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Subject  :  Quella tassa incostituzionale che si paga per i figli a scuola
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  11 Sep, 2006 on 10:46
da Corriere
Lunedì, 11 Settembre 2006

Quella tassa incostituzionale che si paga per i figli a scuola

G. Barbellini Amidei

Mille e duecento euro per due figli, uno alla prima media uno al primo liceo, è il costo medio fra libri e arredo scolastico per mandare i ragazzi a studiare nell'anno 2006-2007, con una spesa salita del 4 o del 5% rispetto al 2005-2006: il doppio dell'inflazione.

L'imposta invisibile sulla conoscenza raggiunge così incredibilmente il 20% di quanto un cittadino medio in un anno intero versa allo Stato in tasse e tributi. Il silenzioso drenaggio è anticostituzionale. Infatti il secondo comma dell'articolo 34 della Carta repubblicana proclamava che l'istruzione è «obbligatoria e gratuita» per almeno otto anni. Era il primo gennaio del 1948, quando la norma entrò in vigore. Allora essa riguardava l'istruzione inferiore: ma 40 anni dopo, mentre l'allungamento della obbligatorietà promette di coprire l'intero percorso scolastico, la scelta porta con sé la totale gratuità come ovvia conseguenza. Ma i libri sono soltanto la metà del peso, il resto è fatto di cancelleria, quaderni, zaini e in più una proliferante serie di gadget elettronici. Nell'acquisto giocano un ruolo sia la modernizzazione dei metodi di apprendimento sia la spinta della emulazione fra coetanei. Manca alle famiglie e alla scuola la forza di regolare con pacatezza l'invasione della mini-informatica da banco di classe, in un incalzante affollarsi di cellulari capaci di far fotocopie, di iPod utilizzati per registrare le lezioni, di palmari ritenuti indispensabili dai ragazzi per appunti e ricerche. La disparità nelle risorse familiari si materializza nei listini dei pezzi griffati, negli zainetti d'autore, nel guardaroba degli accessori di lusso. La pressione a non sfigurare innesca una ulteriore diseguaglianza economica, come non bastassero quelle esistenti, che segnano l'intera biografia dei singoli studenti. I giovani sono svantaggiati nei percorsi, negli esiti e negli sbocchi professionali, via via che nella scala sociale la loro famiglia copre gradini più bassi. (Si possono sfogliare diversi studi pubblicati dal Mulino, l'ultimo è di questi giorni: competenze e successo troppo spesso toccano solo a figli di genitori forniti di altrettanto competente successo). Il tema del caro libri è affrontato qua e là con le formule del «leasing», dell'usato, degli acquisti con sconto e dello scaricamento (dove è lecito) da Internet. Parzialmente intervengono alcune Regioni e altre amministrazioni locali. La liquidazione dell'intero gravame richiede però una decisione politica ed economica non ipotizzabile sui tempi brevi, in una stagione di magri bilanci pubblici. Ma si potrebbe agire subito in modo globale sul contenimento del consumismo da arredo, che è insensato come fenomeno di massa. La scuola può aiutare i giovani a recuperare senso critico, senza proibizionismi. È agevole far passare il messaggio sull'aspetto retrò di una sfilata di moda permanente in classe. Serve una piccola pedagogia dell'arredo scolastico, senza approcci pauperistici e senza improponibili divieti. Una raccomandazione al Ministero: evitate circolari lamentose o genericamente severe. Piuttosto che bloccare il telefonino sulla soglia (impresa impossibile), è meglio dotare la scuola di uno di quegli aggeggi tecnici che ne paralizzano il funzionamento per l'ora della lezione. E insegnate ai ragazzi a spendere il meno possibile, anche cercandosi cellulari ultra economici.


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