IL CASO

Ma il diploma è ancora pieno di errori
Traduzioni imprecise e definizioni contorte per il quarto anno consecutivo

Meno di tre settimane è durata la nuova Maturità: un record di velocità ed efficienza sbarazzina. Il nuovo esame, condotto da docenti interni, equivale a un’autocertificazione che ogni scuola, anzi ogni classe, dà del suo operato. Ho osservato da vicino le procedure delle diverse prove, ho costatato che un presidente esterno non ha alcuna possibilità di rendere omogenee le valutazioni delle prove neppure all’interno delle commissioni in cui lavora: ha solo la funzione di un banditore e (in teoria) la facoltà di fare rispettare le norme dettate dal ministero, districandosi - se è bravo - in oltre 150 pagine (tra leggi, regolamenti, circolari, note esplicative, ecc.) di pessima lettura, che stabiliscono talvolta norme di impossibile applicazione. Da qualche anno la riforma della Maturità obbliga a una riforma «reale» della Scuola. Non ci sarebbe nulla di male che ogni scuola certificasse il livello di preparazione degli studenti, facendosene garante. Ma ciò dovrebbe avere come logica conseguenza l’abolizione del valore legale del titolo di studio, per non creare pasticci e confusione. Restare a metà strada non si può: non giova a nessuno.
Siamo in Europa. Il diploma che gli studenti hanno già ricevuto in questi giorni continua a essere un documento che racconta agli altri Paesi l’approssimazione e l’ignoranza del nostro ministero. Nonostante gli appelli che il «Corriere» ha lanciato per ben tre anni, i funzionari dell’Istruzione continuano a proporre un modello ricco di errori. Qualcosa è stato corretto, a dire il vero, ma rimane ancora molto. Solo qualche esempio. Il voto da noi, come si sa, è espresso in «centesimi». La traduzione presenta un campionario a fantasia. Per gli inglesi si usa una forma arcaica («hundredths») al posto di quella corrente «out of 100». Per la Francia si risolve il problema con uno sbrigativo «100», senza neppure anteporre una barra, invece di adottare un più corretto «sur 100». Per gli spagnoli si ricorre a un «centésimas» (chissà perché al femminile) e non si usa «sobre 100». Non basta. Il diploma è «conferito a...». In inglese si traduce con poca precisione e un grossolano errore: «conferred on» al posto di «awarded to». «Il presidente della Commissione» diventa «president of board of examiners», con la soppressione dell’articolo («the»), obbligatorio invece davanti a president e board.
Mi fermo qui. Se entrassi a esaminare la quattro pagine dell’allegato ci sarebbe da riempire un paio di colonne. Scambi di forme maschili con femminili, plurali con singolari e lessico frequentemente italianizzato in spagnolo. Contorte definizioni in tutte e quattro le lingue per le varie formule dei singoli punteggi, per non dire di accenti e virgole messe a caso. Questo diploma offre l’immagine di una scuola peggiore di quella reale: nel ministero c’è una struttura che accetta e ostenta l’ignoranza con allegria, che vive nell’approssimazione professionale con arroganza, che appare talvolta persino tronfia di stare sotto i limiti di quei «minimi saperi» che ha inventato.