da Unità Domenica, 16 Settembre 2007Scuola, esami di riparazione in vendita Marina Boscarino Andiamo al punto. «Nella organizzazione degli interventi didattici finalizzati al recupero dei debiti formativi (...) le istituzioni scolastiche possono individuare e/o approvare anche modalità diverse ed innovative di attività di recupero che prevedano collaborazioni con soggetti e strutture esterni»: in parole povere, affinché gli studenti sanino il debito, la scuola pubblica italiana - evidentemente scarsamente stimata dal Ministero della Pubblica Istruzione - potrà servirsi non già delle competenze dei propri docenti, ma di apporti esterni. Si tratta dell’art. 4 della bozza di decreto sul recupero dei debiti formativi che il ministero ha discusso con il sindacato qualche giorno fa. Segue, all’art. 5, che «negli istituti tecnici e professionali, per le discipline aventi dimensione pratica o laboratoriale, il «recupero» può avvenire anche all’interno di "laboratori didattici" attivati in collaborazione con imprese, il mondo del lavoro, gli Enti locali». Ricordo con una sorta di romantica nostalgia il periodo in cui - dalle pagine di questo giornale - tuonavo contro l’esternalizzazione dei servizi di pulizia delle scuole previsti da una qualche Finanziaria Berlusconi. Sottilmente, dopo l’innalzamento dell’obbligo che - per prevenire la dispersione scolastica - legittima l’intervento di agenti esterni alla scuola al fine di portare tutti ai fatidici 10 anni di istruzione (non a caso si parla di obbligo di istruzione e non scolastico), qui si propone l’esternalizzazione di un altro aspetto della didattica. Insomma, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E per chi deve governare la scuola pubblica italiana i duri non sono mai gli insegnanti, ma sempre qualcosa o qualcuno che sta fuori. Costi e oneri dell’operazione - quelli materiali, quelli in termini di civiltà e di democrazia e di deresponsabilizzazione (e quindi di impoverimento) della scuola pubblica sono evidenti - non sono nominati. Ma ci saranno. E sarà interessante verificare le conseguenze di questo nuovo filone di speculazione economica, avviata alle spalle dei contribuenti - e alla faccia del mandato che la Costituzione ci affida. E ora un po’ di storia, tanto per capire. L’esame di riparazione nelle scuole superiori fu abolito il 29 agosto del 1995 con un decreto del Ministro D’Onofrio. Ad esso si sostituì l’attribuzione di «debiti formativi», per assolvere i quali la scuola avrebbe dovuto farsi carico di organizzare modalità di recupero e di valutazione. Inutile dire che un’interpretazione dignitosa e letterale dell’autonomia di sviluppo, ricerca e sperimentazione da parte delle scuole avrebbe trovato in questo campo un terreno fertile e ricco di possibili esiti. La risposta è invece stata disomogenea. E così per molti il cambiamento ha accompagnato l’abbassamento del livello di competenze degli alunni e la mortificazione della «serietà» della scuola italiana. In questo panorama ha tenuto banco per tutta l’estate la questione esame di riparazione sì o no, alla quale Giuseppe Fioroni si è dedicato come al più appassionante dei Sudoku. Alimentando in molti, invece, l’impressione disorientante che le innovazioni e la migliore tradizione didattico-pedagogica vengano recepite dal ministero solo dal punto di vista teorico e programmatico; mentre da quello pratico prevalga insistentemente una visione asfittica e retrograda della scuola. Il campo della «riparazione» e del «debito» - già la scelta lessicale rimanda a una visione moralmente punitiva o economicista del mancato apprendimento - è uno di quelli in cui si sta concretizzando più evidentemente questa sorta di schizofrenia. Il problema c’è e va affrontato; ma in modo completamente diverso. Rimane nella bozza del tutto marginale il fatto che quello del debito è un problema strettamente legato alla valutazione. La bozza di decreto configura un complicato percorso a ostacoli finalizzato esclusivamente alla soluzione di un problema posto normativamente dalla legge 1/07 e dal DM 42/07, che prevedono la non ammissione all’esame di Stato per chi non abbia sanato i debiti. Un percorso che - da una parte - ignora completamente il biennio delle superiori (ora obbligatorio), che rappresenta pur sempre il momento più alto della dispersione; dall’altra presenta il debito come un problema disciplinare degli studenti, in un’ottica che con la scuola delle competenze cooperative, metacognitiva, laboratoriale (tutte istanze contenute nei documenti ministeriali) c’entra poco o niente. Al punto che nella bozza viene configurata la sospensione dell’ammissione alla classe successiva, posticipando lo scrutinio finale dopo il 31 agosto, una volta espletata la fase estiva di recupero a carico della scuola e la relativa verifica a settembre: viene, cioè, surrettiziamente reintrodotto l’esame di riparazione. Che dire? I tempi per un ripensamento in un’ottica meno banale e mortificante per la scuola e i ragazzi ci sarebbero. E la speranza, come si dice, è l’ultima a morire: a migliorare la bozza potrebbero intervenire osservazioni e suggerimenti del mondo della scuola.
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