da http://www.cofir.net/news.htm Il Forum Mondiale dell'Educazione (FME) ha aperto i lavori davanti a ventimila persone da sessanta paesi con un omaggio a Pierre Bourdieu ad opera di Bernard Charlot (non chiedo un minuto di silenzio, ma proprio nel rispetto di un pensatore libero vi chiedo di scambiarvi idee e proposte) e con un programma centrato su Educazione e Trasformazione, attraverso tre momenti tematici dedicati alle citta' educative, alla costruzione sociale delle conoscenze e ad un progetto politico in grado di integrare ed accompagnare un progetto educativo capacedi cambiamento. Il primo Forum organizzato sempre a Porto Alegre nell'ottobre del 2001 aveva messo al centro analisi e denunce, il secondo FME passa alle proposte. Per poterle formulare serve pero' un quadro di riferimento adeguato, condiviso e in grado di mobilizzare ampie forze sociali a favore di un progetto educativo pubblico di qualita'. Ci prova in particolare il l Consiglio Latinoamericano di Scienze Sociali (CLACSO) che organizza uno degli eventi finalizzati alle proposte, un Colloquio sulle riforme educative a livello internazionali. Fra i numerosi relatori, un posto di rilievo e' assegnato a Katarina Tomasevski, croata, relatrice speciale alle Nazioni Unite sul diritto all'educazione. "Il diritto all'educazione e' simultaneamente un'indicazione del progresso e dei passi indietro che si fa compiere ai diritti economici, sociali e culturali nel nuovo millennio" afferma Tomasevski "E' un segnale di progresso che le Nazioni Unite abbiano voluto indicare questa questione come prioritaria attraverso la designazione di un Relatore Speciale nel 1998. Oggi si fa ampio riferimento da parte di ONU, singoli donatori e ONG ad uno sviluppo fondato sui diritti umani. Ma da questi discorsi non si e' ancora giunti ad un 'diritto all'educazione'. C'e' una percezione erronea e generalizzata che l'educazione equivalga al diritto all'educazione. (...) I diritti umani sono impegni governativi perche' non si materializzano da soli semplicemente dall'interazione delle forze del mercato, ne' dalla carita'. (...) In molti paesi in via di sviluppo i minori costituiscono la maggioranza della popolazione. E' chiaro che gli alunni delle scuole elementari non possono costituirsi in partito politico, farsi eleggere in parlamento o garantire bilanci adeguati per l'educazione. (...) Ci sono paesi in cui i genitori versano poche tasse semplicemente perche' guadagnano troppo poco. Anche il loro voto puo' non avere effetto sul modo in cui viene ripartito il bilancio quando c'e' poco da distribuire, una volta sottratti i servizi sul debito estero e le spese cui si da la priorita', per esempio quelle militari. Oggi sono quindi gli insegnanti che si trovano a dover lottare per i propri diritti e per il pagamento dei propri salari, per essere in condizioni di insegnare. (...) C'e' un crescente consenso globale sulla necessita' che tutti i bambini possano portare a termine la scuola elementare, mentre si ignora il diritto all'educazione secondaria e universitaria, che corrono il rischio di essere trasformate totalmente in un servizio che si compra e vende a tariffa. Ma i nostri dati indicano che e' proprio l'educazione secondaria, e non la primaria, la chiave per ridurre la poverta'. La Commissione Economica ONU per l'America Latina e i Caraibi segnala che i giovani che portano a termine l'istruzione secondaria hanno una probabilita' dell'ottanta per cento di sfuggire alla poverta', mentre nel novantasei per cento delle famiglie povere i genitori non hanno completato nove anni di scuola. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riaffermato recentemente il nucleo degli impegni governamentali in relazione alla scuola primaria (gratuita, obbligatoria e di qualita'), ma li ha limitati ad un periodo di cinque anni. Ipotizzando che in media i bambini comincino la scuola a sei anni,, in questo modo completerebbero gli studi a undici anni, quando sono troppo giovani per lavorare e, a rigore, legalmente impossibilitati al lavoro. L'educazione funziona come un moltiplicatore. Negare il diritto all'educazione porta all'esclusione dal mercato del lavoro e all'adesione al settore informale (al lavoro nero). (...) L'aggettivo 'umano' rimanda al dovere di difendere i diritti di tutti perche' chi attenta al diritto all'educazione non rimanga senza rispsote e senza oppositori". (Alessio Surian) La prima conferenza plenaria al Forum Mondiale dell'Educazione a Porto Alegre (20 gennaio) ha affrontato il tema della citta' come motore di un'educazione trasformatrice. Ha introdotto e moderato i lavori Pablo Gentili (Laboratorio di Politiche Pubbliche della Universita' di Rio de Janeiro) che ha sottolineato l'ambivalenza dell'attuale congiuntura politica: l'educazione sotto tiro per le politiche di privatizzazione e mancanza di risorse e investimenti, ma anche segnali di speranza da parte di governi, soprattutto locali. Proprio ad un'esperienza locale, quella di Barcellona, e' stata dedicata la comunicazione di apertura, a cura di Marina Subirats (Universita' di Barcellona e Rete Citta' Educatrici).Sulla scia delle riflessioni di Manuel Castells sui rapporti locale-globale, Subirats ha sottolineato come l'istruzione sia centrata sia su un modello di sapere scientifico, sia sulla proposta di sapere etico. Il primo oggi ha soprattutto caratteristiche globali, mentre il sapere etico non sembra rispondere piu' alla stessa logica esterna (anzi, percepita dalle comunita' come minacciosa), mentre sembra ritrovare un impulso davvero etico nelle identita' locali. La sfida per i comuni e' poter far fronte alle nuove responsabilita' attribuite da queste istanze, ma soprattutto dalle politiche di decentralizzazione mentre e' evidente come manchino risorse adeguate. E' una sfida che riguarda anche l'organizzazione dei saperi, ha affermato Ramon Moncada (di Corporacion Region, Medellin, Colombia) aprendo la propria comunicazione con "Janela pra o mundo" (Finestra sul mondo), la canzone di Milton Nascimento che ricorda come sia necessario spingersi lontano per scoprire cio' che gia' avevamo nelle nostre mani. Aldila' di saperi disciplinari, afferma Moncada, e' importante oggi imparare a pensare la citta' per apprendere a con-viverci, a mediare fra utopie individuali e collettive, fra pubblico e privato. Il tema della partecipazione plurale e' stato al centro dell'ultimo e piu' denso intervento, a cura di Steve Stoer (Portogallo, rivista "educazione societa' cultura" e Universita' di Porto). Stoer ha messo in evidenza come sia in atto nel mondo occidentale, ma anche in molti altri Stati che adottano quello occidentale come modello, una trasformazione da cittadinanza attribuita (quella che viene dalla Stato, il cedere liberta'naturali per ottenere liberta' civili esplicitato da Rousseau) alla cittadinanza reclamata. Questa riconfigurazione mette al centro le rivendicazioni di cittadinanza attiva, della dimensione sociale, che sono anche base per una piu' compiuta rivendicazione delle differenze, la dimensione culturale della cittadinanza: la sfida e' quella di trovare risposte adeguate a quelle minoranze che oggi esprimono il loro disagio ("non tollero la generosita' di cui sono oggetto, in quanto rivendico la mia soggettivita') a partire dalla consapevolezza che il riconoscimento delle diversita' dipende da effettive politiche redistributive. "La scuola stessa non puo' essere solo attribuita" sostiene Stoer "deve essere anche reclamata,tener conto delle strategie di chi la frequenta: non si puo' seminare responsabilita' senza politiche di inclusione, di riconoscimento delle diversita'". |