Subject | : | CIIS: Comunicato 13 giugno 2006 |
Author | : | edscuola redazione@edscuola.com |
Date | : | 14 Jun, 2006 on 09:43 |
Ci sembra importante contribuire al dibattito sulle proposte avanzate dal documento predisposto dalla FISH e inviato al Ministro, on. Fioroni, riguardante le “linee di azione per l’integrazione scolastica alunni gravi-gravissimi” con questo primo intervento. Come Associazione aderente all’Osservatorio Scuola della FISH, e in quanto insegnanti di sostegno, abbiamo cercato di riflettere con attenzione sul testo proposto facendo riferimento all’esperienza e alla prassi quotidiana quale filtro interpretativo.
Non condividiamo, quale strategia o panacea, la proposta della classe di concorso: chiaro segno di “disintegrazione del processo di integrazione”; sarebbe come proporre la riapertura delle scuole speciali. Non ci sembra sia il caso di dover giungere a tanto! Vogliamo qui ricordare che attuare processi di “integrazione” richiede “adeguata formazione professionale congiuntamente ad un cambiamento culturale. Il resto rischia di essere un palliativo atto a tamponare ferite destinate ad allargarsi in modo insanabile. Sul fronte del “quotidiano”, noi, insegnanti di sostegno, viviamo la “stanchezza”, non del nostro lavoro, bensì della necessità diffusa di continuare a normare nuovamente il sistema, sperando che poi funzioni. Mai come in questi ultimi anni si continua a parlare di integrazione, si riflette sull’integrazione, si spendono parole sull’integrazione……ma, nella realtà di ogni giorno, avvertiamo sempre più che l’integrazione “ci sfugge di mano”, scompare nelle pieghe dell’oblio. Ci sembra, di fatto, in relazione al documento della FISH, che oggi come oggi, alla luce delle brevi considerazioni su esposte, Norme, documenti, classificazioni e quant’altro sono importanti, sicuramente. Ma non possiamo essere “soffocati” da ulteriori strutture che vedono di frequente la presenza delle stesse persone ovunque (chi opera nel GLH si trova ad occupare ruoli nel CTRH, è possibile incontrarli al CSA, presso l’ufficio integrazione, oppure presso l’Ufficio Scolastico Regionale: sono gli stessi che trovi nei 1000 convegni, sono gli stessi che potresti trovare nei piani di zona ecc….) E pensare che, per notare alcun miglioramenti, basterebbe semplicemente applicare Il vero problema dell’integrazione, e va sottolineato e ribadito, è di carattere etico-culturale. È in questa dimensione che si gioca la partita. Nella, scuola, lasciatecelo dire, il problema non sono tanto i numeri (peraltro decisamente importanti), non sono le risorse umane (per lo più presenti anche se bisognose di essere assolutamente “rinforzate”), non sono neanche (lo si lasci dire, anche se vero solo in parte) i “soldi”, quanto una adeguata formazione professionale degli operatori e, nello specifico di: È ora di fare una svolta. Ma occorre il coraggio di osare. Formazione, ribadiamo, che deve essere rispettosa dei bisogni degli alunni che l’Unione Europea definisce persone con “bisogni speciali”; bisogni non solo di educazione, ma anche e soprattutto di “istruzione”: la scuola ha il dovere e il compito di insegnare, compito dal quale non può assolutamente sottrarsi. Ci pare, pertanto, di dover focalizzare l’attenzione su questi tre ambiti: a. formazione professionale per dirigenti, insegnanti (sostegno e curricolari), operatori ASL, operatori della scuola (personale Ata, assistenti educatori, amministrativi), b. applicazione e rispetto della normativa esistente, c. NO alla classe di concorso. Si propongono invece interventi volti alla valorizzazione professionale dell’insegnante di sostegno all’interno della scuola. Sono modalità operative da approfondire, in ogni caso in ANTITESI alla “classe di concorso”, la quale contribuisce a “marcare una maggiore separazione fra alunno in situazione di handicap e alunno non-in situazione di handicap”, determinato dalla presenza «dell’insegnante personale».
Il dover ricorrere alle sentenze per “chiedere” l’applicazione di diritti sanciti rappresenta un segnale d’allarme rispetto alle “carenze” e allo stato di “sofferenza” in cui versa oggi il «sistema integrazione».
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