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Croce, il filosofo che parla al presente
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1. Croce, il filosofo che parla al presente
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da La Stampa
Martedì, 19 Novembre 2002

IL 20 NOVEMBRE DEL 1952 MORIVA L’INTELLETTUALE CHE HA SEGNATO UNA STAGIONE DELLA CULTURA ITALIANA

Croce, il filosofo che parla al presente

di Angelo d'Orsi

NELLA riedizione del suo prezioso Croce e lo spirito del suo tempo (Laterza), Giuseppe Galasso, uno dei maggiori conoscitori dell'opera e della personalità del pensatore partenopeo, osserva che a lungo è circolata una silhouette improbabile di questi: Croce portatore di un «pensiero tanto rassicurante quanto privo di profondità e di spessore umano». Immagine inquietante, questa olimpica di un pensatore distaccato e inguaribilmente ottimista, in un'epoca non solo attraversata da contrasti assoluti e da giganteschi urti di forze, di classi, di idee, ma essa stessa espressione del dubbio radicale, dell'incertezza filosofica, dell'angoscia esistenziale.

L'età crociana, in effetti, ossia quella compresa tra gli anni Sessanta del XIX secolo e i Cinquanta del XX (1866-1952, sono le date esatte), racchiude in sé eventi di eccezionale gravità per la stessa storia della specie umana, dalle due guerre mondiali alla bomba atomica, dal fascismo al nazismo, dal gulag al lager. Decenni decisivi per lo sviluppo della scienza e della tecnica, ma anche sotto il profilo dei mutamenti nella lotta politica, con la nascita dei moderni partiti di massa, il sistematico ricorso alla violenza, l'emergere dei nuovi «cesari».

Ha ragione Galasso, dunque, a respingere questa immagine di un Croce lontano dalla sua epoca, o tutt'al più suo convivente inerte e distaccato? In vero, nella fisionomia di questo napoletano nato quasi per caso in Abruzzo, c'è una quantità di elementi che non si possono liquidare ricorrendo a vecchi stereotipi, a cominciare dalle etichette-base: idealista in filosofia, liberale in politica, contemplatore disinteressato del bello in estetica, teorico di un provvidenzialismo finalistico in storiografia... e così di seguito, secondo schemi che abbiamo spesso ripetuto, prima di qualunque confronto diretto con le opere.

Eppure quel confronto è necessario e, secondo l'autorevole giudizio di Leonardo Sciascia, si tratta anche di un confronto gratificante, almeno sul piano stilistico, anche se, stando sempre a Sciascia, giusto la prosa crociana si salva, nella sua forbita eleganza un po' vecchiotta, ma acuta ed efficacissima, specie quando l'autore si lascia andare a qualcuno dei suoi non infrequenti affondi polemici. Potremmo dire, insomma, che leggere Croce è un piacere, prescindendo dai contenuti.

Ma è solo il piacere della lettura che a distanza di mezzo secolo dalla morte possiamo cercare nelle mille e mille pagine di quello scrittore infaticabile e prolifico? Possibile che opere come la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 o la Storia d'Europa nel secolo decimonono, o ancora l'Estetica (che proprio cento anni fa, nel 1902, diede improvvisa fama internazionale al suo autore) o gli studi filosofici su Vico o su Hegel e i sei volumi intitolati alla Letteratura della nuova Italia...: possibile che in questa sterminata produzione oggi non troviamo stimoli per capire il mondo in cui viviamo, per interpretarlo criticamente, o almeno per leggere con maggior acume i problemi che la filosofia, la letteratura e la storiografia hanno posto?

Ebbene, Croce ci può ancora parlare; anzi, a distanza di cinque decenni dalla sua scomparsa e archiviato il «crocianesimo» - almeno quello militante dei seguaci e quello ortodosso degli studiosi - forse don Benedetto può essere ricuperato nella sua intera personalità, senza obliterare le contraddizioni dell'uomo e del pensatore, le debolezze del sistema filosofico, certamente fuori tempo massimo per il suo tempo. È insomma indispensabile collocare Croce nella sua epoca, che in parte è la nostra, ma soltanto in parte.

Non si tratta però solo di questo; occorre anche non guardare più a Croce come a un monolite, un autore «tutto d'un pezzo», bensì storicizzarne le opere, leggendole in relazione alle fasi attraversate dal loro autore, che a un esame attento ci appare come un poliedro ricco di sfaccettature, capaci di riflettere situazioni storiche, influenze filosofiche, esperienze umane, avventure intellettuali e attitudini politiche assai diverse.

Il Croce marxista di gioventù, ammiratore e discepolo di Antonio Labriola; il sodale e amico di Giovanni Gentile della lunga maturità; il Croce antihegeliano che riscopre Hegel; il Croce liberale giolittiano che guarda però con simpatia a Mussolini, accentuando i tratti del proprio conservatorismo e il Croce che sceglie, infine, l'antifascismo.

Una scelta tardiva, avvenuta non prima del 1925, avendo egli addirittura votata la fiducia al governo dopo il delitto Matteotti; eppure scelta decisiva non solo per lui, ma per una intera generazione di intellettuali italiani che seppero da allora in avanti che se volevano una sponda nella fermezza antifascista, sia pure nei modi e con i limiti di un'azione puramente culturale, trovavano a Palazzo Filomarino - la bella dimora napoletana del "Senatore" - un incoraggiamento, un conforto.

Ecco allora, proprio nella sua multiforme umanità di intellettuale partecipe delle passioni del suo tempo, che lo storico, il filosofo, il letterato e il politico si assemblano, senza trovare una statica composizione, ma dialetticamente, in una figura complessa capace di rispecchiare i traumi della storia e di aiutarci a ritrovare una bussola per difendere la comune umanità. In tal senso, parafrasandolo, oggi davvero, in qualche modo, "non possiamo non dirci crociani", anche se, citando ancora Sciascia, ciascuno a suo modo.


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Date: 19 Nov, 2002 on 07:10
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