da Corriere della Sera
Lunedì, 4 Aprile 2005La proposta del preside del Giorgi: scambi alla pari con i ragazzi ospitati dalle famiglie. La dirigente del Carducci: ma stare insieme aiuta a crescere
Cultura, costi e sicurezza: il rebus delle gite scolastiche
Insegnanti divisi sul valore didattico dei viaggi. «Una perdita di tempo, meglio le escursioni di un giorno». «No, servono per socializzare»
«Sono una perdita di tempo, non costituiscono nessun arricchimento per i nostri adolescenti». Ancora: «Per i professori portare un’orda di minorenni in viaggio è una responsabilità eccessiva. Qualsiasi cosa succeda la colpa ricade su di noi». Primavera, tempo di gite scolastiche. Sognate e aspettate da migliaia di ragazzi delle superiori, spesso temute dagli insegnanti al punto da rifiutarle: in alcune scuole, ormai, le uscite didattiche si limitano a quelle di un giorno. Eppure le agenzie del settore propongono centinaia di mete: Creta, Malta, Parigi, Praga, il Marocco. Dai cinque ai sette giorni che si aggiungono alle vacanze di Pasqua, alla pausa elettorale, alle giornate di sciopero e di malattia. Con il risultato che il tempo per fare lezione - i famosi duecento giorni effettivi di scuola - si assottiglia sempre più.
Al turistico Bertarelli una delibera del consiglio di istituto ha deciso di accettare solo i viaggi di istruzione che abbiano a che fare con l’attività didattica dei ragazzi e che non durino più di un giorno. Lo spiega la preside, Teresa Capra: «Abbiamo tentato di organizzare alcune visite di istruzione, ma poi abbiamo deciso di limitarci a quelle giornaliere. Il motivo? La mancata adesione di un certo numero di famiglie (ci vuole almeno l’80 per cento dei partecipanti, altrimenti non c’è "ricaduta didattica" sulla classe. ndr) . Ma anche per l’eccessivo carico di responsabilità che grava sui docenti».
Un professore ogni quindici ragazzi, occhi vigili a qualunque ora del giorno per evitare guai con la giustizia locale (durante una gita in una capitale dell’Est europeo, alcuni ragazzi sono stati costretti a pagare i danni provocati in un locale per poter avere indietro i passaporti), sangue freddo e resistenza fisica: sono tanti i requisiti necessari per accompagnare gli studenti in gita.
E poi ci sono gli impegni personali: difficile organizzare una settimana lontano da figli e parenti. «È questo il vero problema - commenta Mirella De Carolis, a capo del liceo classico Carducci - : molti insegnanti si sentono in difficoltà perché non sanno a chi lasciare figli e genitori anziani. Spesso, allora, accompagno io i ragazzi. Sono convinta che il viaggio sia un fatto culturale: se noi impostiamo una programmazione e portiamo i ragazzi a vedere le cose è difficile che ci siano problemi disciplinari».
È favorevole alle gite anche Agostino Miele, dirigente scolastico dell’Itis Feltrinelli. «Il viaggio è un momento di socializzazione tra studenti e docenti. In cui da parte di tutti c’è un modo di porsi diverso, più umano, e si impara a conoscersi. È vero, c’è un problema di vigilanza e di responsabilità del corpo insegnante. Ma le gite, a mio parere, rimangono un’esperienza molto positiva».
Una proposta per conciliare turismo, divertimento e sicurezza arriva da Rodolfo Rossi, preside dell’Itis Giorgi: promuovere gli scambi alla pari con altri istituti, una sorta di gemellaggio con i ragazzi ospitati dalle famiglie. «È una soluzione - dice Rossi - sicura ed economica. E che fa contenti tutti. Le famiglie, che non devono affrontare costi troppo elevati, e gli insegnanti, che sono più tranquilli». Da evitare, invece, gli alberghi che ospitano solo studenti. «Lì - continua il preside - non c’è più giorno né notte. I ragazzi sono incontrollabili, c’è il marasma più totale. A me è capitato di dover fronteggiare quaranta ragazze scatenate, ingovernabili. Fu un’esperienza orribile».
Annachiara Sacchi
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