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Subject  :  La lezione del D´Azeglio
Author  :  edscuola redazione@edscuola.com
Date  :  10 Sep, 2006 on 08:46
da Repubblica
Domenica, 10 Settembre 2006

Si tratta della decisione del preside del glorioso liceo classico D´Azeglio di affidare al sorteggio la formazione delle prime classi del ginnasio, sottraendola alle intromissioni dei genitori e ai capricci degli allievi.

La lezione del D´Azeglio

ETTORE BOFFANO
«Questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori» ("Lettera a una professoressa", Scuola di Barbiana). Chissà se oggi, dovendo presentare il primo giorno di scuola nell´Italia di un anno qualunque del Duemila, don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi sceglierebbero ancora gli insegnanti come obiettivo del loro pamphlet che, quasi 40 anni fa, fece tremare le fondamenta di una delle più imperturbabili istituzioni dello Stato, passate dall´Unità alla Repubblica attraverso il fascismo e senza mai mutare: la scuola. Forse, in quella piccola aula scaldata con una stufa a legna nella frazione di Barbiana, l´ebreo convertito diventato sacerdote e i suoi allievi figli di contadini avrebbero capito invece la nuova filosofia negativa dell´insegnamento italiano: l´invadenza, la faciloneria, la superficialità e quasi lo strapotere con i quali i genitori di adesso "assaltano" il mondo della scuola.


Pretendendo spesso di giudicare e di determinare un lavoro che non conoscono e che loro non saprebbero fare: quello di insegnante. Costruendo attorno ai propri figli-scolari (e poi studenti) una fitta rete di protezione e addirittura di complicità intellettuali: giustificando ogni cosa fatta o detta dall´allievo, condannando senza appello ogni scelta o comportamento del docente.
Una "rete" solidale e articolata, simboleggiata da quei crocchi che a partire da domani mattina, all´inizio e alla fine delle lezioni, si costituiranno sino a giugno davanti a ogni istituto, a Torino come nel resto d´Italia. Mamme e papà, "Genitoridisperati" verrebbe la voglia di chiamarli parafrasando il titolo di una serie tv statunitense, presi da un´unica ossessione: parlare, il più a lungo e il più spregiudicatamente possibile, della scuola dei propri figli, di questo o di quel professore, di un programma di studio da bocciare (e da parte di chi? e con quali titoli e preparazione per farlo?) o di un compito a casa da bollare come inutile. Con ogni momento del lavoro altrui (e della missione altrui, come nel caso dell´insegnamento) vivisezionato pezzo per pezzo, molte volte messo irrimediabilmente alla berlina, in un mondo già abbastanza sconclusionato da anni di retorica dirigistica di direttori scolastici e presidi, di luoghi comuni sull´insegnamento (ahimè, soprattutto da parte della sinistra), sui programmi trasformati come al mercato in "offerta formativa", sugli inutili orpelli dei corsi pomeridiani di cucina o di cucito presentati con un´enfasi pari solo alla disarmante inefficienza del loro svolgimento.
Perché tutto ciò? Narcisismo trasferito sui propri figli accanto a una sorta di "maleducazione" civile nei confronti di un mestiere pubblico e difficilissimo come quello degli insegnanti, spiegano gli interpreti più cattivi. Eccesso di ansia per un futuro che sentiamo già così incerto e pericoloso nei confronti di coloro ai quali abbiamo affidato la prosecuzione della nostra esistenza e le nostre speranze di genitori, pare essere invece la ragione forse più autentica.
Autentica e comprensibile, ma sempre ingenerosa verso una dignità e un´autonomia che meriterebbero più rispetto da parte di chi ha deciso di delegare a un´altra donna o a un altro uomo il compito di educare i propri figli. Almeno nei confronti di uno Stato che, quanto a retribuzioni, occasioni di aggiornamento e sostegno è già così avaro con una categoria che dovrebbe essere invece tra quelle più stimate e più prestigiose in un paese moderno e civile.
Nei giorni scorsi, nel suo piccolo, Torino ha segnato un´inversione di tendenza rispetto a questa sconfortante situazione e forse ben oltre lo stesso clamore mediatico che quella vicenda ha sollevato. Si tratta della decisione del preside del glorioso liceo classico D´Azeglio di affidare al sorteggio la formazione delle prime classi del ginnasio, sottraendola alle intromissioni dei genitori e ai capricci degli allievi. Un semplice gesto, ma forse anche una minirivoluzione: comunque qualcosa di cui tutti i torinesi che hanno dei figli a scuola possono essere grati a quel preside che ha saputo riaffermare la necessità di regole precise e condivise, anche tra i banchi e tra le cattedre.
Una lezione che noi genitori dovremmo aver imparato e che potrebbe far emergere almeno il tarlo del dubbio in quei tanti crocchi davanti alle scuole torinesi che si riconvocheranno spontaneamente da domani mattina. E che dovrebbe spingerci a chiedere agli insegnanti dei nostri figli di fare bene il loro mestiere, senza retorica e con serietà, ma consapevoli che l´invasione eccessiva e la protezione esagerata dei nostri ragazzi sono anch´essi degli errori educativi. Questa volta, però, soltanto nostri. Il rischio è, altrimenti, di veder un giorno riscrivere al contrario l´incipit della "Lettera a una professoressa": «Cara signora, lei non ricorderà nemmeno il nome dei miei genitori. L´hanno distrutta, come hanno fatto tutti gli altri…».


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