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Subject  :  Warwick, il cyborg-prof dei tanti "perché no"
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  11 Nov, 2002 on 09:22
da Repubblica.it

Lo scienziato inglese in Italia per spiegare le ultime frontiere dell'intelligenza artificiale. E dire quanto sono vicine

Warwick, il cyborg-prof dei tanti "perché no"
Nel braccio ha un "chip" che comanda la sua casa informatizzata
Adesso ne ha un altro che collega il suo sistema nervoso a un pc

di ALESSANDRA RETICO

ROMA - Se gli chiedi anche la cosa più assurda che ti viene in mente, se per esempio un giorno faremo l'amore a distanza con identiche soddisfazioni che in presenza, ti risponde con un disarmante "perché no?". Al di là delle naturali, infinite e doverose questioni che una prospettiva simile comporterebbe, è quel "sì" implicito, il sorriso con cui lo accompagna ad ammutolire tutte le obiezioni che vengono in mente. D'altra parte di fronte a uno che si definisce "umano per un semplice caso" devi solo arrenderti, abbandonare tutti i tuoi preconcetti vilmente umani, e ascoltare.

Beve un cappuccino caldo (rassicurante, è umano) e fuma (dannatamente umano) Kevin Warwick quando lo incontriamo al Museo dei bambini Explora a Roma, ospite del British Council per un tour italiano (è stato già a Milano e sarà il 15 novembre alla Città della Scienza a Napoli). Quarantotto anni, camicia celeste come gli occhi, due cicatrici sul braccio sinistro, una sul polso l'altra più sù: è questo il professore di cibernetica dell'Università di Reading, vicino Londra, il primo uomo "cyborg" al mondo. Nel ྞ stupì e fece anche storcere il naso a parte del mondo scientifico per essersi fatto impiantare nel braccio un silicon chip transponder, un microchip che gli consentiva di comandare, a distanza, il sistema informatizzato della sua casa e del suo ufficio.

A marzo scorso, la frontiera cyborg spostata ancora un po' più in là, un pezzettino di silicio di tre millimetri per tre sullo stesso braccio con cento elettrodi collegati al suo sistema nervoso e questo a un computer. Per tre mesi Warwick ha studiato i segnali del sistema nervoso riuscendo a muovere a distanza una mano metallica collegata a un pc che catturava i suoi segnali nervosi trasformandoli in istruzioni per l'arto finto così come, da New York, collegato a Internet, ha inviato gli impulsi fino a Londra, dov'era un'altra mano: "come avere un corpo lungo un Oceano" semplifica Warwick, che nel suo libro pubblicato ad agosto, 'I, Cyborg', offre molte altre occasioni per capire la sua storia, e forse la nostra che verrà.

Porta le cicatrici di questi esperimenti e le mostra, le racconta anche ai bambini che lo circondano mentre fa esibire Elma, Diddybot e gli altri, macchinine e robot che lui chiama un po' i suoi 'Sette nani', interpreti di quel processo senza limiti che è l'imparare, il dialogare, il crescere e persino il divertirsi attraverso uno scambio di impulsi elettrici. Nulla di più adatto un pubblico di tanti perché come è quello dei bambini per il professore dei "perché no?". Che però argomenta: "Se trasmettiamo al nostro sistema nervoso un'informazione sconosciuta forse le prime volte verrà ignorata, ma se continuiamo a inserirla alla fine il cervello la capirà".

Il punto è il cervello, insomma: "I sentimenti sono una cosa complessa" ammette Warwick quando gli chiediamo dell'esperimento fatto con la moglie Irena, che si è fatta impiantare due aghi, uno dei quali dotato di elettrodo a contatto col nervo mediano, per comunicare al sistema nervoso del marito il suo amore coniugale: "Se lei alzava il dito io ricevevo quel segnale: bello, dolce, sensuale. I primi preliminari cyborg?", anticipa autoironico la domanda.

Traduce allegro perché dalle cose vuole togliere il velo dell'impossibile: quello che siamo stati abituati a leggere come fantascienza da Orwell a Crichton, a Matrix e a Minority Report, quello sì che lo fa sorridere. "Perché oggi siamo più intelligenti di 15 anni fa e lo saremo sempre di più visto che le macchine possono darci questa possibilità: perché non sfruttarla?". "Perché finisce male 'Terminale uomo' di Crichton, libro che dice galeotto, a 16 anni, della sua 'svolta'", cerchiamo di obiettare. "Insomma, non è che saremo costretti ad abbattere i computer che abbiamo costruito perché prenderanno il potere, si sostituiranno a noi, alle nostre seppur imperfette, smemorate e forse stupide, ma pur sempre calde esistenze?", insistiamo. Il problema, non sono le macchine, replica Warwick, "ma gli esseri umani, ai quali comunque rimarrà la prerogativa del controllo".

Al di là dello stupore e di una non totale remissione al peccato del sospetto, rimane che gli esperimenti di Warwick aprono frontiere interessanti per la medicina: aiutare per esempio le persone che hanno subito lesioni al midollo spinale a riprendere l'uso degli arti (in due ospedali inglesi si sta lavorando su questo); ai malati di Parkinson o epilessia la possibilità di ricevere messaggi elettronici dai computer; a chi è completamente immobilizzato di aprire le porte con la sola forza del pensiero. "Le capacità del nostro cervello sono ancora tutte da esplorare" e per Warwick questo significa espandere, ad esempio, le capacità della nostra memoria ma anche "rendere possibile un'esperienza che un handicap fino a ieri cancellava".

Prossimo orizzonte, stringere ancora di più questa santa alleanza essere umano-tecnologia. "Voglio lavorare a un impianto da inserire nel cervello, cosa che non sarà possibile prima di dieci anni almeno". Inutile dirgli, affettuosamente, che è un pazzo (ci ha già pensato la figlia Maddy). Anche perché "se per curare un mal di testa, potremo usare un impulso al posto di un'aspirina", perché no?

(11 novembre 2002)


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