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La via italiana alla microstoria: da Croce a Ginzburg
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1. La via italiana alla microstoria: da Croce a Ginzburg
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da Il Corriere della Sera
Sabato, 5 Gennaio 2002

IDEE Cuneo, Saluzzo, Romagnano: dal Nord al Sud fioriscono le ricerche locali. Ma la riflessione perde vigore se ignora il quadro d’insieme

La via italiana alla microstoria: da Croce a Ginzburg

Il successo degli studi su singole comunità e piccoli personaggi, senza dimenticare i grandi


«Microstoria» è un termine del linguaggio storico oggi fra i più popolari. Quanto poi a intendersi sul suo senso, è, come spesso accade, tutt'altra faccenda. C’è almeno un'alternativa: «piccola storia» o «storia attraverso il piccolo»? Due cose per niente identiche, ma entrambe polemiche, in quanto si oppongono alla «grande storia»: quella, ritenuta tanto pretenziosa quanto superficiale, dei «grandi» eventi o istituti della politica, della cultura, dell'economia, delle scienze, e così via. Osservare - si afferma - specie nella lunga durata, vicende e comportamenti umani in zone circoscritte, con attenzione ai fatti minuti, al vissuto quotidiano, alle permanenze e ai mutamenti della mentalità, offre la possibilità di penetrare nel profondo della storia umana e del suo senso ben più autenticamente di quanto non faccia la «grande storia». La polemica, invero, non ha, sul piano storiografico, alcun significato pregnante. La storiografia è, per fortuna, molto più comprensiva dei suoi spesso settari cultori. Per essa è tagliato a pennello il vanto di un personaggio terenziano: «Nulla di ciò che è umano ritengo estraneo a me».
Vogliamo solo aggiungere che la demonizzazione della «grande storia» non ha fatto bene alla storiografia nel mezzo secolo all’incirca in cui ha avuto luogo: ha tolto spessore e vigore alla ricerca e alla riflessione, nonché alla funzione civile della storiografia, senza costruire affatto, all’ultima resa dei conti, quella storiografia alternativa, quella storia altra, a cui ci si riprometteva di approdare. Inoltre, alla microstoria come storia di piccoli ambiti territoriali si affianca la microstoria come storia di singole persone o di piccoli gruppi, per i quali conta la definizione dei soggetti a preferenza di quella territoriale. In questo caso sorge poi il problema della rappresentatività storica dei soggetti di cui si tratta; e su questo scoglio si naufragherebbe, se non si accettasse che la carenza di rappresentatività non significa assenza di storicità: si tratta qui di saper riconoscere e qualificare la marginalità storica di ciò che non è rappresentativo.
La fioritura microstorica ha, comunque, largamente privilegiato in Italia - se non mi inganno - la dimensione territoriale rispetto a quella personale. In fondo, il libro che per questo secondo aspetto tutti ancora ricordano è quello di Carlo Ginzburg, «Il formaggio e i vermi», sul mugnaio Menocchio e la sua vicenda religiosa, che, se davvero può considerarsi di microstoria, è anche il più discusso proprio quanto alla rappresentatività del caso.
Nella dimensione microstorica qualcuno ha fatto rientrare anche i due bei saggi che Benedetto Croce dedicò a Pescasseroli, suo luogo natale, e a Montenerodomo, altro paese dei suoi avi: il che è almeno dubbio. In ogni caso, la microstoria a base territoriale ha consentito di uscir fuori dalle angustie di cui soffriva la cosiddetta «storia locale»: angustie, invero, più da malato immaginario che altro, ma non per questo meno affliggenti. Con la microstoria la «storia locale» sembra sentirsi più a suo agio. E, infatti, nelle opere più recenti le vecchie preoccupazioni giustificative o esplicative del loro carattere locale non compaiono più.
Così è ad esempio per il pregevole lavoro che Franca Assante ha dedicato a Romagnano (ed. Giannini, Napoli), piccolo borgo dell’Appennino salernitano, sgombrato dopo il sisma del 1980 e rifatto altrove (ma l’autrice aveva già dato altri buoni saggi del genere, come quello su Calopezzati, in Calabria). Il libro è centrato sul rapporto tra famiglie feudali e società contadina di quel paesino in età moderna, e coglie con sicurezza elementi molto istruttivi della stratificazione e della dinamica sociale in un caso per molti versi esemplare.
Così è per la Storia di Cuneo. 1700-2000 (edizioni Artistica Piemontese) di Aldo A. Mola (anch’egli non nuovo a tali imprese: si ricorda la sua Saluzzo. Un’antica capitale (edito dalla Cassa di Risparmio di Saluzzo). A rigor di termini, non si può proprio dire che si tratti di microstoria, ma la cura di Mola nel definire l’oggetto del suo studio e nel perseguirlo conferisce al suo lavoro un sicuro interesse anche da questo punto di vista. Egli si è, infatti, volto alle «idee che di Cuneo si fecero quanti la governarono e la amministrarono e quanti si proposero di interpretarne passato e possibile futuro»: un elemento, cioè, portante di coscienza comunitaria, che dal punto di vista microstorico è di ovvio rilievo.
E, invero, è significativo pensare a quanti elementi di ordine microstorico possano essere colti anche in opere di impianto diverso: penso, per analogia con l'esempio testé fatto, alla storia di Prato o a quella einaudiana di Torino. Tutto sta a non fare della microstoria una sorta di genere letterario a sé e a saper distinguere categorie, non etichette (il che non vale solo per la storia). Forse anche un tale richiamo può servire a svelenire il tanto artificioso contrasto fra il «micro» e il «macro» della storia.

Giuseppe Galasso


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Date: 05 Jan, 2002 on 10:55
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