COME RIFORMARE LA RICERCA IN ITALIA
Debolezza da vincere

di Riccardo Viale

Nella attuale polemica sulla legge di riforma degli enti di ricerca ed in particolare del CNR, vi sono tre tipologie di obbiettori (che, però tacitamente, condividono con i riformatori l'insoddisfazione per la cattiva gestione del CNR). C'è chi, per atteggiamento conservatore o per interessi nascosti, è contrario a ogni cambiamento dello status quo da parte di qualsiasi governo, non importa che colore abbia. C'è invece chi, per ragioni ideologiche e politiche, contesta all'attuale governo la legittimità a qualsiasi intervento in ogni ambito delle politiche pubbliche. Infine vi è chi contesta nel merito la bontà delle misure proposte e del commissariamento del CNR.

Mi soffermerò su questo ultimo partito controriforma le cui tesi sono fatte, spesso, strumentalmente proprie anche dagli altri due. In primo luogo si critica l'assenza di confronto con la comunità scientifica e le parti sociali nella redazione della legge. Ciò è vero per la bozza approvata dal consiglio dei ministri. Si contesta lo svuotamento della presenza della comunità scientifica nel consiglio di amministrazione del CNR. Su sette componenti solo uno, quello nominato dalla conferenza dei rettori, è espressione del mondo accademico.

Questa debole presenza dovrà essere, senz'altro, corretta o cambiando la composizione del consiglio o rafforzando il ruolo decisionale del consiglio scientifico generale. Si critica la creazione dei dipartimenti per le 7 macro aree di ricerca le cui funzioni rischiano di sovrapporsi a quelle degli istituti. E' vero che ciò crea un ulteriore livello decisionale appesantendo il già farraginoso e lento sistema decisionale dell'ente.

D'altra parte se si conferissero ai dipartimenti solo funzioni sussidiarie agli istituti, come quella di promozione delle relazioni con l'università, con l'impresa, con le istituzioni e la comunità scientifica internazionale, si soddisferebbe una priorità molto sentita nell'ente senza indebolirne l'efficienza. Si mette in guardia dai rischi di un sistema della ricerca indirizzato verso gli interessi dell'impresa e che non privilegi più la ricerca di base. Questa critica, quando viene da ricercatori che si sono «fatti le ossa» al MIT o a Stanford suona un po' pregiudiziale. Non è infatti possibile una ricerca di frontiera che non colleghi in modo più o meno diretto o consapevole finalità «curiosity driven» e tecnologiche.

D'altra parte il nostro paese è debole sull'innovazione e l'industria deve diventare, come negli altri paesi, una sorgente primaria di finanziamento. Si contesta l'aggregazione dell'INFM nel CNR.
Il rischio reale è che le «bad practices» del secondo contamino l'efficienza organizzativa e la performance scientifica del primo. L'obbiettivo, però, è opposto: modellare la riforma organizzativa del CNR a partire dalle «best practices» dell'INFM. Se questo come altri desiderata che ispirano la riforma verrà raggiunto sarà soprattutto il frutto della messa a punto del nuovo modello organizzativo da parte del nuovo commissario Adriano De Maio.

Presidente della Fondazione Rosselli