da Corriere della Sera Sabato, 2 Aprile 2005LA SFIDA DELL’INNOVAZIONE / Dopo la nomina di Adriano De Maio a coordinatore regionale si apre il dibattito sul domani della ricerca «Scienza e cultura, un laboratorio per progettare le idee del futuro» Ceruti: la Lombardia crei centri di eccellenza come si fa negli Usa e in Giappone DAL NOSTRO INVIATO BERGAMO - «Certo, come dice il professor De Maio, dobbiamo finanziare la ricerca che promette di avere successo, con sicure ricadute in termini tecnologici ed economici. Ma non basta. C’è anche un’altra ricerca da sostenere: quella di frontiera, che procede secondo percorsi tortuosi, dagli esiti non prevedibili. Molti esperimenti falliti sono spesso il costo necessario per importanti quanto imprevedibili conquiste scientifiche. Concentrarsi sulle strade battute e trascurare l’innovazione più spinta sarebbe un errore». Nell’antico monastero di Sant’Agostino, imbocco di Bergamo Alta, dove 500 anni fa l’abate Ambrogio di Calepio realizzò il primo dizionario della lingua latina, passato poi alla storia come il «calepino», il professor Mauro Ceruti, filosofo della globalizzazione e della complessità (da "complexus", intreccio, nodo di rapporti) e preside della facoltà di Lettere e Filosofia, questi studi di frontiera, la sfida del futuro, sono pane quotidiano. Specie da quando dirige il Cresco, Centro internazionale di studi su antropologia e epistemologia delle complessità. Il professor Adriano De Maio, appena nominato «coordinatore regionale della ricerca», deve tenerne conto. Professor Ceruti, che cosa è il Cresco ? «E’ una scuola di dottorato, tra i pochissimi centri del genere in Italia a godere di finanziamenti ministeriali, che vuol rompere i confini tra le diverse discipline e definirsi come nodo di una rete di scambi internazionali di conoscenze e saperi sull’identità umana. Presidente è Edgar Morin, e nostri allievi trascorrono molti mesi in università estere in ogni parte del mondo: il globalismo non è solo problema economico. Un tema che ci affascina particolarmente sono le radici dell’Europa: gomito a gomito con filosofi, storici, linguisti, archeologi e mitologi lavorano fisici, biologi, antropologi, genetisti e tanti altri specialisti. Stiamo disegnando l’albero genealogico comune delle lingue, delle culture, dei geni, che ci porta indietro di milioni di anni ricostruendo il complesso procedimento evolutivo. I nuovi orizzonti della biotecnologia e degli altri campi avanzati di ricerca impongono di superare le vecchie "due culture". Lo straordinario sviluppo scientifico e tecnologico ha bisogno di svilupparsi in sintonia con una cultura umanistica in grado di governarlo». Un problema anche politico ? «Sì, lo provano le accese discussioni sulla fecondazione e sulle cellule staminali. Come si nasce, come si muore o come ci si ammala una volta non erano questioni "pubbliche". Oggi ci si rende conto invece che riguardano il nostro futuro, la nostra democrazia. La separazione fra la tecnologia superspecialastica e una classe politica priva di strumenti idonei per affrontare questi argomenti può portare a conseguenze gravi». Devono migliorare i rapporti tra ricerca e classe politica ? «Alcuni buoni segnali non mancano, vedi i comitati bioetici che affiancano molti governi, e io ho fatto parte di quello italiano. Comunque le distanze restano grandi. Il banco di prova di una più positiva collaborazione riguarda la formazione. E’ urgente impostare insieme un sistema educativo capace di divulgare una cultura all’altezza dei tempi in tutti i percorsi scolastici, umanistici e scientifico-tecnologici». L’estate scorsa il sindaco di Bergamo Roberto Bruni, aveva affidato a lei, filosofo, il ruolo di «direttore delle idee», una specie di progettista del futuro. Come è andata ? «Tutto si è impantanato nella palude politica. Peccato. A Milano con urbanisti, sociologi ed economisti ho collaborato a uno studio su come la città deve ripensarsi per inserirsi come nodo strategico nella rete globale dei rapporti. E su questo fronte Bergamo può diventare un laboratorio ideale. Il "calepino" dell’antico abate, cui poi si ispirarono i dizionari delle lingue volgari, non era già un esempio di globalizzazione della cultura? I conventi allora erano in rete per fare cultura». Può una città «di provincia» diventare un nodo della rete globale ? «Oggi viviamo nella "città infinita", le differenze tra centro e periferia scompaiono. Anzi, la rete planetaria non contraddice la valorizzazione delle qualità locali, strumenti indispensabili per inserirsi nel mercato globale: il fenomeno del "glocal". Tanti imprenditori bergamaschi hanno legami con la Cina bypassando la "capitale" Milano, del resto quasi irraggiungibile con le attuali strade. E guardi quanti centri di eccellenza sono presenti da noi: il Cresco, il parco tecnologico Kilometro rosso, il Point di Dalmine, polo per l’innovazione. Il successo del recente Festival della scienza ha rivelato un enorme bisogno di una cultura condivisa anche dai non specialisti. L’importante, per crescere davvero, è però riuscire a fare rete, a cominciare con gli altri laboratori lombardi, come vuole De Maio. Purtroppo, anche nel mondo universitario, c’è la quasi totale assenza di luoghi e tempi per lo scambio di contenuti ed esperienze. Restano alti i muri della separazione, dell’atomizzazione». I ricercatori dunque devono uscire dalle loro torri d’avorio ? «E’ il peccato originale da cui occorre redimersi. Ma anche la società deve creare condizioni per lo sviluppo dei centri di eccellenza. Gli esempi degli Usa e del Giappone ci spiegano che il territorio deve attrezzarsi, creare attrattività. Da noi, e parlo della Lombardia, regione più evoluta, mancano strutture di accoglienza e così si incentiva la fuga di cervelli che pure qui, per strumenti e laboratori, non avrebbero nulla da lamentarsi». La rete, l’interdipendenza, il fattore glocal. Le distanze paiono annullarsi. Si concilia con la libertà della ricerca ? «La scienza ha dimostrato che la "razza pura" è proprio quella più debole, priva com’è di difese immunitarie. Il confronto continuo fra le diversità, biologiche e genetiche sono la conditio sine qua non dell’evoluzione della specie umana. Anche per la ricerca bisogna dotarci di anticorpi, abbattendo le barriere tra le discipline. Il nuovo coordinatore regionale ha un difficile cammino davanti a sé». Andrea Biglia
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