GISCEL Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica costituito in seno alla Società di Linguistica ItalianaIdee per un curricolo di educazione linguistica democratica oltre i provvedimenti del ministro Moratti documento approvato dall’Assemblea nazionale di Modena, 25.9.2004 0. Premessa: metodo e forma delle Indicazioni nazionali 1. Le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati del “primo ciclo” di istruzione emanate dall’attuale governo, lungi dal rappresentare un punto di convergenza del confronto tra i soggetti che a vario titolo rappresentano la scuola, non dichiarano neppure l’identità dei propri estensori: quale decreto ministeriale ha designato ed insediato quali e quanti esperti? Le associazioni degli insegnanti non sono state di fatto consultate; solo per i piani di studio del “secondo ciclo” sono stati convocati i comitati paritetici con i rappresentanti delle associazioni disciplinari, costituiti presso il MIUR secondo quanto previsto dai protocolli d’intesa; ma, dopo la prima riunione di insediamento, non sono più stati convocati, tanto che le associazioni dell’area linguistica hanno dovuto ritirare la propria disponibilità a collaborare. 2. L’impianto complessivo e i contenuti delle Indicazioni nazionali, oltre a essere approssimativi e confusi, rappresentano un lungo passo indietro rispetto all’impostazione dei programmi fino ad oggi vigenti e rispetto alle linee guida del documento di sintesi della Commissioni cicli istituita (con atto pubblico) dal ministro De Mauro: - la definizione “piani di studio” contenuta nel titolo del documento legittima il timore che l’attenzione sia esclusivamente focalizzata su liste di contenuti disciplinari di conoscenza; - il rapporto tra obiettivi di apprendimento e competenze è concepito in modo del tutto peculiare: la competenza è infatti il risultato della “personalizzazione” dell’apprendimento; - le tabelle indicanti gli obiettivi specifici di apprendimento sono organizzate su due colonne, quella delle conoscenze e quella delle abilità; ma il criterio di graduazione delle une e delle altre, la loro distinzione e reciproca interrelazione sono un enigma insolubile: risultano piuttosto elenchi sganciati e giustapposti; - l’analiticità scriteriata e caotica delle Indicazioni nazionali contiene un’intima contraddizione: se serve a dare un quadro di massima alle scuole, che possono poi muoversi liberamente nella loro progettazione didattica, risulta immotivata e inutile; se invece va intesa in termini prescrittivi, distrugge praticamente il senso stesso dell’autonomia scolastica: come si conciliano le liste di contenuti disciplinari indicate nel documento con la personalizzazione degli obiettivi di apprendimento e con l’autonomia di programmazione didattica delle scuole? Che cosa valuterà l’INVALSI, dal momento che le competenze sono personalizzate e, dunque, non vengono prefigurati traguardi standard o raggiungibili da tutti? 3. In un’ottica affatto diversa il GISCEL propone obiettivi di educazione linguistica definibili in termini di traguardi formativi comuni irrinunciabili, la cui acquisizione va garantita a tutti gli allievi: definire traguardi irrinunciabili non significa puntare al ribasso, significa piuttosto garantire quei ‘nuclei fondanti dell’apprendimento’ senza i quali è compromessa qualsiasi futura crescita cognitiva e linguistica dei giovani. Tali traguardi o standard non vanno intesi in termini di prescrizioni programmatiche; essi sono cioè individuati non tanto dal punto di vista del docente alle prese con la descrizione dei contenuti del suo programma, ma dal punto di vista dell’allievo e di ciò che ci si attende che egli sappia e sappia fare dopo un ciclo di studi; il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue rappresenta un punto di riferimento importante per la definizione dei traguardi. Questa prospettiva si fonda sulla puntuale messa a fuoco delle diverse dimensioni di competenze linguistiche osservabili e, per quanto possibile, verificabili: procedere in questa direzione significa impostare protocolli di prove articolati sia in base ai diversi livelli del sistema linguistico (la dimensione lessicale, morfosintattica, testuale, ecc.), sia secondo particolari intersezioni delle abilità linguistiche che sottendono i principali usi linguistici e pratiche comunicative (scrittura funzionale, gestione di fonti scritte e orali per una varietà di rielaborazioni, ecc.). Tali attività complesse richiedono l’elaborazione di verifiche intelligenti, fondate cioè elettivamente su prove procedurali, tali da garantire, tra l’altro, una retroazione positiva sulla didattica. 1. Educazione linguistica democratica 1. L’educazione linguistica deve dirsi democratica per l’impegno che assume di offrire a tutti senza distinzione i mezzi per realizzare il diritto alla parola come parte integrante dei diritti di cittadinanza. L’educazione linguistica democratica persegue infatti il miglioramento delle complessive capacità socio-semiotiche e linguistico-culturali di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, nativi o immigrati di qualsiasi nazione, lingua, razza, religione; tutti, “non uno di meno”. 2. Un tratto che caratterizza l’essere umano è la capacità di trovare con la lingua e attraverso la lingua modi sempre nuovi, e tuttavia antichi nelle radici, di porsi in relazione con sé stesso e con gli altri, di interrogarsi e riflettere, di ragionare ad alta voce e in silenzio, di esprimere e intendere sensazioni ed emozioni, di conoscere e interpretare prodotti culturali propri e altrui. 3. Per dispiegare le sue potenzialità la facoltà del linguaggio si serve soprattutto della lingua, di una qualsiasi delle molte lingue esistenti. L’idioma nativo, quale che sia, permette lo sviluppo delle capacità cognitive, sociali, relazionali; per questo la scuola deve rispettare gli idiomi di partenza di tutti e fare leva su questi per insegnare la lingua ufficiale del Paese e delle sue istituzioni. 4. Ogni essere umano è unico e diverso da tutti gli altri. La diversità è un valore per l’intera comunità sociale, che trova nella varietà dei suoi componenti elemento di ricchezza per il singolo e per la collettività. È altresì valore la diversità linguistica, di cui una comunità si nutre per ampliare le possibilità comunicative e ideative di ciascuno e dilatare il suo spazio linguistico e culturale. 5. Ogni essere umano, pur unico e diverso, è eguale agli altri nei suoi diritti. Per questo, nel rispetto delle diversità dei singoli, a tutti vanno offerte le stesse opportunità di sviluppo linguistico e culturale. A tutti ed a ciascuno va garantita una conoscenza linguistica comune e condivisa, tale da permettere l’esercizio dei diritti di cittadinanza e la fruizione dei beni culturali. A ciascuno spetta di interpretare la conoscenza maturata a scuola nei modi e nelle forme che la sua unicità gli consente. 6. L’educazione linguistica democratica si persegue dalla scuola dell’infanzia fino all’università. Al raggiungimento dei suoi obiettivi concorrono gli insegnamenti linguistici e ogni altro insegnamento che, offrendo ai discenti esperienze e linguaggi nuovi, specifici, concorra ad ampliare il patrimonio espressivo. 7. Tra i vari usi della lingua e i vari linguaggi, un rilievo a parte esigono gli usi letterari (poesia e prosa) e i linguaggi artistici, i quali, fondati su un sapiente raffinamento dei mezzi espressivi usuali, e spesso a capo di secolari tradizioni espressive, rioperano potentemente sul patrimonio linguistico di chi è messo nelle condizioni di accedervi. Per queste ragioni educazione linguistica ed educazione letteraria devono operare affiancate. 2. Trasversalità della lingua nel curricolo 1. In virtù della centralità della facoltà di linguaggio per la specie umana, lo sviluppo delle competenze linguistiche è al centro della crescita intellettuale, affettiva e sociale di ogni essere umano. Per questo qualunque progetto educativo deve collocare l’educazione linguistica al centro di una rete di relazioni e intersezioni molteplici con tutte le altre aree di apprendimento. 2. Soprattutto nelle fasi iniziali, lo sviluppo delle competenze linguistiche non può essere separato - dalle altre attività di espressione grafica e plastica, musicale, corporea ecc., - dall’educazione alla fruizione di testi audiovisivi; - dalle attività di progettazione e costruzione di oggetti materiali; - da tutti gli apprendimenti di tipo disciplinare. L’idea – presente negli attuali provvedimenti ministeriali – che i primi tre settori di attività educativa indicati possano divenire in buona parte opzionali o facoltativi infligge, almeno al livello della scuola di base, un grave colpo alla possibilità di progettare un’educazione linguistica efficace. 3. Nel corso degli studi diviene via via più essenziale un’impostazione “corale” dell’educazione linguistica, nel senso del contributo concordato e consapevole di diversi insegnamenti e insegnanti alla crescita delle competenze orali e scritte nei rispettivi settori. Infatti, la lingua è anche veicolo essenziale dell’acquisizione di conoscenza nei diversi ambiti disciplinari, oltre che prerequisito per il successo degli studi in ciascun settore. Negli anni terminali dell’istruzione secondaria e della formazione professionale, particolare attenzione dovrebbe essere data agli usi speciali della lingua e ai tipi di testo propri di specifici settori professionali o di ricerca, attraverso una collaborazione sistematica tra gli insegnanti di lingua e delle altre discipline. 4. Le competenze linguistiche possono trarre notevoli vantaggi dall’uso delle cosiddette “nuove tecnologie”: padronanza della videoscrittura, capacità di costruire e usare ipertesti anche multimediali, consultazione di fonti telematiche ecc. La strumentazione relativa dovrebbe essere padroneggiata dagli insegnanti di lingua e accessibile a scuola in ogni momento a loro e ai loro allievi, senza vincoli di orari o riserve per discipline specifiche. 5. L’entusiasmo per le nuove tecnologie non deve tuttavia offuscare la consapevolezza che, come in ogni fase dell’evoluzione semiotica dell’umanità, i nuovi media affiancano e potenziano, ma non sostituiscono quelli più tradizionali, come l'uso orale del linguaggio verbale e la sua codificazione scritta. Di conseguenza l’uso dei nuovi strumenti: - va promosso ricordando che la velocità di accesso alle informazioni conseguita non elimina la necessaria profondità e lentezza dei processi di comprensione, elaborazione, riproposizione; - non può in alcun modo sostituire l’esperienza diretta, sensibile, corporea e l’operatività, manuale e intellettuale, che sole possono dare senso per l’individuo alle espressioni linguistiche o multimediali. 3. L’italiano e le lingue nel curricolo 3.1. Varietà dell’italiano, dialetti e lingue di minoranza 1. Come esito di una storia linguistica antica e recente, il repertorio linguistico italiano è caratterizzato dal plurilinguismo, che registra la coesistenza e la convivenza di idiomi diversi e varietà della stessa lingua entro i confini di uno stesso territorio. Rapportata ai parlanti, questa ricchezza idiomatica si traduce in una polifonia di voci che legittimamente entrano nelle aule scolastiche. 2. Qualunque progetto di educazione linguistica deve tener conto in primo luogo della competenza linguistica di partenza degli allievi. Questo, nella realtà italiana attuale, significa che bisogna tenere presenti: - la presenza di bambini stranieri: circa 300.000 secondo le stime più recenti, con un incremento pari a un raddoppio in tre anni, e concentrazioni molto alte nella scuola di base e in alcune aree geografiche; - la persistenza della dialettofonia, che coinvolge, anche se in modo non esclusivo, oltre metà della popolazione, accompagnata da un’ampia e soprattutto crescente diffusione di varietà regionali dell’italiano, o di usi alternati, incrociati, misti, di italiano, lingue diverse e dialetti. Infatti il patrimonio culturale e comportamentale del bambino, la sua visione del mondo e della vita sono strettamente legati a categorie cognitive veicolate dagli strumenti linguistici effettivamente a sua disposizione, allo stile e alla dinamica dell’apprendimento linguistico, alla categorizzazione della realtà propria della lingua – o del dialetto – di base. 3. Il repertorio linguistico di partenza degli immigrati spesso esclude del tutto la lingua italiana: per loro l’educazione linguistica richiede interventi mirati, tecniche didattiche e strumenti di valutazione speciali. Bisogna tener presente che, se alcuni mesi di immersione possono bastare per acquisire la lingua per la comunicazione e la sopravvivenza quotidiana, l’acquisizione della lingua per lo studio, che sola può garantire agli immigrati pari opportunità di istruzione, richiede anni. 4. Contemporaneamente, un progetto di educazione linguistica deve saper valutare il plurilinguismo sempre più presente nelle nostre classi non solo come un problema, ma come una risorsa; per un essere umano, l’ampiezza del repertorio linguistico disponibile costituisce una ricchezza e una possibilità di arricchimento ulteriore della facoltà di linguaggio. 5. I provvedimenti del ministro Moratti non tengono in nessun conto la competenza linguistica di partenza degli allievi, dando per scontato il generale, anche se imperfetto, possesso della lingua italiana ‘standard’. I documenti ministeriali assumono come modello della lingua un italiano sostanzialmente monolitico: pochi e occasionali riferimenti sono riservati alla variabilità sul piano dei registri e del rapporto scritto-parlato. 6. Un approccio centrato sulla variazione linguistica, nella situazione attuale, pare invece l’unico in grado di avvicinare il bambino alla realtà della lingua che egli vive giorno per giorno e, attraverso di essa, a un modello dinamico della lingua italiana. Al centro dell’attività didattica si devono porre la duttilità della lingua, la capacità e le modalità dell’adattamento alla varietà di situazioni in cui la si usa, le potenzialità espressive e comunicative che sono offerte dalla coesistenza di varietà – geografiche, sociali, situazionali, stilistiche ecc. - che consentono al parlante esperto di operare scelte coerenti con gli scopi e le situazioni della comunicazione. 3.2. Italiano e lingue straniere 1. La scelta di una prospettiva unitaria sulle lingue è essenziale per lo sviluppo della competenza linguistica e comunicativa globale dell’allievo. Al plurilinguismo interno, che è tratto specifico della situazione linguistica italiana, si affianca l’apertura verso più lingue europee. Il plurilinguismo esteso può diventare una risorsa educativa molto potente. Infatti, attraverso lo studio di più lingue, l’allievo: - accresce la sua capacità di comunicare e amplia quindi le sue possibilità di interazione sociale; - potenzia la mobilità cognitiva e la sua naturale capacità di apprendere le lingue sempre di più; - è messo in condizione di sperimentare contenuti, visioni del mondo, modi di pensare e agire diversi da quelli legati alla comunità linguistica cui appartiene; - può confrontare codici e sistemi diversi, attraverso la riflessione metalinguistica, e potenziare le capacità di astrazione e di pensiero formale. Queste dimensioni dello sviluppo (sociale, cognitiva, culturale, metacognitiva) devono essere presenti, pur con accenti e pesi diversi, negli insegnamenti della lingua materna e delle lingue straniere lungo tutto il percorso di studio. 2. Nelle Indicazioni nazionali non si individuano forme di integrazione tra l’italiano e le lingue straniere. L’insegnamento della lingua nella scuola primaria consiste nella ‘alfabetizzazione in lingua inglese’ ed è concepito come studio esclusivamente finalizzato alla comunicazione strumentale e come acquisizione di specifiche conoscenze grammaticali. Le due lingue nella scuola media sono proposte come sequenze di funzioni pragmatiche e di contenuti lessico-grammaticali. In sintesi, le Indicazioni privilegiano pratiche di insegnamento delle lingue che non tengono conto dell’esperienza linguistica in lingua materna. 3. Riteniamo invece che le diverse attività comunicative in lingua straniera debbano correlarsi con le corrispondenti attività in lingua materna, in modi diversi nel corso degli studi: in fase iniziale, l’apprendimento della lingua straniera si fonda necessariamente sulle competenze linguistiche e sulle capacità cognitive che l’allievo ha già sviluppato; successivamente, contribuisce a potenziare specifiche capacità cognitive e abilità linguistico-comunicative (sviluppo graduale e integrato di abilità diverse, consapevolezza metalinguistica, atteggiamento aperto a cogliere analogie e differenze sia a livello semantico, sia sul piano culturale). 4. Nella scuola primaria, la scelta di obiettivi e contenuti della lingua straniera può essere orientata da situazioni formative e approcci che integrano diversi codici espressivi (sonoro, visivo, corporeo-gestuale); nella scuola media, gli obiettivi e i contenuti della prima e della seconda lingua possono essere diversi e complementari (oralità / scrittura, dimensione funzionale / dimensione interculturale, ecc.), in vista dello sviluppo di competenze parziali che, insieme, concorrono alla competenza comunicativa del soggetto 4. Profili di uscita, livelli di prestazione 4.1. L’educazione linguistica nella scuola di base 1. Nelle Indicazioni Nazionali ci si trova di fronte ad un’elencazione pura e semplice di obiettivi e contenuti, a volte con una confusione tra conoscenze/attività/abilità, e con un’eccessiva specificità nell'insistere su termini tecnici, non sempre appropriati, dalla quale non emerge l’idea di lingua a cui si fa riferimento. Espunte alcune acquisizioni ampiamente sedimentate nel patrimonio professionale dei docenti e valide a livello teorico, come il rapporto lingua-pensiero, la lingua come mezzo di comunicazione e di espressione, la lingua come oggetto culturale, non sono state fornite altre coordinate di riferimento. La lingua è considerata indispensabile solo perché consente la piena fruizione delle opportunità formative ed extrascolastiche (v. Obiettivi generali del processo formativo della Scuola primaria), con una visione parziale e riduttiva rispetto all’incidenza della lingua nello sviluppo sociale, cognitivo e culturale di ragazzi e ragazze. Molte delle scelte effettuate segnano un punto di frattura rispetto ad alcuni modi di vedere abbastanza consolidati nell’insegnamento della lingua italiana: ad esempio, gli obiettivi vengono suddivisi per abilità solo nelle ultime due classi della scuola elementare; mentre la riflessione linguistica, privata della dimensione ludica e del senso di scoperta graduale dei meccanismi di funzionamento della lingua, è fortemente centrata sull’analisi formale di contenuti grammaticali. Altre carenze non aiutano i docenti a «interpretare, ordinare, distribuire ed organizzare» gli obiettivi specifici di apprendimento e rischiano di inficiare seriamente l’insegnamento dell’italiano: - l’assoluta distrazione sulle capacità linguistiche dell’allievo, questione liquidata con il richiamo a un generico patrimonio conoscitivo dell’alunno al suo ingresso a scuola; - la convinzione che il confronto interpersonale generi implicazioni a livello logico, morale, sociale, affettivo ma non incida sulla qualità dell’interazione linguistica; - la scarsa attenzione all’operatività cognitiva e linguistica, nonostante la conclamata valorizzazione della corporeità e dell’esperienza personale e diretta dell’allievo; - la scelta di privilegiare in tutto il percorso della scuola di base discorsi e forme testuali tipicamente “scolastici”, a scapito della varietà testuale; - l’indifferenza alla variabilità della lingua a vantaggio di un’idea di lingua statica e impoverita. 2. Un buon progetto di educazione linguistica deve sostanziarsi di conoscenze e di abilità fondate sulla dialogicità, sull’operatività, sulla testualità e sulla variabilità: - la costruzione di significati e di conoscenze, la negoziazione di punti di vista si sviluppa a condizione che lo scambio linguistico, l’interazione, la condivisione siano pratiche quotidiane nella comunità scolastica (dialogicità); - la comprensione e la produzione di discorsi, le scoperte di regole, la costruzione di nuovi significati sono sempre il risultato di percorsi che implicano manualità, rielaborazione cognitiva e uso delle abilità linguistiche (operatività); - la fruizione e l’elaborazione di discorsi e di testi centrati su una pluralità di scopi (informarsi, acquisire conoscenze, comunicare, divertirsi, persuadere…) pone la comunità in condizione di interrogare i testi, ricostruirne i sensi, riprodurre e produrre percorsi già compiuti da altri, cogliere nei testi varietà di lingua, rintracciare collegamenti e continuità di significato (testualità); - la familiarità con gli usi molteplici della lingua (funzionali, creativi e letterari) fa sperimentare concretamente la variabilità della lingua. 3. Da questa prospettiva scaturiscono alcune implicazioni sul versante delle scelte curricolari. a) Solo un’estesa pratica delle abilità linguistiche sin dai primi anni della scuola di base consente di arrivare al controllo della parola propria e altrui e alla consapevolezza che la lingua sollecita rapporti con sé e con gli altri.. b) Nella scuola di base si assegna rilevanza agli usi funzionali, affettivi, creativi e letterari della lingua. La padronanza della lingua implica l’obiettivo di consegnare “tutti gli usi della lingua a tutti” e la possibilità di esercitare la variabilità attraverso la pluralità dei testi, da quelli più brevi, funzionali, pragmatici, a quelli narrativi, descrittivi, espositivi o argomentativi c) Si pone la necessità di incanalare la naturale disposizione metalinguistica, già presente fin dai primi anni di scolarità, verso forme esplicite di riflessione. Non si tratta di apprendere regole già stabilite, ma di esplorare il sistema lingua alla scoperta di regolarità che soltanto in un secondo tempo saranno progressivamente sistematizzate. La riflessione sulla lingua deve privilegiare, soprattutto nei primi anni, il livello lessicale-semantico, ed attuarsi a partire dai testi orali e scritti, perché nei testi si realizzano le intenzioni di chi usa la lingua per parlare e scrivere. Successivamente, possono essere proposte attività esplicite su ciò che si dice o si scrive, si ascolta o si legge, affinché l’allievo diventi consapevole delle operazioni che si fanno quando si comunica e della variabilità della lingua nel tempo e nello spazio geografico, sociale e comunicativo, usi in modo adeguato un vocabolario metalinguistico fondamentale e ragioni in modo più esteso sui fenomeni linguistici. d) Sul versante metodologico è importante: - tenere conto delle esperienze linguistiche maturate dagli alunni, valorizzandone l’idioma (o gli idiomi) di partenza indipendentemente da quale questo sia; - garantire uno stretto legame con l’esperienza e l’operatività; - considerare, nelle prime classi, l'italiano, la prima lingua europea moderna, l'arte e musica, le scienze motorie, in un unico “ambito” (linguistico-espressivo), per far sì che gli alunni sperimentino le prime forme di organizzazione delle conoscenze e delle potenzialità espressive attraverso attività fortemente integrate; - porre un’attenzione costante agli obiettivi comuni a più ambiti disciplinari e a diversi contesti di apprendimento; - mettere in atto percorsi di insegnamento/apprendimento dotati di gradualità/progressione; - prevedere un’articolazione flessibile delle attività che consentano di puntare l’attenzione ora su aspetti peculiari di ciascuna abilità, ora sulla loro integrazione (ascoltare per parlare, leggere per scrivere ecc.).
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