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Subject  :  Backstage di un'occupazione
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  22 Dec, 2002 on 09:34
da Avvenire

Scuola, esaurite le manifestazioni i ragazzi si confidano
Backstage di un'occupazione

Gilberto Baroni

L'occupazione è finita. È durata due settimane nella mia scuola. Ora per noi insegnanti è scattata la corsa per riuscire a correggere, prima delle vacanze di Natale, montagne di compiti accumulatisi a causa dell'interruzione didattica. Correggo anche il compito di un mio studente, capo dell'occupazione. Scrive: "Passata l'occupazione…anzi 'okkupazione', come si usa ora scrivere fra i ragazzi della mia generazione... Molto probabilmente non riuscirò a giudicare e a trascrivere su questo foglio la storia di una scuola, di una minoranza dei suoi studenti e del bisogno che c'è di qualcuno che ci renda felici e liberi."
Interrompo la lettura, mi viene in mente che da almeno due giorni non è più a scuola, mi attacco al cellulare e lo chiamo. È in sala registrazione, sta lavorando con un gruppo di amici per incidere un cd. Mi dice che questo è il suo vero lavoro e che oggi non era a scuola perché ha partecipato con stu denti, universitari e sindacati a una manifestazione contro la Moratti e il finanziamento alle scuole private, e giù con le solite litanie di una sinistra piazzaiola, che in terra toscana ha particolare fortuna e seguito. Finita la telefonata, torno a correggere il tema: "Penso che l'esperienza che ho fatto abbia creato in me uno stato di depressione, solitudine e stanchezza diciamo abbastanza fallimentare. Penso di non aver mai preso in giro me stesso e gli altri come questa volta. Tutti gli occupanti mi vedevano come il super-eroe, giunto a salvarli dalla 'tirannia degli uomini malvagi'. Giuro che ho provato a cavare qualcosa di buono da questa situazione, ma niente. Anzi mi sono ritrovato anch'io a non reagire più e ad oziare nelle calde e scomode aule del Marco Polo. Perché siamo così?!? È una domanda che mi sta tormentando. Non riesco a capire come mai la gente non voglia mettersi in gioco, non v oglia creare nulla insieme al branco e soprattutto perché non abbiamo personalità. Ci stanno annientando così. Non abbiamo più nulla in cui credere, nemmeno noi stessi. Non ci siamo per noi. Forse è giusto che io sia passato per un paio di settimane in questa 'selva oscura', anche se la retta via è da agguantare appena finirò di rimuginare sull'accaduto. Tante volte sono crollato e chi mi conosce lo sa: crollo di fronte ad una situazione di caos senza più sapere a chi appoggiarmi, anche solo per uno sfogo. Ho troppe domande senza risposta; le solite dinamiche che si propongono ogni giorno nella mia vita non hanno un senso. A quando una svolta?"
Stacco gli occhi dal foglio e sento che queste sue parole sono anche per me, sono una provocazione a vivere con più verità la mia vita e il mio compito, che non è solo quello di un "trasmettitore di notizie". Sento che i ragazzi hanno bisogno dell'accompagnamento ad ulto, chiaro e forte insieme. Mi dicono che hanno bisogno di "qualcuno che ci renda felici e liberi", e dunque che è tempo di una nuova, antica, vibrante attesa. Tempo di Natale, appunto.


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