LA RIFORMA DIDATTICA DELL´UNIVERSITÀ
TRE PIÙ DUE, TRE E DUE

ALLA riforma didattica universitaria ci si riferisce, abitualmente, con la somma «3+2». Sarebbe meglio dire «3 e 2»: i due livelli successivi non vanno infatti pensati come abbinati. «Tre» da solo, la laurea, deve essere sufficiente per molti sbocchi professionali; il «due» successivo (laurea specialistica) non è necessariamente agganciato in modo univoco a una sola laurea, ma può rappresentare in molti casi un collegamento con altre aree disciplinari, un approfondimento di settori che nella prima fase degli studi sono rimasti marginali. Può rappresentare soprattutto, in un mondo nel quale si va verso la «formazione lungo tutto l'arco della vita», una opportunità di ritorno agli studi anche a distanza di tempo rispetto al momento della prima qualificazione. Le università italiane hanno manifestato una grande volontà di procedere sulla strada della riforma. Ciò è dimostrato, ancor più che dai documenti in questo senso della Conferenza dei Rettori e di quasi tutte le facoltà, dalle scelte compiute circa i tempi di attuazione. Si poteva attendere 18 mesi per l'attivazione dei nuovi ordinamenti didattici, e il nuovo governo ha ampliato a 30 mesi questo termine: la cosa è risultata irrilevante, poiché tutti hanno invece agito immediatamente. Vi sono anche preoccupazioni, ma queste riguardano non l'idea di fondo, bensì le modalità operative: nel momento in cui vanno attivati, dopo i primi, i secondi livelli, la stretta finanziaria riduce le risorse disponibili, e alcuni parametri dimensionali recentemente indicati dal Ministero rischiano di bloccare le iniziative più innovative. I pochi critici obiettano soprattutto alla obbligatorietà del primo livello: perché prevederlo per tutti, dicono, anziché distinguere un «ciclo breve» e un «ciclo lungo»? Dimenticano che quest'ultima esperienza è già stata fatta: oltre dieci anni fa si tentò il «diploma universitario» come titolo indipendente rispetto alla laurea tradizionale, ma gli iscritti a tale percorso, che doveva essere quello «di massa», non hanno raggiunto il 10% del totale. Quasi nessuno vuole infatti precludersi in partenza, quando inizia gli studi universitari, la possibilità di proseguirli oltre il primo livello; non è un caso che in Europa la «serialità» dei due livelli sia del tutto generalizzata (con l'eccezione della Germania, che peraltro sta anch'essa introducendo sperimentalmente questo modello). Ovviamente, innovazioni così importanti non realizzano di colpo tutti i propri obiettivi: si tratta però di procedere migliorando, non di andare avanti e indietro a strappi. Ad esempio, va approfondito il significato culturale del nuovo iter didattico (nuovo nell'attuazione, non come idea: Aldo Visalberghi parlava di «curricolo rovesciato» quarant'anni fa!). A tal fine occorre valorizzare, accanto al tradizionale metodo deduttivo - dalla teoria alle applicazioni, dal generale al particolare -, i procedimenti induttivi: dagli esempi alle generalizzazioni, dal concreto alle teorizzazioni. In molte aree scientifiche e tecnologiche si sta lavorando in questo senso. Direttore del Centro di Ateneo per la Ricerca Educativa e Didattica, Università di Genova

Giunio Luzzatto