Subject | : | Pontiggia, lo scrittore che visse due volte |
Author | : | edscuola redazione@edscuola.com |
Date | : | 28 Jun, 2003 on 07:53 |
da Il Corriere della Sera 28 giugno 2003 Lo scrittore Giuseppe Pontiggia è morto la scorsa notte a Milano per un collasso cardiocircolatorio. Aveva 68 anni. Lascia la moglie Lucia e il figlio Andrea. Autore raffinato e coltissimo Pontiggia oltre che come narratore è stato un apprezzato saggista. Collaborava con quotidiani e riviste, e per anni è stato una delle firme più autorevoli del Corriere della Sera . I funerali si svolgeranno lunedì alle 9, a Milano, nella chiesa di San Giovanni in Laterano, in piazza Bernini. La camera ardente sarà allestita domenica dalle 16 alle 19 presso l'Archivio Storico della Biblioteca Trivulziana all'interno del Castello Sforzesco. La biografia Lo scrittore e critico Giuseppe Pontiggia, morto ieri nella sua casa milanese, viene considerato «uno dei grandi della narrativa italiana contemporanea». Pontiggia era nato a Como il 25 settembre 1934 a Como. La madre, che era stata in gioventù attrice dilettante, gli trasmise l’interesse per la recitazione, mentre dal padre, funzionario di banca, ereditò la passione per i libri. Dopo l’infanzia trascorsa a Erba, Giuseppe (alla morte del padre) si trasferisce prima a Santa Margherita Ligure, poi a Varese e quindi a Milano dove si laureò alla Cattolica nel 1959 con una tesi sulla tecnica narrativa di Italo Svevo. Pontiggia, lo scrittore che visse due volte Davvero crudele, davvero difficile da accettare e persino da credere, la notizia della morte di Giuseppe Pontiggia. Il vuoto che lascia risulterà proporzionale, ne sono certo, al suo riserbo, alla preziosa rarità e tempestività dei suoi interventi pubblici. Ma non è il momento, questo, di lamentare ciò che viene a mancarci, cioè la presenza dell’intellettuale e dell’amico, quanto di rivendicare l’importanza e il senso di ciò che ci rimane, cioè l’opera dello scrittore. Dal suo primo romanzo, La morte in banca (uscito nel ’59 e poi, dopo vent’anni, interamente ripensato e riscritto, secondo un suo tipico modo di intendere la letteratura come un lavoro artigianale in qualche modo infinito) sino a quel libro singolare e affascinante, sospeso fra autobiografia e saggismo, che è Prima persona (2002), Pontiggia ha regolarmente alternato - e non di rado intrecciato in un unico progetto espressivo - la metafora narrativa e la riflessione culturale, civile, morale. Molti letterati italiani, in questi ultimi decenni, lo hanno fatto; ma pochissimi (l’unico nome che mi viene in mente, forse, è quello di Manganelli) con un grado così alto di necessità e di naturalezza. Non è stato, voglio dire, per conformarsi strategicamente a uno dei grandi miti culturali del 900, quello del romanzo-saggio, che Pontiggia ha imboccato sin dall’inizio, e poi via via sempre più risolutamente e autorevolmente, la strada appena descritta, bensì per obbedire a un modo profondo e originario della sua immaginazione stilistica; raccontare e riflettere, stringere e «divagare», aderire ai fatti e tenersene un poco in disparte per osservarli, commentarli, valutarli, appartengono per lui a un solo impulso ritmico, sono la sistole e la diastole della medesima funzione vitale. E non a caso agli stessi rilievi, alle stesse conclusioni un lettore dotato d’un po’ d’orecchio può arrivare partendo sia dal versante «narrativo» sia da quello «saggistico» della sua produzione, da romanzi come Il raggio d’ombra (1983) o La grande sera (1989) o da raccolte di moralità aforismatiche o aforismi morali come Il giardino delle Esperidi (1984) o L’isola volante (1996) o il già citato Prima persona . Senza contare il felicissimo esperimento delle Vite di uomini non illustri (1993), dove episodi (inventati) di esistenze comuni vengono «trattati» con la dignità e la gravità che gli antichi riservavano alle esistenze dei grandi: procedimento dal quale derivano effetti di mirabile ambiguità fra il comico, il filosofico e il surreale... http://www.edscuola.it http://www.edscuola.com Mail: redazione@edscuola.com |