimostrano il bellissimo libro sulla lavorazione di «La regina d’Africa» e l’autobiografia, pubblicati anche in Italia. Amava fare regali e detestava riceverne. Aveva molti amici verso i quali era fedelissima soprattutto nei momenti difficili: visitò ogni giorno Ethel Barrymore durante la sua lunga malattia; ed è rimasta leggendaria l’assistenza che prestò a Spencer n egli ultimi terribili anni. Nonostante il successo, che fu immediato e duraturo, non tutti le riconobbero un gran talento. Per lei la linguaccia Dorothy Parker coniò la famosa frase: «Le sue ambizioni vanno da A a B», Helen Lawrence scrisse su Vanity Fair : «Ha solo una struttura ossea fotogenica, più o meno due espressioni e una gamma di manierismi vocali» e i critici australiani proclamarono durante il giro artistico del ’55: «Non è Vivien Leigh». Del resto nel ’38 a Hollywood l’avevano bollata come «veleno per il botteghino» e ci vollero le 417 repliche in teatro di Scandalo a Filadelfia per tornare sulla costa del Pacifico con i diritti della commedia in tasca e la congiunta possibilità di scegliere George Cukor come regista e Cary Grant e James Stewart come partner nel classico film che ora passa regolarmente in tv. Senza essere una vera donna in carriera la Hepburn si è sempre sbrogliata molto bene, ha saputo alternare schermo e palcoscenico con ardente tempismo e sprezzo della fatica; e se in tournée trovava dei teatri sporchi, prendeva la scopa e spazzava da sé i camerini. Ma non rubava il mestiere solo alle donne della pulizia: alle prove era il terrore dei registi e finite le riprese di un film piombava in moviola con idee tutte sue. Dolcissima con chi sentiva in sintonia, arrivò a sputare in faccia allo sbalordi to Mankiewicz l’ultimo giorno della lavorazione di Improvvisamente l’estate scorsa . Negli anni 30 il suo tipo volitivo, appassionato e moderno scatenò le ragazze del pianeta in una gara per imitarla. Più tardi, in coppia con Tracy, diventò la tipica Costola d’Adamo del mezzo secolo nella spiritosa e spesso vincente schermaglia con il maschio; per sconfinare poi nel personaggio della «spinster», la zitella combattente che tiene testa a Bogart ne La regina d’Africa e intriga Rossano Brazzi in Tempo d’estate . Finché, in un’accentuazione dei toni tragici, s’impose come la folle madre di O’Neill in Lunga giornate verso la notte e azzardò perfino Ecuba in Le troiane . Continuando a rivelare, in quasi 50 film e almeno 25 spettacoli, una personalità ardita e indomabile, a dispetto degli acciacchi sempre più visibili verso gli ultimi traguardi della terza età. Aveva un credo: «Recitare non è la cosa più importante. Importante è la vita: la nascita, l’amore, il dolore; e infine la morte».

Tullio Kezich


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