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IL NODO IRRISOLTO
Sarà dovere imprescindibile del nuovo governo, e suo compito prioritario all’interno della politica scolastica, portare ad un’effettiva soluzione il problema della stabilizzazione lavorativa degli insegnanti precari, soluzione che è mancata in questi anni per la non volontà di affrontare in maniera definitiva, sensata e strutturale la questione, pur riconosciuta nella sua gravità da tutte le forze politiche e sindacali.
Non l’hanno di certo risolta le assunzioni a T.I., le cui cifre sono state sbandierate con toni propagandistici: del tutto insufficienti, esse hanno inoltre costituito per i precari una vera e propria cabala dei numeri.
Come non ci siamo mai stancati di sottolineare, è necessario un attento esame della situazione se si vuole intervenire in maniera efficace e risolvere davvero il problema, eliminando storture e arbitrarietà che impediscono spesso proprio ai precari storici – precari ormai anche da oltre dieci anni – di accedere al ruolo.
Date le ben note convergenze di interessi lobbistici e trasversali e l’approssimativa conoscenza della situazione da parte della maggioranza dei politici, non vorremmo però trovarci a dover ripartire dal punto zero o peggio.
Deve essere sicuramente superata la logica del puro risparmio a cui è dovuto, fra l’altro, lo scarto notevole esistente tra organico di diritto e organico di fatto, e che penalizza soprattutto le scuole secondarie e il sostegno, come recitano le cifre ufficiali del MIUR.
Ma non è sufficiente e, per l’ennesima volta, precisiamo che ci troviamo di fronte a:
Storture del sistema: le graduatorie permanenti dovrebbero tutelare e gradualmente assorbire sulle specifiche classi di concorso quanti in esse effettivamente lavorano.
Questo, nei fatti, non accade più. Blindati nelle I e II fasce permangono migliaia di docenti ormai di ruolo o precari privi di servizio specifico a cui va un diritto di primogenitura: le assunzioni a T.I. si traducono in tali casi sic et simpliciter in una operazione di mobilità interna a danno dei precari di III fascia che su quelle classi di concorso prestano effettivamente servizio.
Si fa notare che ai passaggi di ruolo è già destinata una notevole percentuale dei posti disponibili (elemento questo che va anch’esso a gravare soprattutto sui precari delle secondarie, come è stato alla fine riconosciuto anche dalle OO.SS., ma per il quale è mancata una adeguata soluzione).
Iniquità e privilegi ad personam: per riequilibrare uno sconvolgimento dovuto ad atti irresponsabili, sui precari è piombata la follia del raddoppio dei punteggi per il servizio svolto in zone montane, istituti carcerari e piccole isole, e l’onere di versare ogni anno un sostanzioso obolo alle Università per corsi di perfezionamento e master, pena la perdita di posizioni in graduatoria e quindi, eventualmente, anche del lavoro.
Due pesi e due misure: non possiamo esimerci dal ricordare come nel frattempo, approvata in tempi rapidi una legge ed espletati in tempi altrettanto rapidi i concorsi, i docenti di religione siano stati tutti assunti a T.I. (naturalmente niente master, raddoppi di servizio, formazione universitaria post lauream per loro, che hanno anzi sempre goduto degli scatti di anzianità).
Si aggiunga che nel caso di revoca da parte del vescovo, essi potranno usufruire del diritto alla mobilità (lascio la Chiesa prendo lo Stato), andando a coprire posti su cui i precari lavorano da anni. E c’è chi rivendica per loro, in nome della parità dei diritti, la possibilità di avvalersi della mobilità in ogni caso. Come definire se non immorale tale operazione, oltre che umiliante per i docenti precari che da anni e anni sono utilizzati dallo Stato? Questa sì che è una vera e propria disparità di trattamento!
Relativamente al nuovo sistema di reclutamento, sono in cantiere i decreti ministeriali che daranno attuazione al nuovo percorso previsto dalla L. 53/03.
Fin dal febbraio 2003, in un incontro con il Ministro, sollevammo la questione: come abbiamo poi ribadito in tutti i nostri ultimi documenti, non si possono attivare nuovi percorsi abilitanti e procedure di reclutamento senza definire nello stesso tempo un reale sistema di crediti che riconosca e quindi garantisca pienamente tutti i percorsi precedenti nonché la professionalità maturata attraverso il servizio.
Qualsiasi sistema che poggi su farneticanti, assurde e grossolane tesi giovanilistiche, paradossalmente usate per cancellare professionalità, competenze e cultura nella scuola – potremmo sull’argomento consigliare ai sostenitori di tali tesi qualche utile lettura, ad esempio della Repubblica di Platone – troverà la ferma opposizione da parte del precariato, che naturalmente non mancherà di percorrere anche le vie giudiziarie per tutelare i propri diritti.
Le nostre più che legittime richieste di essere pienamente riconosciuti nella nostra professionalità non riguardano semplicemente il diritto individuale, ma sono direttamente correlate e inscindibili da un complessivo e sostanziale discorso sulla scuola, organismo complesso e non aggregato meccanico di parti, le cui reali esigenze sono ormai da tempo puntualmente disattese dalla politica.
A chi vuole un’istruzione affidata a specialisti di un astratto “didattichese” teorizzato e messo a punto in aule universitarie, tanto vuoto quanto lontano dalla effettiva pratica dell’insegnamento e va definendo, in un’ansia analitica, una scuola dei programmi e programmucci, degli obiettivucci, dei pif e pof, dell’astratta, infondata e aberrante scissione tra sapere e saper fare, della minuziosa disaggregazione di conoscenze, capacità, competenze, abilità, moduli, modulini e moduletti, mancando della capacità di coglierla in una viva e superiore sintesi, non resterà altro fra le mani che il cadavere sezionato e disarticolato della scuola, poiché la propria capacità di operare è solo relativa a realtà morte.
Se la scuola pubblica ancora resiste, capace anche di rinnovarsi salvaguardando nella pratica educativa saperi e discipline mentre la politica imperterrita la trascina a livelli sempre più bassi e degradati, è soprattutto grazie all’alta professionalità degli insegnanti di cui i precari sono una consistente parte. L’insegnamento, ricordiamo, è un Giano bifronte: da una parte guarda alla disciplina, dall’altro all’allievo, senza sacrificare né l’uno né l’altra.
Questo è per noi l’equilibrio della vera pratica di chi opera sulla scuola viva e non sui cadaveri. L’On. Valditara (AN) e l’On. Sasso (DS) hanno recentemente sottolineato la necessità di rendere protagonisti gli insegnanti e centrale la loro funzione all’interno della scuola.
Ci auguriamo che tali dichiarazioni corrispondano ad una effettiva volontà e ad una precisa inversione di tendenza: la questione precariato – su cui tutti hanno fino ad ora evidenziato i loro distinguo, quando invece si tratta solo di riconoscere professionalità e diritti – sarà il principale banco di
prova del nuovo governo.
Giovedì 9 Marzo 2006
MIIP - Movimento Interregionale Insegnanti Precari