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Subject  :  «Io, professoressa italiana in Olanda, trattata come un manager»
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  18 May, 2003 on 10:55
da Il Corriere della Sera
18 maggio 2003

«Io, professoressa italiana in Olanda, trattata come un manager»

Maria Bonaria Urban: non ci sono graduatorie Conti per quello che vali e ti pagano in proporzione

DAL NOSTRO INVIATO

BRUXELLES - Quando va bene e i ragazzini sono educati la chiamano mevrouw Urban , signora Urban. Quando va male, non si sprecano nei saluti: entra in classe e loro zitti, si siede alla cattedra e loro parlottano, inizia a spiegare e, alla prima incertezza, viene crocifissa da una raffica di accuse: «Dovrebbe essere più chiara», «Forse è il caso che venga in classe più preparata». All’inizio Maria Bonaria Urban Wieberdink, 34 anni, professoressa di italiano e storia allo Spinoza Lyceum di Amsterdam, ci restava male. Adesso che di esperienza ne ha fatta (insegna in Olanda da 5 anni), ci scherza su: «Qui è tutto diverso, non esiste "professore" o "professoressa". Non ci sono gerarchie, si insegna l’uguaglianza e la libertà: conti per quello che vali». Dura la vita dell’insegnante nella patria dei docenti meglio pagati d’Europa, dove alla domanda «Che lavoro fai?», nessuno si vergogna ad ammettere di passare la giornata tenendo a bada da 28 a 30 (in certi casi 32) ragazzini scatenati.
E’ così difficile?
«Il lavoro richiede una lunga preparazione ed è estremamente complesso. Nessuno si getta nell’impresa se non è davvero convinto. Lavoriamo di più rispetto all’Italia e guadagniamo di più: 1.700 euro all’inizio e 3.000 per un docente con esperienza. Ma chi ci sa fare, può trattare sullo stipendio e spuntare il rimborso spese o il computer portatile».
E i concorsi, le graduatorie?
«Quando lo racconto, i colleghi stentano a crederci. Qui il lavoro si trova sui giornali, con annunci del tipo: "Liceo cerca urgentemente professore di latino". Segue telefonata, colloquio con il preside e con l’équipe che valuta le assunzioni e, se le parti si piacciono, si comincia a parlare di soldi».
Però c’è un contratto nazionale e una griglia retributiva di riferimento.
«Ma la verità è che di professori davvero bravi ce ne sono meno di quanti ne servirebbero. Così le scuole, pur di accaparrarseli, sono disposte a giocare al rialzo. Il preside ha un’autonomia di gestione e budget pressoché assoluta».
Ottenuto il contratto?
«Ci sono due mesi di prova. Chi "bara" viene cacciato dalla sera alla mattina. Gli altri, prima di essere assunti a tempo indeterminato, ottengono un contratto annuale, durante il quale verranno sottoposti a periodiche verifiche dai colleghi e dagli studenti».
Studenti?
«Ricordo un’intervista al ministro Moratti. Diceva: è un sistema inaccettabile. Invece io dico che funziona. Il questionario che viene sottoposto ai ragazzi ha un’infinità di domande: il tuo professore sa spiegare bene? Favorisce il lavoro di gruppo?».
Lei dice che lavorate di più. Quanto?
«Ventuno ore di lezione alla settimana, non 18 come in Italia. Poi ci sono le attività extrascolastiche. Si entra alle 8 e non si stacca prima delle 16-17. Chi può si fa assumere da qualche azienda di informatica o editoria, che paga di più. Ma adesso, fuori dalla scuola, si sente parlare solo di licenziamenti. Così continuiamo ad aggiornarci: le verifiche, anche dopo l’assunzione, sono feroci».

Daniela Monti


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