da Corriere
Venerdì, 6 Aprile 2007 L'intolleranza non è una ragazzata
È colpa del bullismo, o dell'omofobia mai passata e oggi di nuovo in grande e autorevole spolvero dopo le polemiche sui Dico?
Ha più responsabilità la scuola che non sa tenere a bada gli studenti, o certi genitori che non sanno educare i figli al rispetto del prossimo?
E poi, e soprattutto: mai come ora, negli ultimi decenni, si è parlato dell'importanza della famiglia.
Ma nessuno, neanche ora, discute seriamente su cosa dovrebbe/potrebbe fare una famiglia (e una scuola e dei coetanei) quando un ragazzo o una ragazza hanno comportamenti analizzati o bollati come, forse, omosessuali. O quando — anche ora, ci vuole coraggio — dicono di essere gay. La storia del sedicenne torinese suicidatosi dopo due anni di tormenti a scuola fa venire molti pensieri, e poche soluzioni, al momento.
Non ne hanno molte i professori, specie se insegnano in scuole difficili; anche se le prese in giro dei compagni non a norma, sospetti gay oppure soprappeso, vengono troppo facilmente classificate come ragazzate. E poi, come si fa a sospendere un alunno che dice a un altro «sei come Jonathan» (uno del Grande fratello, e anche la povertà dei referenti culturali deprime, francamente), poi i genitori protestano e piantano una canizza. Non sembra averne la classe di governo; in questo momento gli omosessuali maggiorenni e minorenni sono una seccatura, anche la storia tragica di Matteo non sta provocando grandi reazioni. E spesso non ne hanno le famiglie. La mamma di Matteo si era rivolta inutilmente ai docenti. Altri genitori, in altre situazioni, quando un figlio o una figlia dice di essere gay non si rallegrano del tentativo di dialogo; si disperano e/o lo portano dallo psichiatra. Nel frattempo, i ragazzi non etero si arrangiano da soli; i più evoluti/e vanno nei siti e sul telefono amico dell'Arcigay (e il 35% delle telefonate alla Gay Help Line è di studenti che lamentano atti di bullismo); altri provano a rimorchiare online oppure live in certe zone delle loro città, e certo non sono attività sicure.
E certo, l'attuale clima nazionale non aiuta; a sentirsi normali se si è gay o lesbiche. A non sentirsi soli nella propria famiglia- scuola-paese o città. Al momento, per dire, in molte scuole si lavora attivamente per promuovere l'educazione alimentare; ma in nessun istituto ci sono programmi che educhino alla tolleranza sessuale, si rischiano proteste e anatemi dei vescovi. E invece servirebbe, a risparmiare sofferenze a molti, a insegnare a molti altri a comportarsi in modo civile, a tutto campo. Servirebbe anche alle famiglie, a quelle con figli e fondate sul matrimonio che tutti vogliono difendere, a restare unite e a vivere serene con figli etero e gay. È chiedere troppo? Forse sì; però bisognerebbe cominciare a sospendere e bocciare chi fa il bullo coi compagni; e a rispondere a certi adulti, magari politici di primo piano, che fanno i bulli e danno del «malato» ai cittadini omosessuali con gran risonanza mediatica. Senza aspettare che qualche altro ragazzino si ammazzi, per favore.
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