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Subject  :  «Buon piano, parliamone ma non in piazza»
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  19 Dec, 2001 on 10:09
da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 19 Dicembre 2001

L’INTERVISTA

«Buon piano, parliamone ma non in piazza»

Il presidente della Compagnia delle Opere: «Temo molto la devolution»


MILANO - «Tutta questa agitazione è assurda, si fa un polverone contro qualcosa che non esiste. La bozza di riforma è provvisoria e ben lontana dal diventare legge: spero che passi almeno un anno prima che lo diventi, sono contrarissimo a una riforma a colpi di maggioranza. La Moratti ha fatto un buon lavoro, ma molto c’è da fare e non tutto ci convince». Giorgio Vittadini - docente di Statistica alla Bicocca di Milano e presidente della Compagnia delle Opere - è a capo di un impero che unisce 15 mila imprese e 200 mila addetti e che è considerato il braccio secolare di Cl, politicamente in bilico tra Silvio Berlusconi e Giulio Andreotti. Vittadini tempo fa firmò un manifesto, «Scuola libera!», a cui aderirono Ferdinando Adornato e l’attuale ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. Perché contesta i contestatori?
«Perché si usa la scuola per colpire il governo. Perché il dibattito non si fa in piazza. Perché la riforma è solo una bozza. E poi perché si contesta un dato, la privatizzazione, che in realtà non esiste».
Eppure è uno dei temi centrali.
«Dobbiamo uscire dalla sterile alternativa tra statalismo e liberismo. Ma guardiamo la finanziaria: sono forse previste cinque lire in più per la scuola privata?».
Siete contrari alla scuola statale ?
«La scuola pubblica è indifendibile. Vogliamo sostenere un sistema nel quale gli insegnanti prendono stipendi da fame e i genitori non contano nulla? Partiamo da un dato: in Italia la scuola privata è al 3%, mentre la media occidentale è del 30. In Olanda, Paese non cattolico, è del 75%».
Cosa non le piace della bozza?
«E’ discutibile l’opportunità di ridurre la durata dei licei da cinque a quattro anni. Così come si deve sottolineare che la scuola deve educare a un ideale e non formare. E poi c’è la libertà di scegliere, che deve essere centrale».
Proprio questo si contesta: il rischio di una scuola di censo che garantisca il minimo indispensabile mentre il resto, per esempio il tempo pieno, si deve pagare.
«Non è questo che si vuole. Ma l’alternativa è un sistema centrale che produce inefficienza, che se ne frega degli insegnanti e degli studenti».
Si accusa il governo di volere dequalificare la scuola pubblica per favorire centri gestiti dai privati.
«Io sono a favore di un sistema misto, ispirato al no profit, con una forte presenza dello Stato che dia un quadro di regole entro il quale muoversi».
E la devolution?
«La temo molto. I funzionari regionali non sono più colti e sensibili di quelli statali. Piuttosto serve dare agli istituti maggiore autonomia».
Creare scuole-azienda che investono sul marketing e si fanno concorrenza tra loro?
«Il punto è avvicinare le scuole al territorio. Far sì che i singoli istituti e le famiglie gestiscano i fondi. Per ora i genitori gestiscono solo i soldi delle merendine».

Alessandro Trocino


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