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LA MEMORIA CORTA DEI CUGINI FRANCESI
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1. LA MEMORIA CORTA DEI CUGINI FRANCESI
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da Il Corriere della Sera
Sabato, 23 Marzo 2002

Le critiche all’Italia del Cavaliere

LA MEMORIA CORTA DEI CUGINI FRANCESI

di SERGIO ROMANO

Le affinità e le «cuginanze» giocano talvolta brutti scherzi. Francia e Italia hanno storie parallele, producono partiti che appartengono a una stessa famiglia e attraversano fasi politiche somiglianti: democrazia parlamentare, nazionalismo, militarismo, tentazioni autoritarie. In un ideale «giro dell’oca» della politica europea i due Paesi passano, prima o dopo, attraverso le stesse tappe. Ma fanno le loro esperienze in momenti diversi e ciascuno di essi è incline a vedere in quelle dell’altro una minaccia alle proprie istituzioni. Mi chiedo se a Parigi si siano accorti che la loro reazione al governo Berlusconi è semplicemente la versione francese dell’indignazione che travolse una larga parte della società politica italiana dopo il ritorno del generale de Gaulle al potere nel maggio del 1958. Quasi tutti i leader dell’Italia «progressista e repubblicana» erano allora convinti che il generale volesse instaurare un regime personale e rappresentasse una minaccia per la democrazia europea. Quando chiese i pieni poteri, l’Italia urlò la sua indignazione. Quando l’80% dei francesi, nel settembre del 1958, approvò la Costituzione della V Repubblica, quasi tutti i partiti italiani denunciarono i rischi della «democrazia plebiscitaria». Quando il 62% degli elettori, nell’ottobre del 1962, approvò con un nuovo referendum l’elezione diretta del capo dello Stato, i nostri maggiori uomini politici temettero che la Francia stesse per cedere a tentazioni cesariste e bonapartiste. Mentre era a Palazzo Chigi come vicepresidente del Consiglio nel primo governo di Aldo Moro, Pietro Nenni non smetteva di lanciare ammonimenti e segnali d’allarme. Per aver osato proporre agli italiani il modello costituzionale della V Repubblica Randolfo Pacciardi fu considerato potenzialmente «golpista».
Anche allora, come oggi, scattò una sorta di cortocircuito fra l’opposizione di un Paese e il governo dell’altro. Non appena François Mitterrand dichiarò che la repubblica gollista era un «colpo di Stato permanente», l’ establishment democratico italiano applaudì. E l’indignazione italiana, rimbalzando al di là delle Alpi, venne ampiamente citata dall’opposizione antigollista. Per la verità qualche esponente della sinistra francese come Gilles Martinet (più tardi ambasciatore di Mitterrand a Roma) cercò di spiegare ai suoi amici italiani che de Gaulle non era il mostro dei loro incubi. Ma i suoi interlocutori gli rispondevano generalmente con uno sguardo compassionevole. Dovettero passare molti anni prima che la sinistra italiana si rendesse conto di avere sbagliato. Cominciò a cambiare parere quando la vittoria di un socialista nelle elezioni presidenziali del 1981 dimostrò che le istituzioni create dal generale de Gaulle non impedivano alla sinistra di conquistare il potere. Peccato che il «cugino» Mitterrand, finalmente installato all’Eliseo, non avesse alcuna intenzione di tenere conto delle esigenze nazionali dei suoi compagni di Oltralpe. Il ministro Castelli non ha torto quando ricorda che Parigi ha rifiutato l’estradizione dei terroristi italiani rifugiati in Francia all’inizio degli anni Ottanta.
Le parti, oggi, sono rovesciate. Berlusconi si trova a recitare la parte del generale de Gaulle e il governo di sinistra in Francia recita quella dei governi di centrosinistra italiani tra l’inizio degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta. Ma il copione della commedia è lo stesso. Quanto tempo dovrà passare prima che i francesi si accorgano di fare all’Italia ciò che l’Italia, sbagliando, fece alla Francia? Quanto tempo dovrà passare prima che ciascuno dei due Paesi impari a non commettere gli errori dell’altro?


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Date: 23 Mar, 2002 on 07:42
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