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Disabili, segnali di riscatto
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1. Disabili, segnali di riscatto
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da Il Corriere della Sera
11 marzo 2003

La denuncia sull’arretratezza dell’Italia rispetto al resto dell’Europa

Disabili, segnali di riscatto
Le associazioni: abbiamo buone leggi, mancano i finanziamenti

ROMA - Un «tremendo problema che deve essere risolto, in fretta». Perché è in «gioco la stessa dignità del nostro Paese, che non può rassegnarsi a subire il marchio infame che spetta ai senza cervello e ai senza cuore». Nell’anno europeo del disabile, ammoniva ieri sulla prima pagina del Corriere della Sera Giuliano Zincone, non possono bastare le «tavole rotonde, i dibattiti e le iniziative che si preoccupano degli handicappati». Occorrono i fatti: applicare e finanziare le leggi che sono buone, e soprattutto abbattere le «barriere culturali», muri invisibili che tengono i tre milioni di disabili italiani ancora fuori dalla comunità. Le associazioni condividono ma chiedono maggiore ottimismo. «Ha ragione Zincone, il problema è ancora culturale», dice Maurizio Scelli, vicecommissario straordinario della Croce Rossa italiana, che per anni è stato segretario generale dell’Unitalsi, l’associazione dei cosiddetti «treni bianchi».
«Faccio un esempio - continua Scelli -. Mettiamo pure che tutti i marciapiedi italiani abbiano lo scivolo. Se uno ci parcheggia l’auto è perché non si rende conto che da quello scivolo dipende la libertà di una persona in carrozzina. Andare al cinema, al teatro, in un albergo, o salire su un autobus spesso è così umiliante per un disabile fisico da scoraggiarlo». Pessimista, dunque? «Non lo sono, no. E non sono completamente d’accordo sul razzismo nelle scuole. I bambini giocano tra loro senza fare differenza di pelle e anche di abilità fisica o psichica. Le discriminazioni esistono ancora, ma non è come prima. Certo, se in tv si vede solo il bello... ».
Per Antonella Antezza della Comunità di Sant’Egidio «i disabili sono portatori di valori come la solidarietà e l’amicizia». Anche i 250 mila che non possono uscire dalle loro case, anche quel milione di persone completamente non autosufficienti. «Non vogliamo solo rivendicare diritti ma convincere i cosiddetti "normali" che i disabili sono utili alla società - continua -. Cerchiamo di non tornare indietro, molte cose sono state fatte, per esempio a livello locale. Le nostre leggi sono buone, la legge quadro 104 sulla disabilità, la 68 sull’ingresso nel mondo del lavoro, la 328 per l’assistenza. Quanto alla scuola, siamo molto avanti: nel resto d’Europa ci sono ancora le classi speciali. E’ chiaro che occorre fare di più, e invece il governo taglia i fondi per gli insegnanti di sostegno».
Ma il ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti respinge le critiche. In un convegno organizzato a Milano dalla Cisl spiega che «sono oltre 145 mila gli alunni disabili che frequentano la scuola italiana, con un aumento del 34,4% in dieci anni. E 77 mila sono i docenti di sostegno, duemila in più rispetto al 2001-2002». «Questi dati mi sembrano lontani dalla realtà», ribatte Maurizio Pietropaoli, responsabile nazionale dell’Associazione persone Down, e padre di un bambino Down che frequenta la scuola. «In realtà il governo sta tagliando le spese e in questo sì che sono pessimista. Peccato, perché la nostra legislazione è tra le migliori del mondo. Zincone non ha torto, sono tante le cose che non vanno. Ma io dico: mettiamo in luce quello che funziona, in tante realtà locali la cultura è davvero cambiata. Il pessimismo può scoraggiare mentre quello che ci serve adesso è continuare a lavorare». «Le barriere morali purtroppo ci sono ancora, ma la nostra esperienza qui a Prato è positiva nel complesso - concorda la presidente dell’Anffas di Prato, Maria Luisa Catani Abruzzini -. Nella scuola, per esempio, non vedo un diffuso senso di fastidio verso i disabili, al contrario c’è molta accoglienza: sono i fondi a mancare».
Eppure il ministro delle Politiche comunitarie Rocco Buttiglione sostiene che «le risorse impegnate sul tema della disabilità ci sono e non sono affatto trascurabili. Sono però usate male, perché si disperdono in vari settori di competenza. Invece, occorre partire dalla persona, che è una. Non esistono i disabili, ma persone ciascuna con una sua storia personale e con proprie esigenze. Bisogna intervenire quindi sullo specifico, ritagliare gli interventi. E sostenere le famiglie». Cultura e legislazione, insomma. Di questi due aspetti parla anche l’ex ministro degli Affari sociali Livia Turco: «Ho molto apprezzato l’editoriale di Zincone. Però non condivido il suo pessimismo. La nostre leggi sono all’avanguardia e in questo moltissimo lavoro hanno fatto proprio le famiglie dei disabili, vincendo mille scommesse. Purtroppo in questo governo la disabilità non entra, non se ne parla nella nuova Finanziaria».
Norme eccellenti? Sì, scrive Nina Daita, responsabile dell’ufficio Handicap della Cgil. Ma anche «vuoto applicativo». Ed esprime apprezzamento per l’editoriale di Zincone che non affronta «il tema in termini usuali della cronaca nera o del solito ipocrita pietismo» ma «si occupa di noi nella maniera giusta». No, non possono bastare le tavole rotonde e i dibattiti, e forse neanche un autorevole articolo in prima pagina. Ma anche da qui occorre ripartire.

Mariolina Iossa

BARRIERE I punti deboli
Marciapiedi senza pedane, montascale inesistenti. Tram e bus non a misura di disabile. Abbiamo scelto un parametro di riferimento, la metropolitana, per vedere che cosa succede negli altri Paesi europei

INGHILTERRA
Londra
E’ la metropolitana più vecchia del mondo, attiva dal 1863. Delle 253 stazioni solo 29 sono completamente accessibili ai disabili. L’ente gestore prevede però di renderne accessibili altre cento entro il 2020

FRANCIA
Parigi
La rete metropolitana parigina è molto vecchia. E’ stata realizzata a partire dal 1900, comprende oggi oltre 350 stazioni. Solo la linea 4, inaugurata nel 1999, è completamente accessibile agli invalidi

GERMANIA
Berlino
La metropolitana tedesca sotterranea (U-Bahn) comprende nove linee: 63 stazioni sono dotate di rampe e montascale, 70 invece di scale mobili o ascensori. Il gestore sta sistemando nelle stazioni totem segnaletici

SPAGNA
Barcellona
La città spagnola dispone di cinque linee metropolitane. Il sito ufficiale della società che gestisce i treni sotterranei, la «Transports metropolitans de Barcelona», indica come «adaptada per a minusvàlids» solo la linea due

L’editoriale e il dibattito nell’anno dedicato agli invalidi
L’EDITORIALE «Il termometro della civiltà»: è il titolo dell’editoriale di Giuliano Zincone, pubblicato ieri sul Corriere della Sera . Prendendo spunto dal fatto che l’Europa ha dichiarato il 2003 «anno dei disabili», Zincone ha messo in luce la lentezza e disattenzione con cui l’Italia affronta il tema dell’integrazione: «Le nostre leggi sono piuttosto buone. Peccato che in gran parte siano disattese o che non trovino finanziamenti adeguati». In chiusura, una provocazione: «Immagino cortei di uomini e donne che occupano i centri cittadini, sulle loro sedie a rotelle. Non soltanto per chiedere solidarietà, comprensione, tolleranza. No, soprattutto per esigere giustizia».

LE REAZIONI
Il ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, ieri nel corso di un convegno ha fornito alcuni numeri sull’integrazione scolastica dei bambini disabili: sono oltre 145 mila, ha detto il ministro, gli alunni disabili nella scuola italiana, con un aumento del 34,4% in dieci anni. E sono 77 mila i docenti di sostegno, 2 mila in più rispetto al 2001-2002. Per l’ex ministro alla Solidarietà sociale Livia Turco, «le nostre leggi sono all’avanguardia e in questo moltissimo lavoro hanno fatto proprio le famiglie dei disabili, vincendo mille scommesse. Purtroppo in questo governo la disabilità non entra, non se ne parla nella nuova Finanziaria».

Milano, il «viaggio» dalla Stazione Centrale al municipio. Nelle fermate del metrò difficile scendere, impossibile risalire

Dal treno al tram: un percorso a ostacoli

MILANO - Tutto nasce da un’idea. Fare un viaggio in centro città. Usando i mezzi pubblici. Con un’accortezza: farlo in carrozzella. Quindi da cittadino disabile. Per scoprire cosa funziona e cosa no. Obiettivo: verificare il termometro di civiltà di Milano. Da dove partire? Ovvia la risposta. La Stazione Centrale. E dove andare? In piazza Duomo e in piazza della Scala. Passando per una via dello shopping: ad esempio, corso Garibaldi. Il viaggio inizia. Dai marciapiedi d’arrivo dei treni. Prima sosta: i bagni pubblici per handicappati. Ci sono, sono curati, custoditi. E funzionano. Bene, si scende verso la metropolitana. Ci vuole tempo prima di sapere che c’è un ascensore. Nella sala d’attesa. Giuseppe, addetto al servizio, è gentile e premuroso. Fa strada, aziona l’ascensore e alla fine indica pure la biglietteria per i disabili. Al pianoterra. Sono le sei del pomeriggio, ma è già chiusa. Poco male.
Si esce dalla Centrale, si supera la strada e si raggiungono le scalinate che portano al metrò. Due poliziotti mostrano l’ingresso per i disabili: «C’è un citofono. Chiami da lì». Detto, fatto. Il vivavoce funziona, come la telecamera. Peccato però che sia fuori uso il montascale per le carrozzelle. Non da qualche giorno, ma da settimane. Risultato: «Non c’è alcuna possibilità di scendere», spiegano gli addetti della stazione con tono affabile per rendere meno amara la notizia. Ipotizziamo lo stesso di superare le scale. Come? Portati a braccia, è l’unica soluzione. Sempre che ci sia qualcuno così gentile da arrivare a tanto.
Ora non resta che acquistare il biglietto. Alla cassa c’è la coda. Si potrebbe usare il distributore automatico... Ma la fessura dove infilare la moneta è irraggiungibile per chi siede su una carrozzella: troppo alta. Si ritorna alla cassa, «comunque aperta fin dopo mezzanotte». Il personale di stazione poi indica come arrivare alla banchina dei convogli della linea verde per raggiungere la fermata Moscova e da qui corso Garibaldi. Per farlo bisogna passare dall’ascensore della linea gialla: sembra il giro dell’oca. Una serie di scivoli conducono alla meta. Almeno lungo il percorso non ci sono ostacoli o barriere. Per salire sul metrò si deve però indovinare qual è il convoglio adibito ai disabili: il tempo di fermata è limitato. «A bordo ci sono i blocca-carrozzella automatici. Per le frenate brusche», aggiungono gli addetti. Sul convoglio, in effetti, il fermo c’è: ma non è automatico. E’ una catena con moschettone. Poco male.
Si arriva a Moscova. Non si può però salire in strada. Non esiste il montascale. Neppure a Lanza. C’è a Porta Garibaldi, ma non funziona ed è ricoperto da un dito di polvere (chissà da quanto è fermo?). C’è a Cadorna, ma anche qui è fermo. Così a Sant’Ambrogio. Il primo disponibile è alla stazione di Sant’Agostino. Decisamente lontano per chi vuol far shopping in corso Garibaldi, «dove marciapiedi e negozi sono quasi tutti inaccessibili, troppo alti i gradini», fa presente uno giovane disabile che abita nella zona. Meglio rinunciare e tornare indietro. Alla stazione dei treni. Sempre in metrò, «perché i tram sono ancora peggio», continua sconsolato l’invalido. Alla Centrale si ripete il giro tra linee verde e gialla in ascensore. Nessun intoppo. Fino alla stazione di piazza Duomo. «Il montascale è bloccato. Però c’è l’ascensore. Là, in fondo», indica l’addetto. L’odore nel corridoio che porta all’ascensore è insopportabile. Non è meglio dentro la cabina, che dà l’idea di essere usata come bagno pubblico. Finalmente via Pellico: si respira. L’unico problema è che dalla partenza, alle 17.45, sono passate più di tre ore. Il Duomo è bellissimo illuminato. Così piazza della Scala. «Se un disabile vuole assistere a un consiglio comunale può farlo. Ma lo dobbiamo aiutare a superare qualche gradino. Comunque non c’è problema», dice con cortesia un usciere di Palazzo Marino. Verrebbe voglia di salire per raccontare il viaggio. Anzi l’odissea, che deve affrontare un disabile per fare un giro a Milano. E spiegare come, pur tra i tanti interventi disposti dagli enti pubblici contro le barriere architettoniche, ci sia ancora molto da fare. In nome della sensibilità ai disabili.

Davide Gorni

Cervellin: «Io, imprenditore cieco, ho lottato per non avere sconti»
«Quello che mi fa soffrire di più è l’invidia e la gelosia dei cosiddetti normali»

La cecità, d’accordo. Ma più ancora l’invidia della gente. «E’ la cosa che mi pesa di più. Perché finché stai al tuo posto e fai l’handicappato da compatire, va tutto bene. Ma se ti metti in testa di diventare protagonista della tua vita, allora scatta l’invidia e la gelosia di tutti i "normali" frustrati. L’ho vissuto anche con i miei dipendenti», attacca Davide Cervellin, 44 anni, di Loreggia, provincia di Padova, imprenditore solido (ultimo bilancio della sua Tiflosystem: 3 milioni di euro) e ostinato, che a un certo punto si è messo in testa di fare proprio quello: il protagonista. Si è sposato con un’ingegnere di nome Lucia, ha messo in piedi un’azienda, ha adottato non uno, ma quattro bambini tutti insieme, quattro fratelli arrivati dalla Colombia. Di fronte a sentimenti poco nobili, racconta di reagire così: «Con calma, freddezza. Dico: non è che la tua apparente normalità ti ponga d’emblée su un piano superiore al mio. Eh no, non è così che funziona. Ho lavorato duro e non mi sono mai pianto addosso. Quanta gente ottiene risultati perché lavora senza risparmiarsi? Io sono uno di quelli. Ci sono stati anni, quando ero all’Ibm, che a fare gli straordinari ci rimettevo, perché a tarda sera, senza più autobus né treni, tornare a casa in taxi era un salasso. Però l’ho fatto, volevo essere al pari con gli altri: niente sconti perché sono cieco». E dunque niente sconti neppure adesso, che il successo è arrivato. La filosofia di vita di Cervellin è fatta di pochi valori: famiglia, impegno, solidarietà. Non c’è mai stato spazio, dice, per la commiserazione. «Avere un deficit è un ostacolo in più, ma non impedisce di fare. Chiaro: bisogna commisurare gli obiettivi ai deficit. Se avessi voluto diventare pittore, oggi sarei un frustrato. Ma anche una ragazzina grassoccia, se vuole diventare top model, finisce per diventare una frustrata. Una disabile».
La sua storia: a 16 anni perde la vista completamente (diagnosi: retinite pigmentosa), ma riesce a diplomarsi al Liceo Classico. Un decina di esami a Giurisprudenza, poi un contratto di lavoro all’Ibm. Diventa programmatore, siamo alla fine degli Anni Settanta, quando la massima aspirazione di un cieco è fare il centralinista. Lui invece molla l’Ibm e passa alle Assicurazioni Generali. Il collega che ricorda con più affetto è il capoufficio rompiscatole che lo tratta come gli altri. Arriva dall’Inghilterra il primo terminale braille e Cervellin diventa bravo nel suo lavoro. Allora va dal direttore: non voglio più fare il programmatore, dice, voglio occuparmi di organizzazione. La risposta è no. Lui si licenzia di nuovo e con i 35 milioni di lire di liquidazione fonda la Tiflosystem, tecnologie e servizi per disabili, che oggi ha 15 dipendenti. Poi arriva l’impegno in Confindustria, presidente della Commissione handicap (momentaneamente dimissionario, ma pronto a rientrare, dice, «se Confindustria comincerà a lavorare in questo settore come può e deve fare»).
Non si alza mai più tardi delle sei e mezza. Poi dieci ore nella sua azienda, poche decine di metri da casa. Ha un computer portatile con display braille e una macchina che somiglia ad uno scanner: ci mette il foglio sopra e lei comincia a leggere. Cucina per i figli e, dopo aver spadellato, lava i piatti: «Mi rilassa, mi dà sicurezza». La moglie ringrazia. Quando può cammina, altrimenti si muove in autobus o treno. Se deve andare lontano, prende l’aereo (da solo) e arrivato a destinazione noleggia auto e autista. Viaggia da anni e negli ultimi tempi, dice, le cose sono peggiorate: «Una volta arrivavo in aeroporto e qualcuno con naturalezza mi prendeva per il braccio e si faceva il viaggio insieme. Adesso esiste un fantomatico apparato di assistenza che sembra studiato apposta per farti sentire diverso. Sempre la solita domanda: ha bisogno della carrozzella? E io: sono già cieco, vuole che divenga anche paraplegico?».
Delle leggi sull’integrazione dice che sono troppe, senza fondi e soprattutto senza sanzioni: «Se costruisci una struttura pubblica senza rampa, nessuno ti punisce. Vuol dire che chi ha bisogno della rampa è una persona di serie B». Delle soluzioni tecnologiche: «Se utilizzassero ciò che esiste in commercio già da 5-10 anni, i disabili farebbero un balzo avanti di 10-20 anni in termini di qualità della vita». Della famiglia: «Importantissima, se ha gli strumenti culturali giusti. Ma oggi è più facile che diventi, non il liberatore dell’handicap, ma il custode, magari con qualche soldo statale garantito». Racconta di quella volta che, a Los Angeles, non riusciva a spiegarsi perché il prato davanti all’hotel, visibile di giorno, scomparisse di sera, nascosto dal selciato. «Mettiamo l’erba per i clienti ciechi che vengono con il cane, così hanno meno problemi con i loro animali», gli risposero alla reception. Un altro mondo. «Qui se entro con il cane al ristorante devo minacciare una denuncia sennò non mi fanno mangiare».

Daniela Monti


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Date: 11 Mar, 2003 on 07:07
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