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Più controlli sugli atenei «Consulteremo i rettori»
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1. Più controlli sugli atenei «Consulteremo i rettori»
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da Il Corriere della Sera
18 settembre 2003

Il governo frena: solo un piano dei tecnici
Più controlli sugli atenei «Consulteremo i rettori»

ROMA - Un provvedimento per stabilire un controllo del governo sugli atenei? «Non è nella prossima legge Finanziaria». Giulio Tremonti, ministro per l’Economia, garantisce tranquillità a chi temeva un golpe sull’autonomia finanziaria e gestionale delle nostre università. Per adesso sembra tutto rinviato e il provvedimento che, con dodici commi, avrebbe rivoluzionato la vita degli atenei italiani rimane una bozza tutta da discutere. Era stato stilato dai ministeri dell’Istruzione e del Tesoro per accentrare nelle mani del governo le decisioni sulla gestione finanziaria, ma anche didattica. Il ministro per l’Istruzione Letizia Moratti porterà quella bozza in una riunione con i rettori di tutta Italia, il 23 settembre. C’è stata già una levata di scudi del presidente della Conferenza dei rettori Piero Tosi, ma anche del Consiglio nazionale degli studenti universitari. Tosi, in un’intervista al Corriere , afferma: «Possono esserci stati errori di gestione, ma se passasse quel provvedimento verrebbe interrotto un cammino prezioso. In questi anni di autonomia gestionale molte buone cose sono state fatte: ad esempio il tasso di abbandono degli studenti è diminuito. E’ passato dal 70 al 47 per cento».

Controlli sulle università, il governo frena
Il ministero dell’Economia: piano non previsto in questa Finanziaria. La Moratti incontrerà i rettori

ROMA - Un provvedimento per stabilire un controllo del governo sugli atenei? La risposta di Giulio Tremonti, ministro per l’Economia, è secca: «Non è certo previsto in questa Finanziaria». Tutto da rivedere, dunque? Probabilmente. Di certo è che chi temeva un golpe sull’autonomia finanziaria e gestionale delle università può tirare un sospiro di sollievo, almeno per adesso. Perché la bozza di quel provvedimento, 12 commi in due paginette, sicuramente non prenderà la scorciatoia della Finanziaria. Di quella bozza il ministro per l’Istruzione Letizia Moratti ne parlerà il 23 settembre, quando incontrerà tutti i rettori d’Italia. Ma contro quel provvedimento, stilato dal ministero di Letizia Moratti e da quello di Giulio Tremonti, sono pronti ad una levata di scudi non soltanto i rettori, ma anche i presidi di facoltà e i professori e persino gli studenti. E’ Tommaso Agasisti, studente di Bologna, a parlare per tutti. Lui è il presidente del Consiglio nazionale studenti universitari, un organo istituzionale con poteri consultivi all’interno del ministero dell’Istruzione. «Il valore dell’autonomia dell’università non può in nessun modo essere messo in discussione», dice Tommaso Agasisti. Poi aggiunge: «Noi, formalmente, non abbiamo ancora ricevuto nessuna bozza. Ma qualora ne dovesse arrivare una contenente l’intento di privare gli atenei della loro autonomia saremmo pronti ad opporci. Di più: lanceremmo una controproposta al ministro Moratti. Per risolvere il problema della gestione finanziaria e decisionale perché non si mette seduta attorno ad un tavolo a decidere con i rettori le università da premiare in base ai risultati?». Nessuno nega le difficoltà delle università italiane. Nessuno ha alzato barricate per difendere le scelte decisionali di ogni rettore. Anzi. Basta leggere l’appello pubblicato ieri dal Corriere della Sera e firmato da sette uomini della nostra cultura: qui si mettevano in luce molti errori delle nostre università. Ma si sosteneva anche che questi errori non possano essere risolti svuotando l’autonomia degli atenei. E c’è anche l’associazione «Treellle» che non esita, virtualmente, a sottoscrivere l’appello dei nostri uomini di cultura. E’ Umberto Agnelli il presidente di questa associazione di cui Attilio Oliva è presidente esecutivo e tra i soci fondatori ci sono anche Fedele Confalonieri, Gian Carlo Lombardi, Luigi Maramotti, Pietro Marzotto. E’ il miglioramento dell’educazione il loro obiettivo ed è sulle università che hanno puntato con una ricerca che ha comparato atenei italiani ed europei. Ne usciamo sconfitti. La spesa per l’istruzione universitaria in Italia è l’ 0,8% del Pil contro l’ 1,2% della media Ue e l’ 1,3% dei paesi dell’Ocse. E in Italia si laureano il 42% degli immatricolati, nella Ue il 67% e nell’Ocse il 70.

Alessandra Arachi

La bozza di riforma

LE RISORSE
I fondi destinati «al reclutamento del personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo delle Università» verranno determinati previa intesa con il ministro dell’Economia e delle Finanze

I PROGRAMMI
Gli atenei dovranno adottare «programmi triennali scorrevoli» per individuare «il fabbisogno di personale docente, i corsi di studio da attivare, il programma di sviluppo della ricerca, i programmi di internazionalizzazione»

I CONTROLLI
Ogni programma triennale sarà «monitorato» dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’esito sarà comunicato al ministero dell’Economia e delle Finanze, che verificherà le spese

L’INTERVISTA / Piero Tosi: pronti a cercare una mediazione sui criteri di valutazione e a rivedere i meccanismi di governo degli atenei

«Possiamo avere fatto errori, ma non accettiamo il monitoraggio»

ROMA - Dicono: non avete saputo gestire l’autonomia... «Possono esserci stati errori di gestione, ma se passasse il provvedimento anticipato dal Corriere della Sera verrebbe interrotto un cammino prezioso. Sarebbe un errore storico. In questi anni di autonomia gestionale molte buone cose sono state fatte: per esempio è diminuito il tasso di abbandono degli studenti. E’ passato dal 70 al 47 per cento».
Piero Tosi è il presidente dei rettori delle università italiane e, come quasi tutti i suoi colleghi, si oppone al contenuto della proposta elaborata nei ministeri dell’Istruzione e del Tesoro. Ma riconosce la possibilità di una mediazione: «Siamo pronti a rivedere i meccanismi di governo degli atenei», annuncia.
Anche perché, rettore, in questi anni nessuno ha controllato la saggezza dei criteri con i quali spendete i denari. Si poteva anche creare una cattedra per il serissimo approfondimento della vita e morte di Marilyn Monroe.
«Forse bisogna prima spiegare in che cosa consista l’autonomia dell’università, tutelata dalla Costituzione e diffusa in tutta Europa. Direi che è il principio sul quale si regola il rapporto con i governi. Le università gestiscono con senso di responsabilità le risorse e i governi dettano le cornici normative».
A quanto si desume, la prima bozza elaborata dai ministeri dell’Istruzione e dell’Economia vorrebbe colmare una lacuna. Vale a dire: chi controlla che il senso di responsabilità ispiri sempre ogni scelta dei rettori?
«E’ vero, questo è il nesso che manca tra l’attività del governo che delinea le cornici normative e l’autonomia delle università. Il Comitato Nazionale per la valutazione del sistema universitario, presieduto da Giuseppe De Rita, ha dettato una serie di requisiti minimi ai quali l’azione dei rettori deve ispirarsi, ma un criterio di valutazione dei risultati, un criterio europeo, ancora non c’è. Siamo noi rettori a chiedere che venga introdotto, perché è l’elemento mancante per rendere funzionante il sistema».
Sui criteri di valutazione, dunque, siete pronti ad una mediazione. Dov’è che invece la mediazione si presenta impossibile?
«Non è possibile rivedere lo stato giuridico delle università, e gli stessi meccanismi di governo degli atenei, inserendo degli articoli nella finanziaria. Non è possibile. Si va ad incidere radicalmente su un sistema, senza che ci venga spiegato come e perché. Per dirne una, come verrebbe eletto il rettore dell’università?».
Si sarà dato una spiegazione...
«L’Italia, come il resto d’Europa, attraversa un periodo di difficoltà sul fronte economico. Ribadisco: sono d’accordo sulla necessità di un criterio di programmazione, l’autonomia dell’università non significa licenza. Siamo pronti a rivedere i nostri meccanismi di governo degli atenei, ma non possiamo accettare il «monitoraggio» del ministero dell’Economia sulle nostre scelte».
Secondo la bozza in mano ai rettori, (un documento, si dice, già modificato), il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca comunicherebbe a quello dell’Economia l’esito del monitoraggio.
«E’ giusto che il ministero dell’Economia controlli le spese. Punto. Noi dobbiamo essere liberi di assumerci le responsabilità delle scelte didattiche. E poi, mi lasci aggiungere una riflessione: tutti dicono che serve una sana competizione tra università europee. Bene: ma come possiamo attrarre studenti dall’estero, richiamare i cervelli in fuga, in una parola essere competitivi se lo Stato non si impegna seriamente a finanziare l’università? Sa di quanto è aumentato il numero dei docenti universitari tra il ’94 e il 2002?
Ammetto l’ignoranza.
«Del 10 per cento. E il personale non docente è cresciuto, in tutto, del 2 per cento».
Tra le critiche che vengono mosse all’università, c’è quella di aver favorito i docenti locali nei concorsi a cattedra. Non proprio in linea con l’invocata competitività tra atenei.
«E’ vero, in qualche caso si è ecceduto, ma è sempre una questione di soldi. Il docente locale finisce col costare meno».
Qualcuno, tra voi rettori, pensa che se non si troverà una mediazione dovreste dimettervi tutti, in blocco. Come l’anno scorso.
«Non credo che si arriverà a un muro contro muro. Ci opponiamo al provvedimento che limita nei fatti la nostra autonomia, ma sono convinto che i ministri Moratti e Tremonti vogliano procedere insieme a noi e trovare una soluzione. Sempre che si sia tutti d’accordo sul principio per cui un Paese competitivo non può fare a meno di un’università competitiva».

Maria Latella

I professori e gli studenti della Sapienza di Roma: qua mancano aule, laboratori e scrivanie. «Bisogna vedere anche la qualità dei servizi offerti»

«Bene se il governo si occupa degli stipendi, avremo meno problemi»
Il preside di Medicina: evitare un ritorno al centralismo

ROMA - «Se il ministro Moratti ha intenzione di cominciare a occuparsi delle cattedre, spero si ricordi di queste». Doppio senso ironico: Marina Passalacqua, professore ordinario di Filologia classica, indica la sua scrivania. «Mia? Veramente ce la dobbiamo dividere in quattro. Quattro docenti con una sola scrivania...».
Pomeriggio inoltrato, facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza, secondo piano. Il provvedimento annunciato dal Corriere della Sera provoca sarcasmi, scatena vecchie polemiche. Aggiunge la professoressa Passalacqua: «Ironie a parte, la bozza di riforma non mi convince. Forse, negli ultimi anni, certe forme di autogoverno degli atenei non sono state perfette. Tuttavia, ecco, io credo che la soluzione non sia quella di svuotare d’ogni significato l’autonomia delle università». Piuttosto? «Piuttosto, l’autonomia dell’università italiana deve restare legata ad una serie di valori. Quali? Ad esempio, io credo che il sistema di valutazione delle attività scientifiche e didattiche non debba essere fondato principalmente sulle quantità di iscritti e laureati, ma eventualmente sul numero di coloro che frequentano, sui servizi offerti agli studenti, sulle condizioni delle strutture didattiche».
«Ecco, appunto», dice il professor Stefano Asperti, docente di Filologia romanza. Appunto, cosa, professore? «Il provvedimento porta ad un maggior controllo del ministero su stipendi, cattedre e programmi? Beh, io trovo che sarebbe magnifico, se davvero il ministro Moratti si facesse carico, direttamente, praticamente, dei nostri aumenti di stipendio o, per dire, del fatto che ci sono i miei colleghi di Scienze della Comunicazione costretti a tenere le loro lezioni nei cinema». Nei cinema? «Esatto. Nei cinema. Con gli studenti seduti in platea».
Il professor Carlo Angelici è il preside della facoltà di Giurisprudenza. «Questa bozza di riforma non mi giunge nuova. Ne avevo già sentito parlare e non mi sembra del tutto negativa. Ad esempio: oggettivamente, uno dei problemi maggiori del sistema universitario italiano è quello legato agli stipendi dei docenti. Bene, io dico che se tutto dipendesse direttamente dal ministero, io credo che l’intero meccanismo burocratico ed economico ne trarrebbe certamente giovamento. Non è sotto questo aspetto che, per me, verrebbe messa in discussione l’autonomia degli atenei. I guai potrebbero essere altri». Quali? «Non lo so: ma, per dire, mi vengono i brividi quando sento che potrebbe esserci un controllo maggiore sui programmi. Cosa significa? Che ci ritroviamo in aula un ispettore per vedere come insegniamo?».
Più o meno, sia pure con sfumature diverse, è questo il genere di discorso che fa il preside della facoltà di Medicina, Luigi Frati. «Per quanto riguarda la gestione del denaro, i suoi flussi... io dico che se ne può occupare direttamente il ministero, nessuno, credo, sentirebbe di rimetterci in termini di autonomia. Piuttosto, è da evitare il ritorno ad un vecchio centralismo del ministero». Lei crede che il termine «autonomia» coincida con la parola «qualità»? «Sì, certo. E, per questo, penso che il mondo universitario italiano non possa avere altre strade percorribili. Nell’autonomia siamo e in autonomia dobbiamo restare».
E gli studenti? Seduti sulle panche, nelle aule che odorano di chiuso, polverose, male illuminate.
C’è quello che alza le spalle: «Una nuova riforma?». Quello che sghignazza: «Ah! Perché poi questa è solo una bozza di riforma...». Dice Marco Forcella, secondo anno di Filosofia: «Autonomia da cosa? Di cosa? Abbiamo bisogno di aule, di laboratori, di programmi. I ministri cambiano, si susseguono, ma i nostri problemi restano sempre gli stessi. Quelli che ho io, sono quelli che aveva mio fratello. Cinque anni fa».

Fabrizio Roncone


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Date: 18 Sep, 2003 on 07:58
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